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IV appuntamento con “Le Ricorrenze della Grande Madre” Ognissanti, Bonito

 

Ognissanti                                       di FrancaMolinaro    Ottopagine 26 ottobre

L’ultimo appuntamento delle Ricorrenze della Grande Madre, è fissato per il 31 ottobre, a Bonito, sala consiliare, ore 17. Il progetto, elaborato da chi scrive nell’ambito delle attività del Centro ricerca tradizioni popolari “La Grande Madre”, in collaborazione con l’Agenzia di promozione del territorio “Irpinia Turismo”, è stato sostenuto dalle amministrazioni comunali di Castelfranci, Teora, Prata PU e Bonito. Referente per questa serata è l’assessore alla cultura David Ardito. Interverranno: il sindaco di Bonito Antonio Zullo, Agostino Della Gatta di Irpinia Turismo, Aldo Grieco, Paola Silano, Nunzio Lucarelli, Gerardo Lardieri ed Emilio De Roma del CRTP “La Grande Madre”. Il programma iniziò con Sant’Antonio Abate, 17 gennaio a Castelfranci. Il 5 maggio festeggiammo la primavera con il pellegrinaggio alla Croce di Teora, il pranzo sull’erba, i suoni e i canti popolari. Il 23 giugno proponemmo le divinazioni e le erbe del Battista, a Prata PU. Con Bonito chiudiamo il ciclo annuale delle ricorrenze legate alla terra e ai culti più propriamente agresti. Nella notte di Ognissanti, parleremo delle apparizioni dei defunti, del modo di manifestarsi. Grieco, studioso delle cose del Sud, ci restituirà il fascino storico di una festa non contaminata dalla moderna e consumistica halloween. La Silano, attenta ricercatrice della tradizione irpina, tratterà i simbolismi e i riti legati alla morte. Lucarelli, da psicologo, indagherà sulle relazioni che intercorrono tra morti e sogni. Lardieri spiegherà come le percezioni possano influenzare le scelte e la vita di un individuo. Per l’occasione, Gaetano De Vito del Museo delle cose perdute, allestirà una mostra a tema con pezzi provenienti dalla sua ricchissima collezione, e ne illustrerà la storia. La serata costituisce ottima occasione per parlare delle “Presenze” che popolano le dimensioni parallele e che appaiono in circostanze particolari o momenti calendariali specifici, intersecando il nostro piano di percezione. Bonito è terreno fecondo per questo tipo di ricerca, già nel 2005 mi fornì materiale per scrivere un buon terzo del testo “Nel Cerchio del diavolo”, pubblicato con l’Università della Terza Età. Sempre da allora, allargando il raggio di ricerca, posso curare la rubrica a tema sulla rivista Vicum. Da Bonito, inoltre, è iniziato lo studio per la pubblicazione dell’ultimo mio testo “Presenze”, e sempre a Bonito è la sede operativa del Centro. Ma vediamo le origini di questa festa. Secondo alcuni studiosi discende direttamente dal rito celtico di Shamain, momento di contemplazione gioiosa della propria storia, della propria gente, si celebrava la speranza di non soccombere alle sventure, alle malattie, alla morte stessa, che non era tale se era vero che i propri cari, almeno una volta l’anno, potevano essere in qualche modo presenti. In questa notte non erano le forze del male a ricondurre i morti sulla terra, ma il ricordo e l’amore dei vivi che celebravano festosamente il loro ritorno. Samhain era una frazione di tempo astorico in cui ai disincarnati era permesso un momentaneo ritorno sulla terra. Da questa convinzione nasce, nella notte di Ognissanti, l’uso di illuminare il cammino dei morti con lumini accesi sugli usci delle case e imbandire tavole per la loro libagione. I vivi, dal canto loro, mangiano un cibo particolare che andremo a riproporre nel corso della serata di Bonito. Ogni paese ha la sua variante ma non cambia il senso, si tratta di semi tenuti a bagno e poi bolliti a lungo, un tempo si cuocevano davanti ai cimiteri e si offrivano ai visitatori. A  Greci, scrive Paola Silano, il cibo si chiama “Cickuett”, è grano e granone a chicchi interi misto a sale o zucchero o miele. Ciriaco Grasso spiega che a Vallata si lessavano i ceci e si chiamavano “Cicci cuotti”, erano accompagnati dalla dicitura ”Cicci cuotti pe’ l’anema re li muorte, cicci arrappati pe’ l’anema re li rannati”. Sull’isola greca di Kalymnos ritroviamo lo stesso rituale. Il grano preparato per i funerali o per il giorno dei morti è detto Kollivo. Tale preparazione rientra nei costumi di tutta la Grecia ed è considerata uno dei momenti di maggiore comunione di tutta la famiglia. Franco Dainotti spiega la tradizione siciliana di preparare biscotti a forma di ossi, Katia da  Perugia parla di pasta di mandorle a forma di fave. Demetrio Latella di Regio Calabria, ricorda come da bambino gustava la dolcissima frutta martorana, frutta di marzapane, dono dei morti. La chiesa cattolica capì quanto fosse necessario cristianizzare la festa di Ognissanti e  il monaco Alduino di York,  uno dei più autorevoli consiglieri di Carlo Magno la istituì nell’VIII secolo. Fu circa alla metà del IX secolo che la ricorrenza di Ognissanti venne istituzionalizzata ufficialmente, collocandola alla data del primo novembre e quindi estesa a tutta la Chiesa, per opera di Papa Gregorio. Ci vollero ancora diversi secoli, perché la festività di Tutti i Santi fosse obbligatoria nella Chiesa Universale, questo avvenne grazie al pontefice Sisto IV nel 1475.
Nel 998 fu istituita la commemorazione dei defunti il 2 novembre, chiaramente associata al giorno precedente. Odilone abate di Cluny (962-1049) dal 994, nel corso della sua riforma diede l’avvio alla tradizione occidentale riguardante tali festività. Nel 998 diede disposizione affinché i cenobi dipendenti dall’abbazia celebrassero il rito dei defunti a partire dal vespro del 1° novembre. Il giorno 2 dispose che fosse commemorato con la celebrazione dell’eucaristia pro requie omnium defunctorum.

Locandina 31 ottobre web

Appunti di un viaggio tra gli Irpini di Boston

LE TRADIZIONI DI MONTEFALCIONE e di       DSCF5654 - Copia

MIRABELLA ECLANO

RIVIVONO OLTRE OCEANO A BOSTON    di Angelo Raffaele Beatrice

Gli emigranti irpini non dimenticano la loro terra e le loro origini.

“Partene li bastimenti per terre assai lontane” era la nostalgica canzone degli emigranti, che con una valigia di cartone, partivano dal porto di Napoli con nel cuore la malinconia e la sofferenza di lasciare, forse per sempre, la propria famiglia, la propria casa affumicata, ma che dava tanto calore ed affetto.

L’unico antidoto a tanta malinconia e nostalgia era la speranza di far fortuna e tornare casa con un po’ di soldi e vivere una vita più umana e meno amara e rivedere i propri cari e la terra su cui scalzi ed affamati si era trascorsa la propria fanciullezza.

I miei nonni, di sera d’inverno, raccontavano del loro viaggio in America, a Boston o a “Neva Jorck”, del loro lavoro, di cose mai viste in Italia, dei loro sacrifici, le case a dieci piani con i mattoni rossi, i ponti enormi, le carrozze senza cavalli (auto), le tranvie, tutto era più grande, enormemente grande.

Quando un familiare tornava dall’America tutti i parenti e gli amici venivano a salutarlo. La casa si riempiva “di gente” e tutti ascoltavano estasiati ed a bocca aperta la descrizione di questo altro mondo fatto di sogni più che di realtà.

Sulla scorta di questi ricordi mi sono trovato a passeggiare per le vie di Boston, in quelle stesse vie narrate da mio nonno paterno e materno.

Ero emozionato, respiravo la stessa aria di oltre 100 anni fa, passeggiavo ove i miei nonni avevano camminato tanto tempo fa con le scarpe rotte.  Ho visto gli stessi bassifondi, ove avevano dormito e vissuto, gli stessi mattoni rosso ruggine, testimoni muti dei loro sacrifici.

A Boston vi erano due quartieri italiani: East Boston e Nord And. East Boston è ormai scomparso, vi abitano solo pochissimi italiani, Nord And invece è ancora vivace ed è il cuore commerciale degli italiani.

Passeggiando sull’Hannover Street mi sono trovato davanti ad una piccola cappella votiva. Sulla sommità della porta c’era scritto: “Sant’Antonio da Padova da Montefalcione fondata nel 1919”.

Sono entrato rispettoso. Al centro dell’altare della cappellina vi era la statua di Sant’Antonio e di Santa Lucia.

Vi erano alcune donne anziane in preghiera, con il fazzoletto in testa (maccaturo). Ascoltando attentamente le loro preghiere mi sono reso conto che pregavano con un accento dialettale e che le preghiere erano le stesse insegnatemi da mia nonna.

Sono stato avvicinato da due signori distinti, Carmine Guerrino e Antonio Gabale, i quali mi hanno spiegato che i loro bisnonni, assieme ad altri emigranti di Montefalcione, avevano fatto la colletta tra compaesani ed altri della provincia di Avellino (bonitesi, tauresini, mirabellani, grottesi, montefulchesi, ecc.) per costruire la cappella ed avevano appositamente fatto venire da Montefalcione la statua di Sant’Antonio e di Santa Lucia, santi festeggiati a Montefalcione.

Fu appositamente creata una congrega che a tutt’oggi gestisce autonomamente la piccola chiesetta. Mi narrarono che la costruzione ebbe origine da un voto fatto, a Sant’Antonio e a Santa Lucia, dai Montefalcionesi a seguito di una tempestosa traversata dell’oceano.

Da allora i due Santi sono stati ritenuti protettori degli emigranti.

Saputo che ero irpino come loro, sono stato invitato alla festa che si sarebbe tenuta il venerdì, il sabato e la domenica.

Mi hanno fatto da ciceroni, facendomi conoscere gli altri irpini che vivono e lavorano nel quartiere, così mi sono trovato a fare il giro dei vari ristoranti italiani in Hannover street e Commercial street, ovunque un caloroso e affettuoso saluto ed un ottimo bicchiere di vino e dolci tipici naturalmente tutti dalla tradizione Irpina.

Così passo dal Ristorante Massimo di Paolo D’Amore e Paolo Di Giovanni (Montefelcione), dal tipico odore del ragù nostrano. Al ristorante Pagliuca dei fratelli Ferdinando e Joe Pagliuca (Montefelcione), con il profumo del pane fresco, ho incontrato altri Montefelcionesi tra cui il “mastro” Antonio Anzalone, falegname da generazioni.

Una sosta obbligata al Ristorante Fiore di Fiore Colella (Torre Nocelle) ed alla Cantina Italiana di Brogna (Montefusco) tutto rigorosamente con bandiere italiana ed americana.

Non ho potuto dire di no al ristorante Saraceno ed al Caffè Pompei di Franco Pizzano (Avellino), ove l’odore ed il sapore del gelato mi ha riportato indietro di 50 anni.

Infine il ristorante il Pescatore di Luigi Buonopane (Mirabella Eclano) ove il pesce dell’Atlantico mi ricordava il “saporito” pesce del fiume Calore quando, tanti anni fa, si pescava con la “cetalena”.

Al centro di Hannover street con insegna luminosa verde, bianca e rossa, spicca la grande “Farmacia Italiana” dei fratelli Giuseppe e Fernando Giangregorio (Apice-Bonito). Infine il ristorante “Zi Filippo” di Filippo Frattarola.

Mi è stato spiegato che a Nord And (la little Italy di Boston) vi è un’altra festa importante ed è quella della Madonna dell’Addolorata. Un folto gruppo di Marbellani sono riusciti ad ottenere che nella grande chiesa del quartiere ci fosse una cappella votiva con la statua dell’Addolorata da festeggiare la terza domenica di settembre.

Organizzatore e patron della Festa dell’Addolorata è Antonio Fiorentino (Calore), artigiano falegname dalle mani d’oro e dalla fantasia artistica, molto conosciuto e stimato dalla comunità italiana; non c’è casa o villa degli italiani che non abbia un tocco della sua arte del legno. Presiede un comitato di eclanesi addetti ai festeggiamenti (Gennaro Fiorentino, Carmine Pisaturo, Giuseppe De Prisco, Antonio e Guido Pisaturo, Fiore Feola, Fierro Salvatore –Taurasi-, Giuseppe Mauro –Pratola Serra-).

Per gli italiani di Boston il tempo si è fermato.

Nelle tradizioni nulla è cambiato. Il dialetto, come l’accento, è rimasto puro ed immutato. Ho udito parole dialettali che non sentivo da anni, parole che ormai da noi sono scomparse.

Mi ha colpito molto il monumento agli emigranti posto nella piazza di Nord And. Due lunghe strisce di ottone su cui è incisa la storia e le frasi degli emigranti italiani di Boston. Tra questa spicca: “Qui a Nord And chi chiede aiuto è aiutato, non c’è bisogno nemmeno di bussare perché le porte degli italiani sono sempre aperte”.