EMERGENZA PETROLIO, Bonito
Emergenza petrolio Franca Molinaro Ottopagine 15 dic.2013
L’utero nero della Grande Madre, in questo periodo dell’anno, cova la vita per la primavera a venire e la bella stagione tornerà, rifioriranno i Prunus in febbraio e le Bellis a marzo, se l’uomo desiste dal suo peccato di hybris. Il nostro entroterra, la provincia irpino-sannita non possiede nulla a detta dei più, eppure ha tutto quanto basta all’uomo per vivere. In momenti in cui tutto va allo sfacelo, possedere ancora una terra fertile, aria pulita, ricchezza di acque, prodotti genuini, significa poter contare su cose concrete e non su parole o sogni. La Terra è la nostra concretezza, i solchi seminati a novembre e biondi di frumento a giugno, sono il nostro pane quotidiano, il nostro sostentamento. Povere quelle società che hanno dimenticato il valore sacro del grano e del pane, scialbe di senso e vuote nell’anima. Cos’è una tavola senza la grazia di Dio? Gli antichi, uomini saggi, ogni anno ringraziavano Demetra per aver insegnato loro la coltura del frumento sostituendo il cereale alle ghiande di Dodona, noi ne smarrimmo il senso, poi, nel secolo del progresso più smodato, lentamente, stiamo recuperandone il valore. La nostra è terra di pane, di cibo buono, di pascoli per ovini e bovini ma, questo non lo sanno “in alto” forse perché Cristo si è fermato sul litorale, non s’è mai avventurato all’interno. L’interno è dei poveri diavoli, crocefissi come i lupi sul Partenio, o armati di forconi, sull’altopiano, per prendere ciò che spettava di diritto. Sempre a tribolare, per volere di Dio o degli uomini, nuovi dei sulla terra. Tanti anni fa vendettero le magnifiche, limpide sorgenti, dissero che i fiumi erano un pericolo per le città, poi hanno venduto l’aria imbrigliando il vento in lunghi mostruosi giganti metallici, infine hanno attentato alla terra con le velenose discariche. Non cheti, ora si attenta all’utero sacro della Grande Madre, al sottosuolo, luogo degli dei ctoni, delle forze oscure, delle energie incontrollabili. Già da tempo il dolore delle trivellazioni morde le carni degli Appenninici, i Lucani hanno sperimentato e stanno pagando con la vita. I campi, i pascoli della Val d’Agri, da paradiso verde si sono trasformati, in vent’anni, in un incubo di morte. Ora le arpe viggianesi sono mute, appese a salici dalle foglie corrose, non hanno più melodie da suonare ma solo pianti di cordoglio. “In alto” hanno deciso di estendere le estrazioni a tutta la Basilicata con un ricavato economico del solo 10% destinato alla regione e appena 291 occupati nel settore. Le aziende agricole stanno chiudendo, le poche attive producono alimenti contaminati. Le falde acquifere sono compromesse dai minerali usati per l’estrazione ma anche dal petrolio stesso che affiora in superficie in alcune sorgenti. La diga di Pertusillo, la cui acqua serve per l’irrigazione, alimenta una centrale idroelettrica e disseta la popolazione dopo un processo di potabilizzazione, ora è inquinata. I pozzi che dovrebbero essere a notevole distanza dai centri abitati stanno a un tiro di schioppo e nessuno, in alto, se ne preoccupa. Politici e multinazionali hanno in mano la vita dei popoli, ma per loro questa vita non ha valore. Questa la Basilicata, oggi, questa l’Irpinia di domani se a gennaio, la trivella sventrerà la valle del Fredane, a 300 metri dal castello di Gesualdo. Allora udremo le melodie di Carlo, per le stanze, non più la notte dell’otto settembre a piangere il suo misfatto, ma a lamentare la sorte della sua gente in un disperato lamento funebre. Cosa può un popolo contro la forza indiscussa del potere? Il popolo ha chinato la testa scoraggiato, rassegnato al peggio, come a un destino fatale. Ma in un paese come il nostro, con una Costituzione tra le più democratiche, il popolo è sovrano, la sua volontà dovrebbe essere legge e, se è vero che apparteniamo alla gloriosa stirpe Sannita, dobbiamo alzare alta le lance e dichiarare guerra a chi ha stabilito la nostra fine miserevole. L’area interessata dalle trivellazioni è di 698,50 Kmq, di cui 696 in provincia di Avellino e 2,50 nella provincia di Benevento. Vi rientrano le valli dei principali fiumi, e gli altopiani. È tempo di prendere coscienza della situazione e comunicarla al vicino di casa, all’amico, ai parenti ripetendo uno slogan che si fissi bene nella mente: “Difendiamo la Terra per il futuro dei nostri figli”. In Irpinia già diversi comuni hanno aderito alla lotta contro le trivellazioni, diverse associazioni si sono mosse a difesa del territorio. Domani, ore 17, sala consiliare, sarà l’Amministrazione comunale di Bonito, in collaborazione col Centro di ricerca “La Grande Madre”, ad ospitare il Coordinamento Irpino No Triv Irpinia Beni Comuni, per divulgare l’argomento. Esperti a confronto illustreranno il progetto “Nusco”, trivellazioni e conseguenze. Tra i relatori, il sindaco di Bonito Antonio Zullo, Carmine Cogliano, Nunzio Lucarelli, Giovanni Montesano, Eugenio Nocera, Mario Pagliaro, il tutto moderato da chi scrive. La serata sarà arricchita dalla proiezione di video relativi al problema.
IL TRALICCIO DERRICK di Paola Silano
L’albero di natale
di valvole e manometri
non ninnola nastri d’oro
compare composito
sopra la sacca
a regolare il flusso
di un denso oro nero
dopo che la sonda
ha ben perforato
il cuore della terra
la profondità dell’Ade
mentre sopra
l’architettura madre
derrick il traliccio
domina la scena
ha già esplorato
ha già trivellato
si accinge a sporcare
la crosta terrestre
e l’aria e l’acqua
degli esseri viventi
il buco che ha lasciato
intanto sputa gas
ha disequilibrato
le rocce magazzino
aspettiamo aspettiamo
potrebbe traballare
e noi giù nello strato
compatto impermeabile
già culla di bitume
antica pece greca
a raccogliere briciole
pezzi di ricchezza
effimera bastarda
di petrae oleum il re.