Home » 2014 » August

Monthly Archives: August 2014

Echi di poesia dialettale a tavola la sera della premiazione

DSCN3265A tavola con i dialetti d’Italia  Franca Molinaro Ottopagine 28 agosto 2014
Ore ventidue, seduti al tavolo della pizzeria appena fuori Bonito, aspettiamo il menù per decidere cosa ordinare. La giornata è stata lunga, i poeti che sono arrivati da lontano hanno viaggiato tutto il giorno. Mi trovo di fronte ad una delle tante incognite affrontate in un anno di lavoro dedicato al concorso di poesia dialettale, mi chiedo come sono le abitudini di chi viene da tanto lontano, come posso non commettere leggerezze e render felici tutti? Ameranno la nostra cucina, il puliejo che l’ostessa ci suggerisce, il nostro vino. Mentre rincorro queste preoccupazioni la comitiva familiarizza con una facilità sorprendente concordando per la pizza. Io perseguo i miei dubbi, ci son tra noi i Napoletani, farà mai bella figura la nostra pizza bonitese col puliejo anche se con tanta altra grazia di Dio? Le specialità son molte così ci orientiamo sulla pizza a metro, in questo modo non si è tentati di spiluccare nel piatto dei commensali. La pizza è ottima, il vino bianco, Fiano di Avellino, tenuto in fresco, è del nostro presidente De Roma, è curato con le sue stesse mani e disinibisce ulteriormente le confidenze. Cosa mai potranno raccontarsi persone provenienti dalla Liguria, dal Lazio, dalla Campania, dalla Puglia, dalla Sicilia? Cosa avranno in comune oltre la poesia che, tra l’altro, è il “lingue” differenti? Naturalmente il primo argomento sono i commenti sulla serata trascorsa, i complimenti ecc., ma l’oste ha incuriosito con la storia del puliejo e la discussione, inevitabilmente si sposta sulle erbe. Andreina Solari, ligure, è una che la poesia l’ha nell’anima, non deve pensare per scrivere ma, allo stesso tempo, è una persona semplice che si dedica con amore alla sua famiglia, conosce le sue erbe e le chiama per nome, naturalmente nel suo dialetto incomprensibile, cosa che mi entusiasma particolarmente. Il presidente si confronta col siciliano, sui metodi di potatura della vigna, le donne parlano di cucina. Tra una curiosità e l’altra insisto nell’offrire un altro pezzo di pizza ma la Genovese, ringraziando, spiega che: “Se a-a sèia ti mangi comme ‘n treuggio, a-a neutte no ti strenzi l’euggio (Se la sera mangi come  un trogolo, di notte non chiudi occhio). La capitale non è d’accordo e conviene che è: “Mejo che la pansa mia crepi che la bbontà de Ddio se sprechi”. Per i napoletani, poi, la cucina è un’arte, una raffinatezza alla quale non si deve rinunciare perché dona felicità e benessere, la pasta ad esempio, è un culto e, in virtù di questo, si può mangiare anche per cena, in merito  è particolarmente concorde Ciro Iannone che ordina le sue brave pennette. La Sicilia ne fa una questione morale: “Cu’ arrobba pri manciari, nun fa piccatu”, e Raffaella Angiolino, pugliese, ricorda che:   Oggne bbène da la tèrre vène”. Su questo si concorda tutti, la Grande Madre dispensa ogni bene e l’uomo dovrebbe apprezzare il cibo che prende, consumarlo con religioso ringraziamento e in maniera corretta. Assodato che siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda approfitto per chiedere maggiori informazioni alla Solari perché il suo dialetto è veramente intrigante e le sue erbe mi incuriosiscono oltremodo. Ebbene scopriamo che anche in Liguria c’è un piatto simile alla nostra “Menesta asciatizza”, loro lo chiamano “Preboggìon”, un misto di erbe selvatiche. Preboggion, probabilmente sta a indicare la prebollitura. Esistono due modi di cucinare il preboggion –Spiega Andreina – Semplicemente bollito con patate, privato dell’acqua e condito con sale e olio, oppure in tegame. Si lessano le erbe, si scolano, si aggiungono uova, formaggio grattugiato, sale, olio, si pone in un tegame e si copre di pangrattato e formaggio. Infine si pone il tegame in forno per circa 35 minuti. Le erbe utilizzate per preparare il Preboggion sono: Boccione maggiore, Urospermum dalechampii, in Liguria chiamato bunommi o beliommi, Bietola, Beta vulgaris) in ligure  gè; Borragine, Borago officinalis, in ligure boraxe ; crespigno, Sonchus oleraceus, in ligure scixèrbua ; Cicoria, Cichorium intybus, in ligure radicion; Dente di leone, Leontodon hispidus, chiamata tageinettiGrattalingua, Reichardia picroides in ligure talêgua; Ortica, Urtica dioica, in ligure ortiga ,  Papavero, Papaver rhoeas; in ligure papavao ; Raperonzolo, Campanula rapunculus, in ligure ranpunçu; Sanguisorba, Sanguisorba minor, in ligure chiamata erba noxa; Silene, Silene vulgaris, chiamata erba s-cioppettina; Tarassaco, Taraxacum officinale in ligure dente de can.  Ebbene, tutta l’Italia, con poche varianti, mangia in maniera simile; chi l’avrebbe immaginato che, grazie a un concorso di poesia dialettale, avrei trovato la variante della mia “Menesta asciatizza” così lontano da casa.

.

Festival delle serenate, Teora 2014

Luna al perigeo per la notte delle serenate       di Franca Molinaro, Ottopagine 17 agosto 2014

La luna brilla in maniera anomala, illumina il balcone delle serenate  gareggiando con l’occhio di bue che quasi sfigura nei suoi riflessi bluastri. Il balcone è quello del palazzo Corona, lo stesso dal quale, qualche secolo addietro, si affacciò 10517587_10204549736722197_2552195184292018571_nFrancesco De Sanctis durante il suo viaggio elettorale, ospite di don Saverio Corona. Un balcone speciale, dunque, per una serata speciale, quella dell’undicesimo “Festival delle serenate” che, anche quest’anno, rinnova una tradizione antichissima. Diversi gruppi si esibiscono per reiterare la magia del canto e della musica mentre, Pietro Acocella, alle prese con un grande calderone, prepara le “Penne innamorate”, un piatto creato anni fa proprio per l’occasione. Così, la luna complice indiscussa degli innamorati felici o infelici,  lustrata a festa  s’avvicina a sbirciare tra le cose dell’umanità, in questi giorni (10 agosto) si è trovata al perigeo, ad una distanza di poco più di 354 mila chilometri dal nostro pianeta, questo giustifica le sue dimensioni e il suo splendore.  Sulla piccola piazza si alternano le voci scandite dai versi recitati al balcone (versi dal “Cantico dal Cantici” di Salomone, da “Solo Amore” di Nicola Guarino, versi dialettali di chi scrive).  Suonano i “Makardìa” e le note trasmettono la magia della nostra tradizione rivisitata dalla voce possente di Filomena D’Andrea.  Dalla Puglia, San Marco in Lamis, sono giunti i “Festa, Farina e… Folk” con la tarantella che fa ballare i santi. Presenti i docenti di Novatlantis: prof. Pasquale Ruggiero,  il soprano  Ornella di Maio,  il tenore Daniele Zanfardino e la cantante Fiorella Boccucci. L’otto agosto hanno inaugurato in Teora un dipartimento del POLISA, Politecnico Internazionale “Scientia et Ars” di Vibo Valentia. – Un evento importantissimo – commenta il sindaco Stefano Farina – che avvicina il paese delle serenate ad esperienze musicali di più alto livello -.  Infine i Menestrelli di Teora hanno concluso lo spettacolo con le serenate locali  e la rappresentazione della serenata di Emidio De Rogatis, una parodia che riassume i temi dell’amore non benedetto dai genitori.
Al balcone ragazze che attendono la rosa donata da un “Romeo” spericolato, arrampicato su una ripida scala, le coppie: Francesca Corti e Salvatore Mazzeo, Flavia Chirico e Gerardo Casale, Siria ed Angelo Chirico, Marta Acocella e Maurizio Mengaroni. La terra delle serenate non ha mai smesso questa tradizione, forse solo il terremoto congelò gli animi sparpagliandoli in giro per il mondo ma per qualche anno o poco più. Fu proprio il terremoto dell’Ottanta che fece nascere un’amicizia duratura tra San Marco in Lamis e Teora, una sorta di corrispondenza amorosa che non è mai tramontata, in quell’occasione dal paese pugliese arrivarono i soccorsi, -Uomini che vennero a scavare i nostri morti e che non hanno mai più dimenticato quei momenti- dice Gerardo Lardieri. – A San Marco – commenta Angelo Ciavarella, musicista – non passa giorno in cui Teora non è nominata-. Finito lo spettacolo, Pietro arriva con una teglia lunga un metro, dentro c’è la specialità teorese, la pasta col soffritto di maiale, un piatto “indelicato” per quell’ora di notte ma, per me che debbo affrontare un lungo viaggio, dopo l’avventura della serata interpretata senza prove, una leccornia del genere è un toccasana. Intanto la luna è sempre là ad illuminare in modo anomalo, eccessivo, quasi come in quella sera di tanti anni fa che in pochi minuti trasformò la piazza, il cuore del centro storico, in un cumulo di macerie e dolore. La ricordano gli amici pugliesi, luminosa e lontana, unica testimone di una sciagura senza confronto per questa gente martire provata anche da Dio. Ma l’uomo è tenace e ricostruisce sempre, forse non rispettando canoni confacenti, forse dimenticando il genius loci, forse non sanando le ferite, ma ricostruisce le case, le chiese, gli edifici pubblici e in qualche modo anche il patrimonio immateriale. Teora, quando ti compare all’ultima curva, bianca, attaccata al colle come un’enorme caserma, è una sberla in pieno viso, ma con quella luna, davanti a un piatto speciale, tra un bicchiere e l’altro, si trasforma e il paese prende vita nei cuori delle persone che la amano, che la vivono oggi come un tempo. C’è chi lo vive con nostalgia come Nicola Guarino: D’ gent’ ng’nè semp’ d’ men’ / iurn’ p’ ‘iuorn’ / E nu r’ pozz’ manc’ dic’ / p’ nun t’nè scuorn’ / manc’ nu criatur’ da vint’ann’ n’gè chiù nat’ / n’gopp’ a ‘stu paes mij abbandunat’ (Nu desrt’assutto, Echi di poesia dialettale 2014), chi si fa in quattro per recuperare il salvabile come Gerardo Lardieri direttore artistico della manifestazione con Emidio Natalino De Rogatis detentore della memoria storica del paese, ma comunque, ognuno a modo suo sente il legame col territorio e lo trasmette agli ospiti insieme a una buona dose di ospitalità. Il momento più bello del festival è proprio questo, quando gli artisti, rilassati e soddisfatti, si confrontano, si raccontano portando la loro storia, personale o collettiva. Da San Marco in Lamis, ad esempio, apprendiamo l’orgoglio ferito di uomini che non hanno dimenticato quanto fu difficile l’unità nazionale, i loro eroi-briganti, il rifiuto assoluto del nuovo stato unitario. Ma apprendiamo anche la fede antichissima di luoghi dediti al Cristianesimo fin dalle origini, meta di pellegrinaggi, carichi di leggende e di una energia speciale che sale, forse, dalle viscere Grande Madre, o forse dal cuore degli uomini, o ancora dal divino intuibile nella grotta del Gargano, sulla tomba del Padre Santo e di tutti i santuari che popolano il territorio. E’ una energia che vibra  intersecandosi alle maglie della rete magnetica che imbriglia il nostro pianeta e ai flussi, più o meno possenti, secondo il momento e la distanza, della luminosa regina del cielo.