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DSC_0517Il baratto attualizzato tra esperienze e versi. Concluso l’autunno d’autore con Paolo Saggese e una serata riassuntiva dell’attività degli ultimi anni.    franca molinaro Dom. 30 novembre 2014 Ottopagine

Mentre la stagione intermedia volge alla fine si conclude anche la serie di eventi all’Osteria Pica, Paolo Saggese chiude l’Autunno d’Autore incontrando i Poeti della Grande Madre. Sono intervenuti: Giuseppe Iuliano, Emilio De Roma, Gerardo Lardieri, Lucia Gaeta, Stefania Russo, Gaetano Napolitano, Maria Rosaria Salito, Emilio Mariani, Bruno Gaeta, Nicola Guarino. Ad allietare la serata la musica di Gerardo Lardieri, Andrea Palermo e Daniela Vigliotta.  E’ stata una serata riassuntiva del lavoro fatto in questi anni col Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud e poi proseguendo per strade parallele, nell’ambito del nostro Centro di ricerca e del Concorso Echi di poesia dialettale. Questa serata non è stata certo una conclusione ma un momento di riflessione su quanto si è fatto, come si è fatto, quanto si può fare, come si può migliorare. Sicuramente l’esperimento è stato un successo sia per la presenza di autori dal grande spessore culturale e umano, sia per il metodo che abbiamo introdotto lo scorso anno con il concorso dialettale: il baratto. Questo sistema utilizzato dall’uomo dagli albori della civiltà per mancanza di denaro, era molto diffuso nella civiltà contadina fino al secolo scorso. Ad esempio, una “passata”, cioè il diritto di passaggio in una proprietà altrui, era barattato con una determinata quantità di grano, ma non solo, nella società contadina era in uso scambiare dei prodotti senza badare al valore economico. Se una massaia aveva esaurito la scorta di pane ed arrivavano ospiti improvvisi, si recava da una vicina e chiedeva una penella di pane che avrebbe poi reso alla panificazione successiva. Esempio più eclatante e ancora in uso è lo scambio di prestazioni varie in cambio di un prodotto; i coltivatori scambiano il lavoro materiale in caso di bisogno, vendemmia, potatura, semina, o ricompensano con prodotti della loro azienda. Purtroppo questo sistema semplice ed economico oggi è perseguitato dagli ispettori del lavoro autorizzati da leggi stilate lontano dai campi e dalle necessità. Ma torniamo al nostro Autunno d’Autore che è stato possibile solo grazie alla disponibilità della famiglia Pica. Nel nostro caso ognuno mette quello che ha in termini materiali e culturali, ponendo la cultura allo stesso livello del lavoro manuale quindi, le due realtà alla pari con pari dignità sociale. All’oste tocca il compito più oneroso ma comprensibile per chi ama la convivialità. Gli autori donano i loro testi e la loro esperienza di vita che condividono con i presenti, si confrontano in un continuo scambio di conoscenze e di esperienze. Una cultura a costo ridotto dunque, senza richieste o pretese di fondi pubblici, o gravose spese per il poeta che vuol esser presentato. Su questo lavoro si fa impresa e forse noi rompiamo gli schemi col nostro operato ma, in tempi di crisi, quando gira poco denaro, non si può rischiare di rinunciare alla cultura per via dei suoi costi, quindi, arginare il problema è stato uno dei motivi che ci ha fatto attivare unitamente a Pica. Non è facile coordinare il tutto e affrontare le spese anche quelle piccole di chi arriva da lontano, ma chi partecipa sa che è più importante una serata passata in piacevole compagnia piuttosto che spesa in locali dove l’unico interesse è quello di riempire le casse dei gestori. Altro punto che abbiamo voluto sottolineare ripetutamente è l’importanza dell’accoglienza e del rispetto della scrittura in tutte le sue forme perché rispettando il verso si rispetta l’autore, sia esso poeta o semplice verseggiatore, ritrattista ecc. Ascoltando e comprendendo a fondo le parole si colgono le emozioni, le paure, le frustrazioni dello scrittore, cosa questa importantissima in un momento in cui tutti scrivono e nessuno legge, tutti vogliono farsi ascoltare e nessuno ascolta l’altro nella convinzione di essere il migliore. L’ascolto è gratificante per l’autore e costruttivo per l’ascoltatore sia in termini culturali che umani. Anna Calabrese, poetessa Napoletana risiedente ad Avellino, pianista dalla sensibilità spiccata, così ci scrive: Non è un inno al poeta, non un discorso individualistico, ma un “Inno alla poesia” un inno allo stare insieme con umiltà senza prevaricazioni o esaltazioni, un inno all’animo poeta che c’è in ognuno di noi. Nessuno più importante dell’altro, ma tutti importanti allo stesso modo. Complimenti vivissimi a chi ha pensato e poi realizzato un modus vivendi di questa grandezza!”. Ecco, se un poeta ha colto il senso del nostro operato ed un altro rientra soddisfatto per aver trascorso una serata in armonia dimenticando di esser inserito nella tal raccolta nazionale o internazionale, allora abbiamo raggiunto il nostro scopo. D’altronde è risaputo che i grandi uomini sanno essere semplici e umili più di quelli che credono di esserlo. La forza e la bellezza dell’animo umano risiede nella sua capacità di amare, le malinconie interiori, anche se altamente poetiche, vanno affrontate e superate da chi sa crescere e migliorarsi, cosa che può avvenire solo attraverso un cammino lungo e sofferto che passa, oltre che per la solitudine, anche attraverso il confronto e l’interazione col prossimo. La maturità e la saggezza, se mai riuscissimo a raggiungerle, sono il luogo della serenità interiore e della pace, stadio dell’animo che va ricercato e condiviso per far fronte al momento difficile di crisi estrema vissuta su ogni fronte.

 

 

A Monteleone per incontrare Medieval

DSCN0945Incontro informale di due Associazioni dagli stessi intenti    di Nunzio Lucarelli

-Temevo che i buoi con il mio avvicinarmi si allontanassero , invece ‘incuriositi’ si son mossi per venire verso di me ! me ne sono rallegrato e mi son detto : è questo che l’uomo deve imparare a fare sempre di più , incuriosire l’ altro per fargli venire voglia di avvicinarsi e … condividere ! –14007_10204090248634345_5660593799184277443_n

Così è avvenuto nell’ incontro tra Grande Madre e Medieval, due associazioni che con circospezione iniziale si sono incontrate , poi conosciute , poi interessate l’ una dell’ altra mettendo in moto i meccanismi preistorici dello scambio soprattutto intorno ad un tavola imbandita in un luogo storico dove i prodotti della terra e dei nostri amici animali sono arrivati alla nostra libido orale dopo avere ottenuto con gentilezza i processi trasformativi dei ‘cultori’ amanti della genuinità, della cuoca creativa e dell ‘ accoglienza garbata, elegante e colta degli ospitanti ….

Lucia Gaeta all’Autunno d’Autore

10417790_988821681134689_2053701666899676699_nPassione, fede e semplicità nei versi di Lucia Gaeta
Settimo appuntamento dell’Autunno d’Autore scandito dall’organetto di Daniela Vigliotta    di    franca molinaro
Penultimo appuntamento con l’Autunno d’Autore a Lioni all’Osteria Pica, sempre protagonisti i poeti dell’antologia “Echi di poesia dialettale 2014”. Regina indiscussa della serata Lucia Gaeta e la sua straripante simpatia. Ad accompagnarla, l’organetto di Daniela Vigliotta, giovane musicista di Bonito, studentessa universitaria con la passione innata per la musica. Daniela suona l’organetto da che aveva cinque anni, gliene comprarono uno giocattolo a Materdomini e con quello iniziò a muovere i primi passi in quel mondo per lei tanto affascinante, passava il suo tempo con la nonna che, sollecitata dai motivetti, accennava passi di ballo. Da allora Daniela ne ha fatto di strada arrivando ad incidere un suo cd, fa serate e feste di piazza e il suo talento è riconosciuto ovunque. Sono intervenuti: l’editore Peppe Barra che ha presentato la poetessa, Emilio De Roma, Nicola Guarino e padre Antonio Garofano, Agostino Marsoner. Hanno partecipato, con i loro versi, anche gli amici di Gaeta, le persone che la sostengono col loro entusiasmo e l’accompagnano nelle varie serate in giro per il Sud: Gaetano Napolitano, Stefania Russo, Maria Ronca, Bruno Gaeta, Maria Rosaria Salito da Campagna. Ormai intorno a Lucia si è creato un movimento che va oltre l’attività letteraria, è un movimento di varia umanità che condivide la passione per la poesia semplice e di facile comprensione. Questa schiera di amici che la segue ovunque la gratifica per la carica di vitalità e per l’ottimismo che induce con la sua scrittura e il suo carattere positivo. Con la sua collaborazione abbiamo potuto mettere a punto l’esperienza della poesia di gruppo in cui ogni membro ha lo stesso valore umano indipendentemente dalla sua maturità letteraria. Chi si sente superiore si defila ma non ha importanza perché chi resta scopre il valore terapeutico della condivisione. A cosa serve un poeta se mantiene le distanze dal “volgo? Resta un uomo solo con i suoi allori e probabilmente con le sue frustrazioni. La poesia del popolo invece, sarà pur semplice nella sua struttura ma è sincera e diretta, nella sua immediatezza è capace di coinvolgere e trasmettere la carica affettiva di cui oggi si ha necessario bisogno. Lucia Gaeta appartiene a questo genere di poeti, persone concrete che vivono di cose quotidiane e che non si astraggono dal reale bensì lo interpretano. Non a caso nella vita è un metalmeccanico, una che la vita la vive nella sua totale concretezza, nelle difficoltà quotidiane aggravate dall’attuale difficile momento, ma ha un pregio, vive ogni istante con passione ed impegno convinta di dover far bene ogni cosa. E non si limita alla sua serenità e felicità, fa l’impossibile perché chi è intorno a lei possa buttar via ogni malumore e sorridere alla vita, alle piccole cose belle che offre. E’ un ciclone, dove passa travolge, sconvolge piacevolmente, lascia un segno. Non si può dire che è anonima, tutt’altro, la si può notare tra mille con la sua prorompente simpatia e insieme apertura verso il prossimo. Se sei in difficoltà, se hai bisogno di aiuto, lei si farà in quattro pur di risolvere il problema. E se vede un’ingiustizia è capace di star male, di caricarsi tutta la sofferenza perché la sua sensibilità glie lo impone. Scrive il suo editore Giuseppe Barra: “Il suo modo di porsi con gli altri la rende unica, perché tratta tutti allo stesso modo, chi scrive e chi l’ascolta, chi legge e chi è distratto, sempre col sorriso. Lucia, nella sua semplicità, mette tutti a loro agio, alla pari con tutti. Per lei è indifferente l’estrazione sociale, l’istruzione del suo interlocutore. Con i suoi modi di fare abbraccia simbolicamente tutti, con amore fraterno.” Così la sua scrittura, immediata e vera, a tratti ingenua ma comunque coinvolgente. “Poetessa d’amore e di vita” la definisce Paolo Saggese nell’introduzione alla terza silloge poetica fresca di stampa, L’amore oltre, Edizioni Il Saggio, Eboli. Lucia Gaeta scrive in versi da pochi anni eppure è alla terza pubblicazione, il suo è un canto d’amore espresso in tutte le sue forme, amore per il compagno, per i figli, per la famiglia; ancora amore per la natura che riflette le sue emozioni, le dilata e le diffonde come onde magnetiche; amore per la vita in ogni sua creatura e per ogni creatura a cui dispensa gioia sotto forma di quadrifogli, di versi, sorrisi. In questi momenti tetri è una scossa al torpore e alle ansie, una ventata di leggerezza che allevia i magoni e riporta il sorriso.

Ermetismo e dialetto in Gianni Terminiello

                  di franca molinaro Ottopagine 16 novembre 2014
DSC_0040Sesto appuntamento per l’Autunno d’autore all’osteria Pica di Lioni, con Gianni Terminiello, poeta presente nell’antologia “Echi di poesia dialettale 2014”. Ad accompagnarlo Andrea Palermo di Taurasi, giovanissimo suonatore di organetto attento alla tradizione irpina ma competente anche in altri ambiti. Perché la serata risultasse corale e condivisa, tra musica e ottima cucina, insieme all’autore, hanno recitato i loro versi, rappresentando tutta la regione: Anna Calabrese da Avellino, Lucia Gaeta e Arianna Mazzei da Atripalda, Gaetano Napolitano da Napoli, Maria Rosaria Salito da Campgna (SA).
Il protagonista di questo appuntamento, Gianni Terminiello, è nato a Sorrento (NA) e vive oggi a Massa Lubrense (NA), nel borgo delle Terre di Torca. Come gli altri personaggi ospitati precedentemente, anche Terminiello è in cerca del senso della vita. Il poeta, con l’esperienza dialettale ha lasciato molte testimonianze valide e riconosciute in diversi premi, con temi gravosi  o sentimentali, tra tutte ricordiamo “’O paraviso re cane” in cui si contempla l’affetto per il proprio cane di cui non si vuol considerare mai la morte, e “’A memoria e mammà”, l’amara realtà della malattia che penalizza anche la persona a noi più cara, la mamma. Per quanto riguarda la scrittura in lingua, il poeta ama il linguaggio ermetico da cui acquisisce la struttura formale rispettata ampiamente negli spazi bianchi o punteggiati, nelle pause che scandiscono silenzi, come per sottolineare il senso di stanchezza metodica, di isolamento ed inquietudine propri dei poeti di questa corrente.  L’Ermetismo è una tendenza letteraria degli anni Trenta sviluppatasi in contrapposizione alla propaganda fascista e alla cultura accademica e retorica d’impronta dannunziana. E’ una ventata avanguardista che vuol liberarsi del peso oppressivo di una società non a misura di poeta anzi, pronta a renderlo strumento a servizio del potere. Ma non solo, è anche insofferenza dell’uomo verso la propria incapacità a dare risposte concrete alla insistente ricerca del senso della vita. Così, il poeta ermetico vive angosciosamente in una solitudine interiore, avverte “il male di vivere” e scava dentro se stesso per chiarire quel qualcosa che non sa dipanare. Abolisce la parola fino a ridurla all’essenziale, adotta analogie e metafore per confondere o perché coglie le immagini inquiete del suo io profondo. Per questo la poesia è definita “pura”, perché scevra di ogni coercizione formale o contingente. Terminiello, legato per evidenti motivi a Giuseppe Ungaretti, capostipite della poetica ermetica, e ad Alfonso Gatto, promotore ed erede della stessa, per magnificare l’opera dell’autore salernitano recita: “come è difficile spiegare una poesia, è materia dei critici, se ne sono capaci, in quanto le poesie si sentono dentro, sono spasmi di amori, che evocano immagini, pensieri,  voglie, attenzioni, ricordi, fantasie”. Un punto di riferimento della sua poetica, come in ogni poeta ermetico,  è il tempo che si identifica nei ricordi passati, istanti vissuti, stati d’animo dal sapore zuccheroso. Gli son care le parole di Thomas Stearas Eliot:” La vera poesia può comunicare anche prima di essere capita”.  Anche il mare rientra ampiamente nei suoi versi, probabilmente a causa del vuoto lasciato dal padre, ufficiale di marina, il rapporto è di odio-amore, che spesso lo trasforma in un interlocutore misterioso capace di incutere soggezione e rispetto. La poesia di Terminiello, essendo un moto dell’anima raccontato a se stesso o a pochi altri, è sincera, terapeutica per l’autore al quale placa le angosce dell’esistenza. Il linguaggio tende a rinunciare ai versi rimati presenti solo in alcune opere, prediligendo la metafora colorata spesso di nostalgia, presente in molte poesie dialettali. Altro aspetto fondamentale è la musica, spesso tema delle poesie e veicolo trainante del suo lirismo; l’autore definisce la musica musa ispiratrice, senza la quale l’ispirazione non si concretizzerebbe in versi, filosofia interiore che compenetra l’essere sensibile e ne accompagna l’esistenza. Non manca l’amore traslato dal piano personale all’universale con ingenuità ed immediatezza, con sincerità verso se stesso ed il prossimo. Poeta impegnato anche dal punto di vista sociale, non manca di carpire eventi e personaggi che hanno lasciato un segno nella storia dell’umanità. Un’ampia attenzione è dimostrata verso i giovani con la consapevolezza che rappresentano la potenziale ricchezza del futuro. L’Autunno d’Autore, con la fine di novembre, si avvia alla conclusione, prossimo appuntamento, Giovedì 20 novembre con Lucia Gaeta, la poetessa di Atripalda che nel giro di poco tempo ha creato intorno a sé un tormentone degno di una grande star. Lucia è riuscita a coinvolgere nelle sue attività, poeti da tutto il Sud, con una straordinaria carica di amicizia e semplicità.

Incontri come percorsi di vita, musica, poesia, arte

DSCN0883[1]Serata di ospiti d’eccezione, l’autore Piero Mastroberardino, l’artista Emilio De Roma, il fisarmonicista Gianni Molinaro di franca molinaro, Ottopagine 9 novembre 2014
Quinto appuntamento dell’Autunno d’Autore all’Osteria Pica, a Lioni, stavolta con tre ospiti d’eccezione, l’autore Piero Mastroberardino, l’artista Emilio De Roma, il fisarmonicista Gianni Molinaro. Tutti e tre hanno fatto della loro vita un cantiere di esperienza che ha prodotto successo, sempre accompagnati dalla volontà ferrea di raggiungere i propri obiettivi conservando la semplicità che caratterizza gli uomini grandi. Piero Mastroberardino, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese nell’Università degli Studi di Foggia, erede della più antica casa vinicola della Campania, una delle più famose d’Italia, la cui storia è lunga dieci generazioni, conosciuto in tutto il mondo, è uomo dal cuore sensibile e dal verso epigrafico, “Poesia sensoriale di anima, terra, eros e thanatos”. Persona semplice nella sua grande statura morale, pur rivestendo un ruolo sociale altissimo è capace di calarsi tra gli umili e condividerne i valori sacri: terra, amore, dolore, morte. E’ per questo che lo abbiamo voluto ospite all’Autunno d’Autore, perchè in linea con i nostri principi. Artista a tutto tondo dalla matita facile e il tratto netto come i suoi versi, Piero è uomo realizzato, soddisfatto del suo lavoro di docente, della sua azienda, della sua produzione artistica e letteraria, senz’altro insoddisfatto dell’inadeguatezza delle classi politiche che, alternandosi, non riescono a dare il giusto assetto ad una nazione dal patrimonio culturale e paesaggistico inestimabile. Critico nei confronti degli imprenditori mai lungimiranti, incapaci di fare economia con le proprie capacità e con le naturali risorse del territorio. Preoccupato della cattiva prospettiva che si profila all’orizzonte dopo le ultime decisioni del governo circa le trivellazioni, non prevede giorni sereni ma nemmeno cede allo sconforto e comunica il desiderio di lottare per tentare ancora di salvare il salvabile. Piero parla della sua vita, del magnifico rapporto col compianto padre tanto attento alla cultura e orgoglioso delle sue attività artistiche. Racconta le difficoltà incontrate nella sua carriera di docente, paradossalmente, proprio a causa del suo casato. Narra dei viaggi, delle differenti culture, della sua acquisita capacità di adattarsi a situazioni differenti da un capo all’altro del mondo e poi, con tanta tenerezza ricorda la sua famiglia, la cara mamma che, con la sua dipartita, ha dato una scossa significativa all’uomo scrittore. Svela momenti di fragilità interiore scrutabili solo attraverso il verso o il tratto che deve essere essenziale, compiuto nel momento stesso in cui la mano abbandona il piano, solo così può rendere l’esatta emozione del momento, nessun manierismo o rifinitura alcuna, solo il pensiero che istantaneamente si traduce in segno. La sua poesia, spesso visiva, si accompagna alla grafica, a volte è stringata, nella brevità del verso racchiude l’unità assoluta, il tutto cui non necessita altro. Per quanto riguarda la tradizione ne ha un concetto molto dinamico, spiega che , per essere valida deve attualizzarsi continuamente mantenendo però il senso profondo, il valore intrinseco. Piero, che ha al suo attivo centinaia di lavori scientifici, due romanzi (Umano errare, Editrice Gruppo Albatro Il Filo; Giro di vite, Edizioni Homa Scrivens) e una silloge poetica (All’origine dei sensi, Edizioni Tracce), non si ferma, la sua scrittura è compagna di viaggio, presente quando spegne il cellulare, a volte in aereo, all’alba o al termine del giorno. In tutto questo, da buon Irpino, al primo posto c’è la sua famiglia che, pur avvertendo sei mesi di assenza l’anno, non manca di cure e di attenzioni. Gianni Molinaro, musicista della Media valle del Calore, laureatosi brillantemente presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, suona la fisarmonica cromatica a bottoni, ed ha in scaletta un vasto repertorio di di arrangiamenti d’autore che vanno da Bach a Mozart a Rossini, da Semionov a Shone Minka, da Albeniz a Franc Angelis, e brani originali ispirati alle sonorità celtiche. Emilio De Roma, pittore, incisore e scultore, incentra buona parte della sua ricerca sul mondo dell’inconscio facendo emergere quelle caratteristiche profonde dell’animo umano che solitamente si nascondono dietro l’ipocrisia dell’onnipotente società consumistica. L’impegno pittorico, traslato nel filosofico e nel sociale, è quello di mostrare la sofferenza  esistenziale dell’uomo

moderno attraverso un percorso culturale guidato dal suo mondo interiore. Rappresentare la dimensione che è oltre la fisicità dell’apparenza, al di là dall’esperienza sensoriale, coniuga il tentativo di riconoscere nel prossimo la propria immagine. “Cercare nell’altro la propria immagine è andare verso se stessi” spiega Emilio De Roma,  “sono questi territori di confine che aprono possibilità e spazi entro i quali indirizzare la propria attività artistica,  perseguire la propria ricerca stilistica e concettuale, intuire le verità supreme accessibili solo attraverso il mondo dell’arte e dell’amore. Il percorso artistico è un tutt’uno con il cammino esistenziale  tutto indirizzato verso il mistero dell’inconoscibile, intuito e non del tutto compreso, espresso con ringraziamento e gratitudine verso Chi, con l’immensità del creato, ha saputo e voluto fare dono all’uomo del necessario per sopravvivere nel suo mondo. L’uomo non può vivere nell’assenza di significato per questo è in continua ricerca. L’uomo può esistere autenticamente solo attuando un percorso culturale che definisce e ricostruisce in ogni epoca, è la strada che gli permette di comprendersi, compartecipare e, conseguentemente, responsabilizzarsi. É attraverso tali percorsi che ogni persona può trovare il proprio scopo e scoprire il senso del proprio essere al mondo. L’uomo di ogni tempo ha ereditato quest’atteggiamento percettivo secondo il quale non basta sopravvivere, ma per esistere in pienezza è necessario dare il giusto significato alla vita che si ritiene vada oltre la temporaneità della stessa. Quest’assunto dimostra che la domanda sul senso dell’esistenza non costituisce solo una questione filosofica ma investe la persona nella sua interezza, perlustrando confini ancora sconosciuti. L’uomo non può fare a meno di essere sempre in cammino. La fine del suo viaggio non potrà che registrare la conoscenza della sua primordiale intuizione riportata all’estrema semplicità di sintesi. La meta si chiama Amore”.

4 novembre 2014 a Bonito

10731000_10203195506990583_8871089603336845963_nQuest’anno il quattro novembre, a Bonito, è stato ricordato in maniera speciale con la collaborazione di tutto il paese, delle associazioni e delle scuole. E’ stato il sindaco Giuseppe De Pasquale a condurre la manifestazione con un corteo partito dalla casa comunale, presenti le forze dell’ordine, gli amministratori, le famiglie delle persone morte in paese a causa del bombardamento del 10 settembre del ’43. Commosso e accorato l’intervento di De Pasquale, volto soprattutto a invocare la pace per tutti i popoli. Ha ricordato  quanti, ovunque nel mondo, subiscono l’ingiusta esperienza della guerra. Straordinari i bambini della scuola materna con i loro visini sorridenti e le bandiere svolazzanti. Originale l’alfabeto della pace stilato dai bambini delle elementari. Di notevole spessore il lavoro compiuto dai ragazzi delle scuole medie attraverso la raccolta e la trascrizione della memoria storica. Nessuno, prima di oggi, aveva pensato di ricordare i civili uccisi durante il bombardamento di Bonito, oggi una lapide ai piedi del monumento dei caduti riporta inciso il loro nome, 12 persone tra vecchi e giovani, donne e bambini. Questa sensibilità indica la volontà comune di allontanare la guerra e qualsiasi aleatoria giustificazione che può causarla. Tra i vari interventi, ognuno significativo e commosso, riporto quello di Luigi Pagliuso, consigliere responsabile del Settore Spettacolo e Turismo nonché bravo poeta dialettale:
10-09-’43 (In memoria delle vittime del bombardamento)

10 settembre quarantatré
‘no iuorno com’a tante fin’a l’unnece e vintetrè,
ma prima ca’ la campana sonava miezzeiuorno
lo viento faceva gerà le carte tuorno tuorno.
La gente le vardava ca’ se movevano accussì,
quiro lontano e presente venerdì
e forse quaccuno avivo lo sentore
ca’ pe’ dudece persune erano sonate l’ore.
10 settembre quarantatré
tre bombe “vasavano” Bunito e no’ ‘nse sa pecchè
forse fu pe’ sbaglio, o forse volutamente:
purtroppo de ‘ste cose no’ ‘nse sape mai niente!
Erano l’anne ca parlava lo fucile e lo cannone,
addo nuie arrevarono l’amerecane da ‘n’goppa Tenghione
che ce salutarono e liberarono dint’a ‘no sulo momento,
che ce fecero mangià “vampe e cemento”.
10 settembre quarantatré
Via Roma, Vico Elena e Vigna la corte erena cadè
e sott’a le prete la ggente moreva
e chi se salvava squarciava l’uocchie e correva,
pecchè no’ ‘nsapeva che era succiesso
e senza iatà deceva: “vabbuò iam’appriesso”!
Ma intanto sckavava pe’ trovà ‘no parente
senza sapè se l’anema era presente.
10 settembre quarantatré
fiscao lo cielo, tremao la terra: l’aeree erano trentatrè
e ce sta ancora chi quiro iuorno se recorda
ce lo liegge dint’a l’uocchie, de questo no’ ‘nse scorda,
pecchè non capita sempe de parlà co na bomba
ca’ te strazza la carna, t’apre la casa, lo core…la tomba!
E chi se salvao da ‘sto bombardamento
romanio pur’isso ‘no piezzo de core, sott’a la poreva e lo cemento.
10 settembre quarantatré
‘no iuorno ca se recorda, doppo l’unnece e vintetrè,
l’allucche de lo silenzio ‘n’dronavano pe’ lo paese
no’ ‘nsonavano chiù manco le campane de le chiese
e dint’a quiro momento de dolore, paura, fuie fuie
tutte se domandavano pecchè era succiesso a nuie:
10 settembre: tremao l’aria e la terra
nisciuno poteva fa niente: comandava la guerra!

Il saluto del sindaco Giuseppe De Pasquale

Attraverso il rispetto dei morti la serenità dei vivi

“Madri vestite di sole”: nel libro di Mariastella Eisemberg il dolore delle madri sopravvissute alla morte dei figli.
Confronto sulle tradizioni ai Grifoni di Ascoli Satriano
  di franca molinaro, Ottopagine 2 novembre

Novembre arriva con i giardini del pianto allestiti a festa per chi ormai non può goderli, ultima ipocrisia dei vivi o estremo tentativo di mantenere in vita almeno la memoria dei cari estinti. Fiori in quantità, anche a chi, in vita, non DSC_0368li aveva mai amati, lumini e lampade votive per illuminare il tradizionale ritorno delle anime nella notte di Ognissanti, messe e preghiere, ognuno secondo la propria fede, il proprio credo. Così trascorrono questi due giorni tra visite a cimiteri, ricordi di dolorose perdite, poi si ricomincia frettolosamente il tran tran quotidiano, con il dolore più o meno sopportabile, secondo la gravità del lutto. Le ferite che non si rimarginano e che modificano completamente la vita e il pensiero di chi le porta sono sicuramente quelle delle donne “sfigliate” secondo un termine coniato recentemente da Mariastella Eisenberg, nel suo bellissimo libro “Madri vestite di sole” edito da Interlinea Edizioni 2013. La poetessa che ha subito la terribile esperienza della perdita della sua creatura, percorre il dolore delle mamme sopravvissute alla morte dei figli e dà loro voce perché queste, nel loro silenzio non lo hanno mai espresso, nemmeno in letteratura.  Mariastella ha presentato il suo libro, la scorsa domenica  a Ottobrelibri, Circolo della Stampa Avellino, rassegna curata dall’editrice Giovanna Scuderi, in tale occasione ha avuto modo di esprimere con dignitosa compostezza il suo dolore non quantificabile; è apparso come se questo dolore avesse avuto un processo di assimilazione e di elaborazione, infine di catarsi attraverso l’impegno sociale quotidiano. Un metodo che permette all’amato estinto di essere in vita finché è vivo nel ricordo della madre sopravvissuta. E come non ricordare tutte le madri silenziose che per una ragione o per l’altra hanno perduto la cosa più cara, il frutto del proprio grembo?  Ma il dubbio foscoliano assale anche i più convinti e ci si chiede se tutto questo servirà mai ad alleggerire il sonno della morte. Indipendentemente dall’esistenza o meno dell’aldilà ci si chiede cosa è giusto fare per ricordare degnamente i propri cari e quale atteggiamento potrebbe renderli felici se mai ci vedessero. Consolidata l’ipotesi che la preghiera è fondamentale, non tanto per loro, quanto per noialtri da questa parte del velo dell’oblio, che altro può onorare la memoria dei nostri cari? Su questa domanda ci soffermiamo  a tarda ora mentre l’auto percorre l’autostrada deserta, di ritorno da una piacevole serata in Puglia. Siamo il solito gruppo, Il coordinatore della Grande Madre, Emilio DE Roma, Daniela Vigliotta nostra giovane pupilla che rallegra le serate con la voce argentina del suo organetto, il fotografo Ciriaco Grasso e mio marito che guida silenziosamente. Dopo una serata passata in allegria non son discorsi da farsi eppure ci caschiamo ogni volta ed è sempre Emilio che, nel suo rincorrere il senso della vita, ci coinvolge nelle sue riflessioni profonde. Siamo stati a presentare il mio ultimo lavoro dedicati ad Ascoli Satriano e all’Agriturismo “I Grifoni” nato dall’attaccamento della signora Vilma al territorio e alle sue tradizioni. Presente il sindaco di Ascoli Nino Danaro e un bel pubblico attento e qualificato curioso di ascoltarci e confrontarsi. Per noi è un arricchimento essere accolti in una comunità così calorosa ma soprattutto con tradizioni sensibilmente differenti. Anche qui, però, troviamo il piacere di condividere il nostro pensiero ed il nostro operato a favore della Terra, della ripresa economica attraverso l’agricoltura sostenibile, attraverso il rispetto dei prodotti agricoli. Ne parla con passione Pietro Zito, chef di Andria che ha fatto di questo pensiero la filosofia della sua vita; valori rispettati anche dalla comunità ascolana che sta lottando per la riaffermazione del grano Senatori Cappelli, antico seme ben conosciuto in Puglia. Si parla di filiera corta, di prodotti biologici, sembra un sogno mentre sappiamo che anche presso i cugini Dauni l’agricoltura langue. “Bisogna abbandonare l’agricoltura industriale, – spiega Maurizio Magnatta produttore di biologico – tornare a seminare i pomodori nel campo come si faceva un tempo, è vero che abbiamo aumentato la produzione ma abbiamo abbassato il prezzo e la qualità. Il prodotto è coltivato in virtù della bella presenza e inalterabilità durante il lungo percorso per arrivare al consumatore mentre non si pensa  affatto alle proprietà organolettiche che dovrebbe conservare per un corretto uso finale”. Ma torniamo ai nostri morti, cosa hanno a che vedere con l’agricoltura. Spiega De Roma: “La nostra serenità interiore dipende dalla nostra coscienza e dal grado di rispetto che abbiamo riguardo alla memoria. I nostri cari sono la nostra memoria, il rispetto delle loro idee contestualizzate nel presente ci rende tranquilli oltre che condurci in una direzione corretta. Pensiamo a quanto ci rende felici fare un regalo ad una persona che amiamo, così ai nostri estinti, se rispettiamo le loro regole, i consigli che ci hanno dato da vivi, ne ricaviamo in serenità. Inoltre, quello che oggi con meraviglia si va riscoprendo, l’agricoltura sostenibile e quant’altro, non è forse ciò che hanno sempre fatto i nostri antenati?”.