Home » 2015 » January

Monthly Archives: January 2015

I primi santi dell’anno da Potito a Vincenzo

imagesSan Potito, San Bonito, Sant’Antonio Abate, San Sebastiano, San Vincenzo     di franca molinaro, Ottopagine 19 gennaio 2014
“Pasqua bofania, ogni festa piglia la via, rispunnivo Santo Bonito, ce stace ancora puro la mia”. Nel proverbio bonitese leggiamo tra le righe il risentimento di questo santo “minore” che non viene inserito nelle festività natalizie pur essendone al margine. In effetti, la festa, che cade il 15 gennaio è una sorta di passaggio tra il tempo di Natale e quello di carnevale inaugurato da Sant’Antonio Abate. L’Epifania stabilisce, attraverso il calcolo delle lune, il giorno della Pasqua di Resurrezione,  chiude il ciclo delle calende per le annuali previsioni meteorologiche e reimmette l’uomo nel Tempo Ordinario. La vecchia brutta è Madre Natura che muore per rinascere, porta giorni più lunghi e pleniluni splendenti, spesso aria rigida e cielo sereno. In montagna, qualche bucaneve coraggioso eleva il caule dal manto nevoso e, come piccoli gioielli, dondola i fiori candidi alla minima brezza, sbocciano i primi crocus e l’elleboro fetido mette la velenosa pannocchia di fiori verdi. Il circolo si chiude per riaprirsi al nuovo ciclo vitale, la Grande Madre feconda ripopolerà i suoi fianchi con le magnifiche creature “più belle di Salomone in tutto il suo splendore”.    Ma intanto c’è ancora un lungo periodo di freddo da affrontare e tutti i rituali utili a sollecitare la ricomparsa del sole. In questo periodo rientrano le festività di Santi poco conosciuti ma molto celebrati in alcuni luoghi dove detengono il padronato. Il primo è San Potito martire festeggiato ad Ascoli Satriano (FG) il 14 gennaio e a Tricarico (PT). Il santo era figlio di una ricca famiglia ma solo lui si convertì al cristianesimo e per questo fu martirizzato. Secondo la tradizione fu gettato nell’olio bollente ma essendone uscito indenne gli fu perforato il cranio con un grosso chiodo, compare così anche nell’iconografia. La storia del ritrovamento è alquanto insolita. Si narra che, in località Mefite, lungo il Carapelle, un asino carico di mercanzie sprofondò nel fango, il mulattiere che lo conduceva non riuscì a liberarlo, allora lo uccise sul posto e lo scuoiò per venderne la pelle. Dopo poco, però, l’uomo udì alle spalle il raglio del suo asino, si voltò e, miracolo, la bestia era resuscitata e lo seguiva senza pelle addosso. Il mulattiere rivestì l’asino della pelle, però al contrario di modo che la coda gli usciva sulla fronte, e lo seguì. La povera bestia lo ricondusse sul luogo dell’incidente e l’uomo capì che doveva scavare, dal fango, infatti, trasse le spoglie di San Potito. Il mulattiere, che era di Tricarico, portò le reliquie al suo paese. In Ascoli è venerato un avambraccio del santo.  Un tempo gli Ascolani si recavano in processione, sul luogo del ritrovamento, la tradizione è ormai scomparsa mentre c’è ancora l’uso del “ciuccio di fuoco”, una sagoma di asino rivestita di fuochi artificiali che esplode in piazza, nella mattinata del 14, dopo le funzioni religiose. Ad Ascoli, il santo conclude le feste di Natale, il suo dies natalis è l’ultimo a risplendere delle luci natalizie, poi si smontano i presepi e gli abeti. Il 15 gennaio, in Irpinia si festeggia San Bonito nel paese omonimo, senza particolari tradizioni se non la santa messa. Bonito nacque in Alvernia nel 623, ricevette un’ottima educazione e si distinse nella vita per il suo comportamento retto e santo. A Bonito fu introdotto dalla famiglia che ne portava il casato e che, probabilmente, diede anche il nome al piccolo centro rurale. Da tempo immemore, in paese si recita questo proverbio: “Santo Bonito, ogni mogliere vatte lo marito” ma i Bonitesi amano modificarlo in: “Santo Bonito, ogni mogliere se face vatte da lo marito”. Non sappiamo il perché di questa dicitura, probabilmente per donare un momento annuale di riscatto alle povere donne spesso vittime della violenza maschile. C’è da dire che la violenza non era un problema bonitese, tutto il Sud ha sofferto questa piaga e ancora, in alcuni casi ne soffre. La donna, considerata come la serva della casa, non era mai guardata con rispetto se non a un certo punto della vita quando riusciva ad emanciparsi grazie alla morte dei suoceri, del marito o ad altre disgrazie simili. Allora assumeva quell’autorità mal gestita perché spesso utilizzata a discapito della propria categoria. Discorso lungo e articolato che non può essere affrontato in questa sede per cui continuiamo con il nostro excursus tra i santi del freddo. Il 17 gennaio, con falò accesi in tutta la penisola, arriva il Santo patrono degli agricoltori e degli animali, il santo che raccoglie l’eredità del dio Lug, divinità celtica della luce, Sant’Antonio Abate. Oltre che dare inizio ai festeggiamenti di carnevale con vere e proprie sfilate in maschera come a Montemarano (AV), il santo gode di gran considerazione presso tutto il mondo agrario per i legami col maiale e gli animali della masseria. In alcuni paesi, come a Montefalcone in Valfortore (BN), il 17 gennaio, gli animali domestici, belli infiocchettati, vengono portati sul sagrato della chiesa per la benedizione del sacerdote, una volta c’era anche la corsa dei cavalli; anche  in altri paesi (Rocchetta Sant’Antonio – FG) si benedicono ma senza decorazioni. Carmen Fumagalli da Bergamo parla del santo invocato per trovar marito, ecco come recita la filastrocca bergamasca: Sant’Antóne de la barba bianca / fim troà chèl che l’me manca / sant’Antóne miraculùs / fìm la grassia de fà ‘l murùs: / sant’Antóne del porsèl / fì ‘n manéra che l’siès a bèl / se pò l’gh’à a’ di palanche / fì ‘n manéra che no l’me manche… (Sant’Antonio della barba bianca / fammi trovare quello che mi manca / sant’Antonio miracoloso / fammi la grazia di fare il moroso / sant’Antonio del porcello / fate in modo che sia bello / se poi è anche benestante / fate in modo che non mi manchi.) “Sant’Antuono santo ‘ntonato si ea vero la vernata ea passata”, ma non è proprio così, il freddo persevera con il santo “’mpicciuso”, un santo pericoloso per alcuni lavori agricoli e domestici, è San Sebastiano, in alcuni dialetti “Vastiano”. Sono diverse le attività tabuizzate e di varia natura, vanno dal veto di far salami al tagliar legna o seminare fave, piantare alberi ecc. “A Santo Vastiano non se ‘sfascia e non se ‘ntiana”. Quanto al freddo, in Piemonte dicono: “San Sebastian’ frecc’ da can’”, anche perché, in Puglia dicono: “A Sant’ Vecienz’ viern’ mett’ le diente” e San Vincenzo si festeggia il 28 gennaio.

 

 

Energia dell’Arte all’Osteria Pica, Vera Mocella, Quotidiano del Sud 23 dicembre 2014

10435907_10203235845121159_7971192919992751454_nL’Irpinia come luogo del silenzio ma anche della parola, quella scritta su carta, o quella declamata dai poeti, terra di paesaggi e di immagini, e quindi creatrice di arte e di poesia, senza dimenticare l’antico rito dello stare insieme, magari riuniti intorno al fuoco, ad ascoltare le antiche storie.  Ma anche terra di pane e di ginestre, in cui l’arte di ritrovarsi insieme, intorno a un tavolo, cementa antiche amicizie, e ne fa nascere di nuove. E’ questo il leitmotiv profondo che anima gli appuntamenti culturali ospitati dal Bar San Bernardino di Lioni, di Antonio Pica, e che è diventato ormai sinonimo di raffinatezze culinarie, basate sulla tradizione irpina, e di amore per la cultura. Si è conclusa l’edizione 2014 di “Autunno d’autore”, curata da Franca Molinaro, della Grande Madre, con l’ausilio di Antonio Pica. «E’ stata una esperienza esaltante – ha affermato Antonio Pica – abbiamo cercato di coniugare, come sempre, letteratura, arte, musica, convivialità. La cultura mediterranea dello stare insieme, che comprende tutto questo. Si ripartirà con altri appuntamenti per l’anno nuovo, spero che siano, come sempre, una esperienza umana e culturale importante, in grado di ampliare i nostri orizzonti, e di offrire nuove prospettive». Soddisfatta anche Franca Molinaro: «L’Irpinia è un territorio splendido, il nostro tentativo è sempre quello di rivalutarlo, partendo dalle tradizioni, qui è la terra dove riti, cultura e sapori si incrociano, ed è anche la terra di origine di importanti intellettuali, ed artisti. Ci è sembrato naturale, dunque, organizzare questi appuntamenti,  perché anche adesso il flusso di idee, di arte, di musica, di produzione di libri è notevole. La ricchezza della dimensione del Sud, in questi incontri, emerge tra unità e molteplicità soffermandosi, con armoniosa musicalità, su esperienze di vita, tradizione, gioia, dolore, per proiettare speranza nel  futuro, e per vivere un presente che, con coraggio, bisogna costruire e svelare.». Vera Mocella

 

Nuovo inizio con rituale euforia effimera

searchRestano i problemi irrisolti come la paura per l’arrivo delle trivelle: non si può abbassare la guardia e allora si ritorna in marcia. Ottopagine 4 gennaio 2015, franca molinaro
Seduta in poltrona davanti al caminetto osservo il ceppo che si consuma insieme alle ultime ore dell’anno. Cerco un’ispirazione, un pensiero per iniziare il 2015 con un articolo appropriato ma la mente corre inevitabilmente alla moltitudine che tra poco si riverserà nelle strade a scacciare il vecchio anno ed inneggiare al nuovo augurandosi, senza troppa convinzione, tante cose buone. Botti e spari di ogni natura, continuano a scoppiettare nonostante la crisi economica,  euforia effimera, come le bollicine dello spumante non sempre fatto di vino, rosso obbligatorio soprattutto per l’intimo. Quanto di fasullo ha costruito questa civiltà dei consumi che pretende di festeggiare anche quando non c’è nulla di cui gioire se non per aver vissuto ancora un anno e scampato malattie e pericoli! Nessuno però pensa di ringraziare Dio per i giorni trascorsi, tutti sono occupati a sfrattare l’anno vecchio e onorare il nuovo di cui non si sa ancora nulla tranne che si è un passo più vicini alla morte. Il capodanno poi ha una storia tutta umana, con tutte le limitatezze della specie. Ogni popolo, ogni governo, ha stabilito la data del proprio capodanno. I Celti lo festeggiavano per Ognissanti, momento di confusione in cui si aprivano le porte dell’altra dimensione, i Romani festeggiavano Giano, il dio dalle due facce, nel Medioevo poi,  vi erano date diverse secondo gli stati, sempre rispondendo a motivazioni cattoliche o politiche. Le date andavano dall’autunno alla primavera. Fu Innocenzo XII, nel 1691, a stabilire che il primo gennaio dovesse corrispondere al capodanno, giorno dedicato alla Madre di Dio e alla circoncisione di Gesù. In seguito la data fu adottata in tutto il mondo pur con svariati tentativi di sabotaggio da diversi regimi, ultimo il fascismo. Così l’uomo ha frazionato il tempo non rispettando il suo naturale scorrere, segnato da evidenti segni astronomici, ma seguendo il gusto del pensiero dominante. Per noi a latitudine Nord sarebbe stato più logico iniziare l’anno nel momento in cui il sole risale sull’orizzonte celeste ed aumenta le ore di luce sulla terra, ma questo non è attuabile perché le stagioni non corrispondono nei due emisferi e il nostro solstizio invernale, ipotetico capodanno naturale corrisponde al solstizio estivo nell’emisfero australe. Bella confusione. Dunque bisogna rassegnarsi, non c’è soluzione migliore  di quella adottata dal calendario gregoriano, il capodanno si festeggia il primo gennaio giorno dedicato a Maria, la nuova Eva, la Madre di Dio. Non si è perduto nulla allora, la Grande Madre, ora sotto il nome di Maria, è festeggiata con l’arrivo del nuovo anno, nel suo utero, nero come la notte, la vita sopita si rigenera. Il letargo della natura è un momento di stasi, un riposo fecondo, precursore della rinascita che di qui a qualche mese osserveremo nelle prime margheritine e favagelli luminosi nei prati. Noi della “Grande Madre” rispettiamo questo momento di silenzio per rivedere l’operato trascorso, analizzare le attività e migliorarle. Non dimentichiamo, però, di ringraziare chi ci ha dato la forza di percorrere il più possibile le vie della correttezza e dell’amore. I successi di questo anno trascorso non ci inorgogliscono ma ci insegnano che è indispensabile mantenere gli equilibri interni per far fronte ad ogni necessità muovendoci sempre nel rispetto del prossimo e della sua opera. Il concorso “Echi di poesia dialettale” ci ha permesso di stringere tante belle amicizie ovunque, ci siamo arricchiti infinitamente di anime, così come l’”Autunno d’Autore all’Osteria Pica” e l’”Energia dell’Arte” conclusa il 29 dicembre con Giandonato Giordano, gli “Studi di etnobotanica”, “Le ricorrenze della Grande Madre” e tutte le altre attività intraprese. Per il 2015 si lavora già a tempo pieno, il calendario è pronto, siamo partiti ieri a Teora con Nicola Guarino e la sua ultima silloge poetica “Il rumore dei silenzi”. Nicola è ormai compagno di viaggio in questo cammino impervio che abbiamo intrapreso, con noi condivide ostinatamente il bisogno di condivisione e d’amore. Si prospettano tante battaglie: contro l’ipocrisia, contro la violenza e, soprattutto, in questo momento contro il reiterato tentativo di violare il grembo della Grande Madre. Per questo, una nostra rappresentanza, ha partecipato, a Gesualdo, alla manifestazione regionale organizzata dal Coordinamento irpino NO TRIV, per la salute e l’economia del territorio contro i disagi ambientali. Lo spauracchio del petrolio aleggia ancora nei cieli campani, non bisogna abbassare la guardia, in alto si è convinti che l’oro nero possa essere il mezzo ottimale per risanare l’economia italiana. La nostra povera terra si trova ancora una volta in balia di padroni matricidi. Secolo dopo secolo, la storia si ripete, identica, il Sud paga e non ha abbastanza voce per farsi ascoltare forse perché non conosce i cori ma è abituato da sempre a voci soliste.