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Bonito: Giornata mondiale della poesia 2015

DSCN1507Primavera e poesia, incanto tra versi e colori    di Franca Molinaro Ottopagine 21 marzo
La primavera torna sempre seppur con le sue variazioni climatiche, con alluvioni o nevicate. Inevitabilmente, nel nostro emisfero, l’Equinozio di Primavera segna il prevalere delle ore di luce sul buio. La notte si accorcia e il giorno, dal pareggiare le ore il 21 marzo, si allunga sempre più mentre i raggi solari raggiungono la terra in modo più perpendicolare riscaldando maggiormente. Il grande astro luminoso, padre di tutte le creature che vivono sul pianeta, in un lussurioso connubio, feconda la terra fin nelle sue viscere. Si scalda il seme nel suolo e germoglia, i bulbi e i tuberi impegnano tutte le riserve e incominciano a mettere tenere foglioline. Nei dotti la linfa sale verso gli apici e si gonfiano le gemme, si mette in moto la vita. Anche il mondo animale subisce questa piacevole sollecitazione e si dispone tutto alla riproduzione. Tutti gli uccelli indossano la veste della festa e adornano il piumaggio di colori e fregi accattivanti, richiamo amoroso per le femmine. Si svegliano i rettili e tutti quanti hanno approfittato dell’inverno per schiacciare un pisolino più lungo e tranquillo al sicuro nelle tane. Il cielo si fa più azzurro e le ultime rondini, sopravvissute ai pesticidi ed altri attentati, ritrovano il nido sfaldato dalla pioggia, sotto i tetti e nelle crepe di vecchi edifici. Hanno un gran da farsi per ristrutturarlo con paglia e fango prima di disporsi alla deposizione delle uova. Questo fermento di vita non lascia indifferente l’uomo sensibile che avverte, nel profondo del suo essere, una nuova energia, fonte primaria di vita: l’amore. Son tante le storie che nascono a primavera, magari durano poco, quasi mai tutta la vita. Pochi sono gli animali fedeli sul pianeta, i più noti sono: le oche bianche, capaci di morire di malinconia per la perdita del compagno, le aquile di mare testabianca, i cigni, le tortore, le colombe, gli albatros, i gibboni e i lupi. Fedeltà o meno, per fortuna l’uomo continua a innamorarsi e  gode quell’energia capace di smuovere le montagne poi, quando tutto finisce, sprofonda nell’abisso più cupo fino a toccare il fondo. Tutto passa però e il tempo ricostruisce, la primavera riporta il sole dietro le nubi. I poeti, più di tutti, avvertono queste vibrazioni ed a loro, l’Unesco, quindici anni fa, affidò il compito di promuovere, attraverso la sensibilità poetica, il dialogo, quindi la pace tra le popolazioni del pianeta, istituendo la Giornata  Mondiale della Poesia proprio nel giorno dell’Equinozio di Primavera. Noi della “Grande Madre”, sensibilissimi ai mutamenti della natura, abbiamo festeggiato il risveglio della Terra celebrando questa giornata speciale. Anche quest’anno abbiamo voluto che l’evento si svolgesse nella sede dell’associazione, la Biblioteca Comunale di Bonito, con il patrocinio del Comune e   la collaborazione del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud. Si è parlato di “Vino, Eros e Poesia, da Omero ai giorni nostri”, un’antologia in cui sono raccolti i versi dei poeti che in tutti i tempi e in tutto il mondo hanno parlato di vino, con un’attenzione particolare per gli autori irpini. Il testo è curato da Alessandro Di Napoli in collaborazione con Paolo Saggese e Giuseppe Panella. La felice intuizione dei curatori ha dimostrato come, da sempre, questo trinomio risulta quasi inscindibile. Il vino, nettare divino, con le sue proprietà disinibitorie sposa il poetare e meglio ancora l’eros che, spogliandosi delle sovrastrutture morali sedimentate nel corso dei tempi, si abbandona alla naturalezza del suo essere. Ma il profano e il pagano, da secoli immemori è soggetto ad evoluzioni culturali e religiose che lo riabilitano e lo reinvestono di nuove sacralità per non stravolgere mai totalmente le strutture mentali degli umani, piuttosto è preferibile soggiogarle mantenendo gli stessi simbolismi. Come il grano, nelle civiltà mediterranee, così il vino, lo stesso destino li ha accomunati senza mai perdere gli onori degli altari. Se da un lato, dunque, il vino sposa l’eros e le sue lascivie, dall’altro si sacralizza e personifica la divinità più alta di ogni credo. I poeti di tutti i tempi hanno inseguito questo dualismo scivolando da un lato o dall’altro, altre volte mantenendo il delicato equilibrio come il vino di una buona annata. Molti i versi letti cui si sono intrecciati i commenti dei curatori, del sindaco di Bonito Giuseppe De Pasquale, del responsabile del Settore Cultura Valerio Massimo Miletti e di Emilio De Roma coordinatore della “Grande Madre” che ha concluso riassumendo le attività intraprese in questi anni di lavoro associativo. A dare il benvenuto alla nuova stagione ha contribuito la musica di Gerardo Lardieri e Daniela Vigliotta che hanno riproposto brani della tradizione musicale irpina. Gli interventi dei due musicisti della Grande Madre hanno il potere di affascinare il pubblico, di catturarlo e condurlo in una frazione a-storica dove ogni angoscia si allevia e lo spirito gode finalmente di un attimo di pace. Certamente solo un attimo, una parentesi nel livore di questo momento terribile, ma comunque un’occasione per rigenerarsi e continuare.

Padre Lodovico, la forza della fede

       ludovico acernese  franca molinaro, Ottopagine, 15 marzo 2015
“In un momento tragico, come quello che stiamo vivendo, riscoprire i valori antichi della fede, della bontà ma, soprattutto, della comunione col prossimo, è l’arma più indicata per contrastare l’ondata di violenza che sta soggiogando il mondo”.  Queste le parole con le quali, il nostro coordinatore Emilio De Roma, proponeva di sostenere, come Centro di Ricerca Tradizioni Popolari “La Grande Madre”, la causa di beatificazione del conterraneo padre Lodovico Acernese da Pietradefusi.  Tutti concordi, plaudimmo subito questo proposito perché ogni intento volto al bene del pianeta e dell’umanità è da noi sposato e sostenuto. Per conoscere il personaggio, è utile leggere la recente pubblicazione di Pasquale Maria Mainolfi “Padre Lodovico Acernese, un apostolo dai vasti orizzonti. Monsignor Mainolfi, stella luminosa nel Panteon culturale – religioso del Sud, traccia con linee decise, il profilo del frate pietrafusano. Il testo si apre con la significante metafora del chicco di grano che muore per dare la vita. Un incipit accattivante e profondo che riassume tutte le sacralità della cultura mediterranea a partire dai suoi albori: il grano, antico nume, nel corso dei millenni personifica la divinità più alta fino ad identificarsi con Cristo. Ma vediamo, in breve, chi era questo personaggio tanto onorato da poter sostenere la metafora del grano.  Erano gli anni postunitari, la Chiesa, dopo le angherie subite dal nuovo Stato, cercava di ricomporre i pezzi e continuare il suo apostolato tra la gente umile che nulla conosceva di politica se non il reale ulteriore disagio provocato dal nuovo Governo. Era tra questi che si muoveva il santo uomo, tra le persone che non avevano sostentamento necessario per vivere un’esistenza dignitosa. Padre Lodovico, al secolo Antonio Acernese, nacque a Pietradefusi (Avellino) il 14 aprile 1835 da Giuseppe e Teresa Petrillo, contadini benestanti, religiosissimi. Nel 1849 entrò nel seminario diocesano di Benevento, dove si formò solidamente attraverso lo studio della teologia e della filosofia. Terminò gli studi liceali nel 1855, quindi si iscrisse ai corsi di Giurisprudenza in Avellino. Vestì l’abito francescano nel giugno 1856, e nel 1859 fu ordinato sacerdote. Insegnante in vari livelli scolastici, professore di filosofia, poeta e scrittore, pubblicò diversi testi, collaborando, contemporaneamente con varie testate giornalistiche. Nel 1885 fu nominato Provinciale della Provincia Napoletana, terra particolarmente mortificata dagli eventi storici. Il suo provincialato conferì una ventata di speranza, ma i tre anni passarono in fretta e, allo scadere della carica, tornò a Montefusco con la nomina di Padre Guardiano. Il ritorno alla realtà di paese, con tutte le miserie, maturò nel frate i progetti che presto si concretizzarono. In poco tempo istituì le Fraternità Terziarie di Montefusco, Pietradefusi, Montaperto, Montemiletto, Montefalcione, Santa Paolina, San Giorgio del Sannio, Passo, Venticano, Taurasi, Mirabella, Bonito, Lapio. Da questa felice intuizione giunse alla fondazione della Congregazione delle suore Francescane Immacolatine. Intanto, convinto sostenitore della scolarizzazione del popolo, aprì una scuola elementare a Montefusco. Tra i suoi figli spirituali presto si distinse Teresa Manganiello di Montefusco, ragazza di umile famiglia che entrò nel Terz’Ordine Francescano a ventidue anni.  Tutta votata alle opere pie di assistenza, Teresa aveva come scopo il soccorso ai poveri, agli orfani e a tutti coloro che si trovavano nella malattia e nel dolore. La giovane, nella sua veste di “Analfabeta Sapiente”, nel 1873 si recò dal Pontefice Pio IX per proporgli la fondazione di un nuovo Istituto religioso. Il Papa accolse la proposta con entusiasmo e la congedò con la sua benedizione. Ma Teresa, proposta dal frate come Madre Superiora, non poté guidare materialmente le sue sorelle, volò in cielo tre anni dopo l’udienza papale. Nel 1881, fu padre Lodovico a fondare la Congregazione delle Suore Francescane Immacolatine a Pietradefusi, e Teresa fu considerata “Madre Spirituale” e “Pietra Angolare” della nuova istituzione.  Intanto per padre Lodovico si prospettavano tempi difficili, tutti i santi uomini sono sottoposti a prove dure che li fortificano e ravvivano ulteriormente il loro splendore. Alcune biforcute lingue paesane, mai assenti nelle piccole comunità, gli attriti con il Superiore Provinciale, circoscrissero le attività di Ludovico costringendolo nell’abito nero di sacerdote, fuori dall’Ordine Cappuccino che lui preferiva ad ogni altra figura. In questi anni si stabilì nell’Ospizio  ricavato da una sua eredità poi, appena dopo la morte del Superiore avverso, fu riammesso nell’ordine. Il 27 gennaio 1908, finalmente indossò di nuovo il saio per la gioia sua e dei suoi compaesani. Morì nel 1916 nella sua amata Pietradefusi lasciando una eredità spirituale degna di santità, la sua pupilla, infatti, Teresa Manganiello, il  22 maggio 2010, è stata proclamata Beata nella città di Benevento. Teresa e Lodovico erano due persone completamente differenti, lei ubbidiente, silenziosa, analfabeta, lui dotto, irascibile, volitivo, però entrambi accumunati dall’amore per il prossimo bisognoso, dal desiderio di un mondo migliore vissuto all’ombra protettiva della fede che genera pace. Su questa scia si muove la comunità pitrafusana e quante hanno avuto modo di conoscere la sua figura.

 

Quelle antiche storie di brigantaggio

 

 Per molti fu occasione di rivisitazione storica alla luce di nuovi aneddoti mai raccontati o tralasciati perché la storia dei vinti, si sa, non fa mai storia.

franca molinaro      Ottopagine 1 marzo 2015    

DSCN1404Il centocinquantesimo dell’Unità nazionale, festeggiato qualche anno addietro, suscitò reazioni differenti negli animi degli Italiani, secondo la formazione culturale, la latitudine ecc.. Per molti fu occasione di rivisitazione storica alla luce di nuovi aneddoti mai raccontati o tralasciati perché la storia dei vinti, si sa, non fa mai storia. In questo incendio di spirito nazionalistico, e non mi riferisco alla nazione attuale ma al Regno delle due Sicilie, molti abitanti della scomparsa nazione Napolitana, issarono la bandiera candida, dal fregio dorato, senza pensarci troppo. Un fiorire di festeggiamenti-commemorazioni imperversò lungo tutto lo stivale con accesi dibattiti. Qualcuno, temendo la precarietà dell’unità attuale, sventolò con più impeto il tricolore nella convinzione che i discorsi di occasione e le apparenze potessero mantenere insieme un popolo che non è stato mai unito da nulla a cominciare dalla lingua. Il Sud è diverso, inutile immaginarlo come il Nord, ha i suoi valori che non sempre risultano essere tali alla luce della ragione, ma è la sua cultura. Anche il Nord è diverso e non si può dire che è sbagliato o che è migliore, ogni territorio ha le sue bellezze indiscusse nella natura e nelle tradizioni delle etnie che lo abitano. Ogni uso è interessante se saputo leggere nelle sue sacralità, se rispettato per quello che è senza pretese e senza aggiunte. Il problema arriva quando si pretende di cancellare la storia di un popolo ritenuto “ignorante” con l’intento di acculturarlo. Probabilmente quel popolo è incolto ma non sprovveduto, ha la sua impalcatura storica, le sue sedimentazioni culturali sulle quali fonda il suo presente. Accade sempre nella storia, è ricorso che torna puntualmente ogni volta che un popolo belligerante o desideroso di espansione, decide di assoggettare il vicino di casa. Arriva, distrugge e impone il proprio costume, addirittura la propria lingua, la cosa peggiore. Il grande Ignazio in proposito scriveva: “Un populu,
diventa poviru e servu / quannu ci arribbanu a lingua / addutata di patri: / è persu pi sempri. / Diventa poviru e servu  / quannu i paroli non figghianu paroli / e si manciunu tra d’iddi”.  Questa è una delle ragioni per cui, noi della Grande Madre abbiamo pensato un concorso di poesia dialettale e lo portiamo avanti con impegno costante. Ma torniamo al movimento sorto intorno ai festeggiamenti del centocinquantesimo dell’Unità Nazionale. Qualcuno, come Paolo Saggese, si occupò di ricostruire la poesia di quegli anni, interessante lavoro che mette a nudo la stucchevole forma poetica dei “servi di partito” del tempo. Personalmente devo ammettere il mio fallimento nel tentativo di realizzare un’antologia del controrisorgimento; il materiale era poco e gran parte pubblicato in testi a tema. Già la Calabria aveva provveduto a pubblicare “L’urlo dei vinti. Poesie di protesta della Calabria post-unitaria”, una struggente raccolta dialettale curata da Salvatore Neri. Il materiale per la mia antologia era irreperibile per ovvie ragioni: l’assenza di documenti scritti, il veto del nuovo stato verso ogni affermazione che potesse mettere in discussione la nazione nascente, il tutto mi fece desistere dal proposito. Altri scrittori si son cimentati in romanzi e saggi, chi con idee chiare, chi di parte, infiammati ancora da rabbia repressa. Tra molti scritti interessanti, figura un bel romanzo d’amore scritto da una scrittrice salernitana di Campagna, Maria Rosaria Salito, “Brigante per amore”, pubblicato da Ripostes Edizioni. L’aspetto saliente, di questo scritto, sicuramente è l’equilibrio tra le parti, l’obiettività con cui sono affrontati gli argomenti. Il lieto fine proprio delle favole, in questa storia d’amore contrastata dagli eventi storici e facilitata dalla creatività dell’autrice, non impedisce alla Salito di ripercorrere i momenti terribili di quegli anni postunitari. Il brigantaggio, ovvero la rivolta partigiana del Sud, emerge come un flagello al pari dell’invasione piemontese. Il male è male e basta, la violenza è violenza da chiunque è messa in atto, non v’è fine che giustifica il mezzo sebbene v’è convinzione, in certi intellettuali e in alcuni momenti nel popolo, che la guerra rigeneri e ve ne è necessità, urgenza in alcuni momenti. A volte causa delirio e genera una forza straordinaria, ma è la forza dell’odio non dell’amore. Non è giusto che un popolo s’intrufoli con la violenza su territori altrui ma non è nemmeno giusto che l’invasore combatta a denti armati la difesa. Sembra un assurdo la mia affermazione eppure, in ogni caso, è opportuno tentare una mediazione che vada oltre il comune ragionamento, un’azione che escluda lo scontro armato puntando sulla prevenzione e la diplomazia. Discorsi utopici, sicuramente, specialmente in questo momento in cui tutto il pianeta è in balia di un’ondata di violenza. Di tutto questo e di altro si è discusso al secondo appuntamento con l’Energia dell’Arte” all’Osteria Pica di Lioni con Maria Rosaria Salito, Emilio De Roma, Paolo Saggese, Nicola Guarino, Enzo Angiuoni, Maurizio Ulino e la sottoscritta. Spiega De Roma: “E’ opportuno parlare di pace, diffondere il messaggio soprattutto quando questa viene affossata da interessi e accordi di interesse multinazionale. Noi non possiamo molto contro tale potenza ma possiamo mantenere viva la coscienza e la predilezione per la cooperazione e il rispetto dell’uomo e del territorio”.