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“Echi di poesia dialettale, si va verso la premiazione

http://www.ottopagine.it/av/cultura/27439/echi-di-poesia-dialettale-si-va-verso-la-premiazione.shtml

Bonito.

11709941_964389246957796_5586787274767273503_oE’ duro portare avanti con precisione e correttezza un concorso di poesia dialettale soprattutto quando l’afflusso dei poeti è notevole e di ogni provenienza. E’ un lavoro laborioso che può seguire solo chi ha la passione per i dialetti; non ci si improvvisa esperti se non si è capaci di parlare almeno il linguaggio del proprio paese. Purtroppo, le nuove generazioni, non avendo più contatti con gli anziani, hanno perduto ogni conoscenza di tradizioni, dialetti, costumi. Siamo noi, generazione a cavallo tra i due secoli, a conservare ancora una certa competenza in materia, dopo di noi c’è la fine di ogni suono inconsueto e la crescita florida di nuovi idiomi nati dalle chat o da lingue internazionali dominanti. Fu questa consapevolezza che, alcuni anni fa, fece nascere in me il desiderio di recuperare, attraverso la poesia, i dialetti d’Italia. Dopo varie esperienze siamo riusciti, nel seno della Grande Madre, a far crescere il concorso, internazionalizzarlo, ottenere alti consensi e un afflusso di poeti considerevole. Dopo un anno di lavorio continuo, alla vigilia della conclusione, si avverte la stanchezza ma anche il piacere indicibile del risultato ottenuto.

 

Numerose nuove amicizie, apertura oltre i confini nazionali, contatti con gli Italiani sparsi per il mondo, consensi inimmaginabili da parte di istituzioni e poeti, sono solo alcune delle gioie provate. Abbiamo costruito il tutto con pazienza e umiltà, mattone su mattone, dialetto dopo dialetto abbiamo percorso la penisola da Nord a Sud, da Est ad Ovest, ammirando prima la dolcezza del veneziano, poi il piemontese che non sembra italiano ma a decifrarlo diventa bello come gli altri. Anche il lombardo ha il suo fascino, mentre il più incomprensibile è il ligure. Per l’Emilia, a scendere, lungo lo stivale, diventa tutto più semplice, già dalle Marche si nota un qualcosa di familiare, attraverso il Lazio, fino a Roma col suo contagioso e inconfondibile romanesco che subito ti riporta alla mente Trilussa. In Campania trionfa il napoletano ma gli Appenninici non si lasciano offuscare e i loro suoni si articolano in mille modi differenti, uno per ogni paese.  La Puglia, con i suoi enclave linguistici, è poliglotta, copiosa la sua partecipazione con linguaggi totalmente differenti da un capo all’altro della regione. Tra Molise, Cilento e Lucania non v’è una gran differenza, ci si comprende benissimo e accomuna anche lo spirito, i sentimenti. Scendendo verso la Magna Grecia gli animi si riscaldano, il sangue bolle, tra Calabria e Sicilia non so dire chi ha più stoffa, più passione; nel verso leggi la bellezza della terra e la sofferenza dei suoi popoli, avverti profumi di mare e zagare, di ulivi in fiore.

 

E’ un altro mondo, altre storie, altri antenati, genti che giunsero dal mare e portarono conoscenza, sapere e con esse la maledizione di Dido: “Non vi sia più pace tra le due sponde”, le sponde di questo immenso lago che è il Mediterraneo. Mare Nostrum è anche la linea di opere d’arte che ho creato proprio per il concorso, dove ho voluto rappresentare la storia, la gloria passata, le bellezze della natura ma anche vecchie e nuove angosce, vecchie e nuove croci sui Golgota dell’accoglienza. Momenti difficilissimi questi per il Mare Nostrum, Nostrum degli Europei, non dei fratelli sull’altra sponda, così ci è parso straordinario il messaggio di pace giuntoci dalla Tunisia in arabo puro. Il nostro è un concorso di poesia dialettale italiana, non rientrerebbero le lingue straniere ma, in questo caso, ci è sembrato così forte il contenuto che abbiamo voluto inserire la poesia in coda all’antologia.

 

La poesia è “Messaggio per l’uomo” di Qais Alnjlawi, di Al-Jarissah, tradotta da Salima Abounnars di Casablanca, un messaggio in barba ai tanti attentati alla pace e al terrorismo islamico. Sarà proprio questa poesia ad aprire la rassegna domenica 2 agosto a Bonito, nella struttura conventuale Sant’Antonio da Padova, dopo l’aperitivo (ore 17,00) e il saluto delle Amministrazioni comunali di Bonito e Nusco, dei giurati Andreina Solari, Paolo Saggese, Giuseppe Vetromile, e del pres. di giuria Emilio De Roma, del dir. di Tema Magazine Valeria Leone. A seguire, letture poetiche degli autori presenti in sala, trenta fin ora i prenotati tra primi premi, menzionati, segnalati e inseriti in antologia. Gli interventi musicali saranno curati da Gerardo Lardieri e Daniela Vigliotta della Grande Madre, Luigi Pagliuso e, ospite d’onore, Giovanni Molinaro, maestro e compositore, virtuoso della fisarmonica, conosciuto e apprezzato nei suoi ambienti. Appuntamento a Bonito dunque per questa imperdibile serata.

Franca Molinaro

La Grande Madre tra itinerari e etnobotanica

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centaurium erythraea RafnSant’Angelo a Scala: Grotta di San Silvestro

Il sole, in questi giorni è prossimo ad entrare nella costellazione del Leone e il caldo è al limite della sopportazione, è l’estate più calda degli ultimi 150 anni. L’autostrada è un nastro incandescente e il fuoristrada un forno ambulante. Si comincia a respirare salendo la statale che da Mercogliano sale il Partenio per poi discendere verso la provincia beneventana. Anche quest’anno, per l’affetto che mi lega a Maria Assunta e l’amore per la montagna, mi ritrovo, con la Grande Madre, tra i partner di “Terra e fuoco” a Sant’Angelo a Scala. Il paesino è attaccato a un costone, sotto uno strapiombo di roccia bianca, su, a una notevole altitudine, c’è la Grotta di San Silvestro e il Santuario dell’Incoronata dove si accede tramite antichi sentieri oggi ben strutturati. Entrambi luoghi di culto, da sempre vedono processioni di devoti salire per l’ardua fiancata attraverso i boschi di castagno e le faggete. Un tempo era in uso, nelle ragazze da marito, di far nodi alle ginestre durante il pellegrinaggio; erano nodi d’amore e la Madonna Incoronata avrebbe favorito, come le Grandi Madri mediterranee, matrimonio e fertilità. Oggi la montagna è divenuta meta di escursionisti, un po’ si è perduta la fede religiosa eppure, davanti alla grotta di San Silvestro, un mucchietto di stracci multicolore è retaggio di credo antichi ancora ben ancorati al luogo. L’ammalato che viene al santuario si bagna utilizzando un indumento, poi lo lascia sul posto, il male deterso attraverso l’acqua santa della grotta resta in custodia della montagna.

Con Maria Assunta abbiamo più volte risalito i sentieri per studiarne la flora, ora è giunto il momento di rendere partecipi tutti con un convegno, appunto: Itinerari ed etnobotanica. L’incontro si è tenuto nella bella sala conferenza della scuola, con il coordinamento di Maria Assunta Basile, ormai di casa nel paesello montano, in collaborazione con l’impeccabile assessore Valentina Sbordone, il sindaco Domenico Majello, il presidente di Irpinia Trekking Antonio Maffei, il medico ricercatore Rocco Fusco della Tenuta Ippocrate.
L’idea della dottoressa Basile è un progetto condivisibile che può essere sposato anche dalle Comunità Montane. Avvicinare le persone alla Natura con intelligenza e competenza significa dare un’opportunità a questi paesi in cui la risorsa principale è proprio il territorio integro, la natura incontaminata; ma significa anche dare all’uomo l’opportunità di ritrovare se stesso.
L’uomo moderno va sempre più perdendo il contatto con la terra e le sue creature, questo gli causa enormi squilibri emotivi, le sue energie vitali sono sconnesse, disordinate, la sua mente è confusa, non ha più la serenità interiore che gli permette di vivere bene, le ansie lo assalgono, il malumore è persistente; l’agitazione, lo sguardo torvo, la preoccupazione di imporsi o primeggiare sono una costante.
Vive al ritmo del motore della sua auto, ragiona con il suo computer; decide secondo quanto gli impone la scatola maledetta che lo bombarda coi suoi messaggi subdoli tanto da far preferire le merendine alla crostata della mamma, il vino nel cartone a quello della cantina del contadino, la verdura in busta prelavata a quella dell’orto. L’uomo che vive la natura lo riconosci subito, ragiona con serenità e lucidità, il suo discorso è pacato e comprensibile, dalle sue parole si avverte un mondo interiore ricchissimo, un’apertura al prossimo senza profitto o falsa bontà, egli è vero come la materia con cui interagisce. L’uomo abituato al contatto con la natura ha sviluppato capacità riflessive e comprensive, sa mettersi in contatto con chi ascolta con poche semplici parole ma che riassumono chiaramente il suo pensiero che è sempre corretto. Sono uomini rari e io ho avuto la fortuna di incontrarne uno a Sant’Angelo: Antonio Maffei, un uomo che con parole semplici dice grandi cose. Quest’anno ha organizzato dei corsi per preparare gli accompagnatori, una figura non contemplata dalla legge italiana ma che si potrebbe proporre in quei territori la cui ricchezza è il turismo ambientale.

Son sicura che un allievo di Maffei non è solo un tecnico del trekking ma un uomo capace di sentire la montagna nelle sue energie più profonde, capace di ascoltare il vento e i suoi profumi, distinguere la nuvola che porta la pioggia, l’albero dall’arbusto, le orme della volpe da quelle del lupo. Mi piace aggiungere che una eventuale guida dovrebbe riconoscere almeno le piante più comuni che incontra lungo i sentieri e saper spiegare l’uso che se ne fa in quel territorio, le pericolose dalle commestibili, quelle protette o quelle in via di estinzione. L’accompagnatore non deve essere necessariamente un forestale o uno statale, potrebbe essere una figura partorita da un’associazione o una cooperativa che si autofinanzia con i contributi degli escursionisti. La chiave del successo è nel saper rendere accattivante e intelligente l’escursione con notizie, curiosità, storie e storia delle piante o degli animali del territorio, dell’uomo indigeno e dei suoi vissuti. Basta parlare con un contadino di questi luoghi e subito si scopre che in quel burrone s’è visto il fantasma di una signora, in quell’altro luogo è comparso l’angelo, più in là si può sentire il lamento dell’uomo assassinato. La montagna è tutto questo, è un sistema vivente, olistico, in cui l’uomo è solo un componente spesso pericoloso. Occorre avere questa umiltà per affrontarla, tanto rispetto da divinizzarla, tanta conoscenza per amarla.

Cibo, lavoro e la magia della musica

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