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Progetto “Incontro con l’autore”, i “Poeti della Grande Madre”: Gustavo Di Domenico di franca molinaro

12744292_1089078111155575_2546924715104323193_n.jpgProgetto “Incontro con l’autore”, i “Poeti della Grande Madre”: Gustavo Di Domenico di franca molinaro
E’ partito venerdì 19 febbraio, il progetto del Centro di ricerca tradizioni popolari “La Grande Madre”: “Incontro con l’autore” curato dal prof. Emilio De Roma e svolto in collaborazione con l’Istituto Comprensivo “Rachelina Ambrosini” di Venticano, Torre le Nocelle, Pietradefusi, Montefusco. Il dirigente scolastico Maria Ilde Ianniciello ha accettato con entusiasmo la nostra proposta e ha dimostrato interesse ad interagire con le associazioni che portano valori e cultura all’interno della scuola. A curare in modo ottimale tutti gli aspetti organizzativi è stata la professoressa Angela Politano di Pietradefusi. Il poeta presentato è Gustavo Di Domenico di Albano Laziale (RO), la leggendaria Albalonga fondata dal figlio di Enea che dette i natali alla stirpe di Roma. Di Domenico è stato scelto tra i poeti della Grande Madre per la sua umiltà e bellezza di scrittura, per i valori che la sua persona trasmette attraverso il suo porsi semplice e schietto. La sua poesia segue lo stile dell’illustre Trilussa che lasciò un’impronta forte sulla poesia dialettale romanesca. Sulla scia dell’avo, Gustavo racconta con ironia, attraverso gli animali e le scene di vita quotidiana, i difetti e i paradossi dell’umanità che padroneggia sul creato mancando spesso di rispetto alle sue creature. Ci rimettono gli animali del circo costretti a fare cose ridicole ma anche il regno vegetale come la margherita “spennata” per sapere se il proprio amore è quello giusto. Poi osserva gli uccelli che si azzuffano per una mollichella di pane ma alla fine non conservano l’odio come fa l’uomo che si scanna non necessariamente per riempire la pancia. Non manca di sottolineare l’importanza dei sentimenti trascurati spesso a dispetto della ragione, “Core e cervello” è proprio un dialogo tra il cervello che si sente superiore per locazione e capacità e il cuore che invece lascia spazio alla riflessione e permette di ampliare i propri orizzonti attraverso l’intuizione e il sentimento. Il poeta, presentato dal prof. De Roma e da chi scrive, è stato molto applaudito dai ragazzi e dagli insegnanti che hanno colto, ognuno, un aspetto differente dalla lettura delle varie poesie. E’ stata proprio questa la considerazione di una insegnante: i tantissimi spunti e punti di vista da cui si può leggere uno scritto. I ragazzi dapprima un po’ impacciati hanno poi dimostrato interesse e si è scoperto che tra i tanti c’è Anthea Petrillo che si è aggiudicata già qualche premio di poesia.
La giornata è iniziata a Venticano con una bella platea di alunni e insegnanti, si è poi passati al plesso di Dentecane e Torre le Nocelle. Una visita di ringraziamento all’azienda Ciarcia dove abbiamo assaggiato l’ottimo prosciutto e visitato i laboratori di essiccazione. Pranzo veloce e incontro con i ragazzi di Montefusco. Una passeggiata per il centro storico della capitale del Principato Ulteriore e un salto a Montemiletto per visitare la Leonessa. Poi, dulcis in fundo, visita al rinomato torronificio Di Iorio, fiore all’occhiello dell’industria dolciaria italiana, le cui radici affondano nel lontano 1700. I proprietari, Vincenzo e il figlio Federico, ci hanno condotti nella bottega ancora artigianale nonostante i rapporti con tutto il mondo, permettendoci di acquisire nozioni assolutamente sconosciute. Un mondo straordinario quello del torrone che approfondiremo in seguito. Tra sorrisi di ragazzetti, versi in romanesco, profumi di salumi e dolcezze al miele si è conclusa questa giornata indimenticabile per noi della Grande Madre, per il nostro poeta e spero anche per i ragazzi che abbiamo avvicinato con schiettezza cercando di portare il nostro messaggio di pace e di comunione, di rispetto per la Grande Madre e delle sue innumerevoli creature, attraverso i versi del Nostro. E’ in programma di continuare questi scambi ospitando i nostri poeti per portare il loro dialetto differente e i loro valori umani. Dai commenti spesi al rientro con vari genitori ho appreso, con tristezza e rammarico, che alcuni di questi plessi sono a rischio di chiusura per via del numero ridotto di allievi; è un vero peccato che queste belle strutture vengano chiuse, credo fermamente che i ragazzi possano formarsi meglio nei piccoli centri che non nei grandi agglomerati, qui c’è più possibilità di interazione tra allievi e insegnanti. Paradossalmente gli stessi genitori tendono alla città abbandonando le scuole di paese e determinando lo spopolamento dei paesi e la successiva languida morte. Purtroppo non si riesce a comprendere che per ripartire bisogna soffermarsi un momento e riflettere, recuperare i borghi e le campagne, come si sta facendo già in alcuni luoghi, è la strada per la ripresa economica e culturale, i giovani sono il nostro futuro e non si può prescindere daloro.
L’esperienza fatta con questi studenti irpini non è da meno delle altre passate, continuo ad affermare con piacere e orgoglio che, in generale, i nostri ragazzi sono educati, attenti e rispettosi. Possiamo sperare…

Antiche parlate indigene della Sicilia di Biagio Fichera

181332_102242773254216_643403854_n.jpgLa ricchezza di influenze della lingua siciliana (greco, latino, arabo, francese, provenzale, tedesco, catalano, castigliano e italiano) deriva dalla posizione geografica dell’isola, centrale nel Mar Mediterraneo, visitata durante i millenni da molte delle popolazioni mediterranee dai cui idiomi ha ereditato il vocabolario e le forme grammaticali. Prima della conquista greca e fenicia, la Sicilia era occupata dalle popolazioni autoctone: Sicani, Elimi e Siculi (fra il secondo e il primo millennio a.C.).
L’élimo, lingua parlata dal popolo siciliano della Sicilia sud-occidentale, era probabilmente di ceppo indoeuropeo, più precisamente di tipo anatolico. Non si sa quasi nulla del sicano, lingua del popolo della Sicilia centro-occidentale. Vengono considerate sicane tutte le iscrizioni non indoeuropee rinvenute nell’isola, ma si tratta solo di supposizioni. Per quanto riguarda il siculo, idioma dell’antico popolo egemone della Sicilia, è quasi sicuramente una lingua italica, vicina al latino. Non si hanno neanche in questo caso certezze perché probabilmente i documenti conservati sono stati influenzati dalle successive migrazioni di Romani. Fin dall’ottavo secolo avanti Cristo la Sicilia fu sottomessa da onde di invasori dagli idiomi più diversi: Fenici, Greci, Cartaginesi, Unni,
Vandali germanici, Goti di Svezia, Arabi, Bizantini, Normanni nonché Stauffer di Svevia. Cui fecero seguito i Romani, gli Angioini, i Savoia,
gli Aragonesi, gli Spagnoli e quindi gli Austriaci, i Borboni, i Francesi e persino gli Inglesi. È facile capire in che misura, attraverso questi influssi,
la lingua siciliana possa essersi sviluppata arrivando ad essere quella che si parla e si scrive oggi. Il latino incise moltissimo sulle varianti dialettali siciliane, nonostante il greco fosse molto diffuso già due secoli prima della conquista romana. Nessuna regione fu tanto desiderata e contesa come la Sicilia, che per la posizione geogra¬fica, per il clima e per la fertilità del suolo rappresentava una magnifica terra di conquista. Situata fra il continente europeo e l’Africa, fu campo di battaglia dei popoli che si con¬tendevano l’egemonia del Mediterraneo e su di essa furono sempre rivolti gli occhi dei più cupidi dominatori. Ebbe la bella isola, nella più alta antichità, il nome di Trinakria, cioè l’isola dei tre promontorì, rappresentati dal Capo Faro o Pelerò ad est, dal Capo Boco o Lilibeo ad ovest e dal Capo Passaro o Pachino a sud. Le notizie più antiche sulla Sicilia sono av¬volte nel mito e nella leggenda. Zeus ed i Ciclopi ebbero l’Etna come teatro delle loro gesta; e l’Etna per i suoi fenomeni vulcanici diede vita a miti tenebrosi e spaventevoli: Plutone, Vul-cano, Encelado, Polifemo, Tifeo, furono con i Ciclopi ed i Titani le immagini vive delle grandi eruzioni etnee. Gli amori di Aci e Galatea, il ratto di Proserpina, il viaggio d’Ercole e tante altre leggende mitologiche ed eroiche, se da una parte attestano che nel periodo preellenico, nell’epoca dei Sicani e dei Siculi, esistevano già nell’isola miti che personificavano i fenomeni naturali più gran¬diosi, dall’altra parte dimostrano che l’isola fu, nella sua preistoria, esposta alle esterne incursioni. I primi abitatori di cui si ha notizia storica furono i Sicani, la cui immigrazione, a giudi¬care dagli oggetti rinvenuti, si fa risalire ad una trentina di secoli a. C. Ad essi seguirono i Siculi i quali, a cominciare dall’ VIII secolo a. C., dovettero cedere alle invasioni elleniche. I Fenici stazionavano allora nella parte ovest della Sicilia ed occupavano specialmente le colonie di Panhor-mos, Salunto e Motya. Nell’VIII secolo si ebbe il periodo più attivo della colonizzazione greca in Sicilia: i Calcidesi fondarono Nasso (735) e quindi Leontini (728), Catana (726), Zancle (710 circa); i Dori fonda¬rono Siracusa (734), Megara Iblea (728), Gela (689). In seguito i Geloi colonizzarono Agrigento (581), i Megaresi Selinunte (628), i Siracusani insieme ai Milesi, Imera (648). Ma fra tutte le colonie greche, dopo la vittoria d’Imera (480 a. C.), ebbe un primato incontestato sulla Sicilia Siracusa, che ci tramandò nella storia e nell’arte le più belle pagine della domi-nazione ellenica in Sicilia.

Il problema dell’Origine dei dialetti italici .Una impostazione antropologica di Antonia Bertocchi

dialettoLa scuola ci ha somministrato il concetto,  proprio della cultura dominante, che i dialetti derivino dal latino medioevale e ne costituiscano una forma corrotta. Molti si sono a vario titolo ribellati a questa posizione ascientifica, ma oggi  possiamo dimostrare che questa convinzione è sbagliata, con riferimento alla Teoria della Continuità e alla luce della Linguistica Genealogica Comparata, che ci consentono di impostare il  problema dell’origine dei dialetti italici, in modo scientifico.

I nostri dialetti, secondo la teoria elaborata dall’archeologo-linguista Mario Alinei, in base alla Teoria della Continuità  (Alinei M. 2000)“ non sarebbero una derivazione diretta dal latino parlato nel tardo impero, come tutti affermano, ma sarebbero la continuazione di varianti geo- o sociolinguistiche del latino classico e di quello parlato a Roma e altrove nel Lazio, già presenti ab antiquo accanto ad esso”. http://www.terremarsicane.it/il-rosmarino-ovvero-della-validita-della-teoria-di-mario-alinei-circa-la-maggiore-antichita-dei-dialetti-romanzi-rispetto-al-latino

Dunque i dialetti italici non derivano,  né dal latino né tantomeno dall’italiano ma, è vero il contrario : hanno accumulato influssi da entrambi, durante la loro lunga vita, forse di migliaia di anni. Sono a  pieno titolo lingue : varianti del latino classico e ad esso  contemporanei, sin da tempi antichissimi. Posizione sulla quale concorda  D’Adamo  C. (2011 p.65).

Tuttavia  queste evidenze non sono esaustive, del problema dell’origine dei dialetti italici, perché sono  relativamente recenti. Un contributo chiarificatore, si deve al Semerano (2005) che ha riscontrato, in tutte le lingue europee, fenomeni di sostrato , risalenti ad impronte linguistiche e culturali sumerico- accadiche, che hanno interessato da vicino anche le lingue italiche.” In linguistica, un sostrato (o substrato) è una lingua non più parlata su un territorio che però prima di sparire ha influenzato quella (o quelle) da cui è stata  sostituita. C’è un generale accordo tra gli studiosi nell’individuare nel linguista italiano Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) il primo ad aver collegato il fenomeno del sostrato alla diversificazione dei dialetti”. Egli lo ha rielaborato, sulla base  della  sua prima  formulazione , che  deve a Carlo Cattaneo (1801-1869). ( Grassi, A. A. -Sobrero, T. Telmon, 2005, p. 39). http://www.faronotizie.it/pdf/2010/04_2010/Le%20clasisficazioni%20dei%20dialetti.pdf

L’Ascoli “Conferì ai dialetti la dignità di lingua, fondò la dialettologia scientifica e rivalutò le parlate retoromanze coi suoi “saggi ladini” nonché il franco-provenzale la terza lingua romanza parlata in Francia ed a Celle di San Vito e a Faeto in provincia di Foggia. Fondamentale è la sua elaborazione del concetto di “sostrato linguistico”, cioè dell’azione che una lingua vinta esercita su quella vincitrice” https://it.wikipedia.org/wiki/Graziadio_Isaia_Ascoli

http://www.treccani.it/enciclopedia/dialettologia-italiana_(Enciclopedia_dell’Italiano)/

https://it.wikipedia.org/wiki/Sostrato_(linguistica)

Pelio Fronzaroli: (2003=Semitic and Assyriological Studies   https://books.google.it/books/about/Semitic_and_Assyriological_Studies.html?id=kiWD_5PRQBUC&redir_esc=y

Tale  più antico  substrato consisteva in diverse stratificazioni di Nostratico, Le lingue nostratiche sono un’ipotetica famiglia di lingue estinte dalla quale deriverebbero alcune delle famiglie linguistiche europee, asiatiche ed africane.

 tra le quali notiamo  il substrato che include  il Sumero. https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_nostratiche.  Già il Pestalozza U.(1964) e il  Pisani V.  (1933 ;1960 ) si erano accorti della presenza nei dialetti greci, di basi  linguistiche non indoeuropee (anarie) da loro definite  egeo-asianiche e mediterranee , mentre Robert Graves  (1992)ha fatto spesso risalire a radici berbere  i miti mediterranei e del folklore europeo.

La cosa non dovrebbe stupire, dal momento che l’immigrazione indoeuropea

dopo le infiltrazioni pacifiche, diventò, come altrove (es. in india e in Grecia) violenta e militaristica anche in Europa e in Italia dove,  specialmente i Latini e i  Romani si imposero in pochi secoli in tutta la Penisola con la forza della armi, su popolazioni locali  insediate dai millenni precedenti con l’irradiazione camito-semitica,che diffuse in Europa le culture agro-pastorali provenienti dalla mezzaluna fertile a partire  dall’ ottavo secolo a.C . Questi popoli  portarono con sé i loro dialetti camito-semitici, i quali , a loro volta, si sovrapposero ad una  precedente irradiazione di tribù  dedite alla caccia-raccolta e a  forme di orticultura e allevamento estensivi,  provenienti dall’Africa settentrionale e dal medio oriente  che parlavano  dialetti dell’’ancora più antico substrato Nostratico.

Giovanni Maria Semerano (Ostuni, 21 febbraio 1911 – Firenze, 20 luglio 2005)

definito “Il linguista che fa tremare le accademie”, ha dimostrato la nostra parentela linguistica con il complesso delle lingue mesopotamiche. E’autore di ampi dizionari etimologici di greco e latino, in cui ha proposto una sua innovativa teoria delle origini della cultura europea, in base alla quale le lingue europee risultano essere di provenienza mediterranea e fondamentalmente semitica.

Nel suo lavoro, il Semerano mette a confronto migliaia di termini del lessico delle antiche lingue europee, attestati nella letteratura e nelle iscrizioni, con quelli delle antiche lingue della Mesopotamia, di cui si ha abbondanza di testimonianze. Il lessico comparato è costituito da idronimi (nomi di fiumi), antroponimi (nomi di persone), teonimi (nomi di divinità), toponimi (nomi di luoghi), e ancora da nomi di oggetti d’uso comune e da verbi, propri delle attività manuali e del pensiero. Da tale confronto secondo l’autore emergerebbe un’affinità semantica (di significato) e fonetica (di suono) tra i lessici delle lingue europee e di quelle mesopotamiche, in particolare l’accadico, il linguaggio con la più antica e ampia tradizione scritta, appartenente alla famiglia delle lingue semitiche e con tracce di sostrato sumerico https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Semerano_(filologo)

(Semerano Giovanni Le origini della cultura europea 1984-1994, 4 Volumi)

Tra i moltissimi esempi, ho scelto quello della parola  “amore” che, come si vede  nel riquadro, è basata sulla radice ib, che, essendo  il nome del cuore nell’antico Egitto,  permette, tenendo conto degli studi di Martin  Bernal (2011) di estendere il discorso alle tracce di impronte culturali egizie da me rilevate  in area padana e altrove.( Bertocchi  Antonia 2001;   2007 ;  2009 ).

http://www.fci.unibo.it/~baccolin/giovanni%20Semerano/Alcune%20etimologie%20di%20Giovanni%20Semerano.htm

Il Bernal , infatti, nei due volumi pubblicati finora,  sostiene che gruppi di semiti provenienti dalla Fenicia e Hyksos di lingua semitica, governanti dell’Egitto, diedero la civiltà alla Grecia.

Egli,” sulla base di una gran quantità di riferimenti, di carattere archeologico e filologico, propone di far risalire a radici semitiche la gran quantità di termini della lingua greca (circa la metà dell’intero vocabolario ancora privi di una propria etimologia. In particolare, vengono ricondotti a un’origine egizia i nomi dei toponimi e delle divinità. Secondo Bernal, infatti, la maggior parte della divinità greche sarebbe versioni posteriori di divinità egizie, e l’identificazione tra divinità greche ed egizie che si ebbe durante l’ellenismo, in realtà non faceva altro che riproporre paralleli già noti da secoli.

Inoltre, nella sua ricerca, il  Bernal  propone molte altre revisioni di nozioni correntemente accettate. Ad esempio, ipotizza che le famiglie di lingue indoeuropee derivino da una più antica famiglia comune anche alle lingue africane e asiatiche. https://it.wikipedia.org/wiki/Atena_nera. Teoria che trova conferma  nelle ricerche sul Nostratico, una  ipotetica superfamiglia di lingue estinte dalla quale deriverebbero alcune delle famiglie linguistiche europee, asiatiche ed africane, che include, accanto  alle Lingue indoeuropee dravidiche , caucasiche meridionali, altaiche e sumera, le Lingue afroasiatiche.

https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_nostratiche

Questa ipotesi  è confermata dagli studi  sulla genetica delle popolazioni europee

“L’aplogruppo E1b1b è un aplogruppo di remota origine africana (Egitto) e secondo i ricercatori sarebbe presente in Europa sud-orientale almeno a partire dal Mesolitico (12.000 – 6.000 a.C.) .Oggi i suoi portatori si trovano concentrati nelle regioni meridionali dei Balcani (Albania, Kosovo, Grecia), ma durante il neolitico medio tra il VI e il V millennio a.C., in gran parte dell’Europa meridionale dominava questo tipo di aplogruppo portato via mare dagli uomini della Cultura della ceramica”. cardiale https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_genetica_dell%27Europa

http://www.vallesusa-tesori.it/media/attachment/01_Lezione_Preistoria_e_Protostoria.pdf

http://www.lacittadelluomo.it/pagina_sez02_02a.htm

Ora, come attestano le più antiche forme di volgare, qui sotto citate, nei dialetti  italici sopravvivono aspetti  morfologici,  tipici della lingua egizia e comuni  ad altre lingue camito-semitiche, tra cui  l’articolo.

Esso è  presente in tutte le forme di volgare popolaresco( non sempre esse si riscontrano  nel ”Volgare illustre”studiato da Dante )oltre che nell’italiano e nelle lingue romanze, e ha trovato la sua prima codificazione nell’Antico Egitto

E’ questa una recente scoperta del Prof. Pennacchietti, da lui presentata  nella conferenza all’Accademia delle Scienze  di Torino Il 28 gennaio 2015 , con la relazione “La comparsa e la fortuna dell’articolo determinativo nelle lingue semitiche e altrove”, con cui ha dimostrato che  L’articolo determinativo si afferma nell’egiziano antico verso la metà del secondo millennio a.C., all’alba del Nuovo Regno, per soddisfare anche nella lingua scritta l’esigenza di esprimere con uno specifico morfema la presupposizione della notorietà di un dato concetto nella coscienza dell’interlocutore. Per osmosi culturale, questa nuova categoria grammaticale si irradia tra il II e il I millennio a.C. ad Oriente alle lingue semitiche parlate nei territori asiatici più vicini all’Egitto (fenicio, ebraico e nord-arabico) e ad Occidente nelle lingue libico-berbere. Solo nel VI sec. a.C. l’articolo determinativo si afferma nel greco classico, per poi diffondersi, nel corso del I millennio d.C., ancora per osmosi culturale, nelle lingue romanze, nelle lingue celtiche e nelle lingue germaniche occidentali. Altrove, sia in Europa che in ambito semitico, o se ne fa a meno o si è affermato un articolo determinativo suffisso.

http://www.accademiadellescienze.it/attivita/iniziative-culturali/i-mercoled-28-01-2015

http://www.gravita-zero.org/2015/01/la-comparsa-dellarticolo-determinativo.html

videoconferenza. https://www.youtube.com/watch?v=ruotAV0alEo

https://www.facebook.com/imercoledidellaccademia?ref=hl

http://www.fapennacchietti.it

Queste evidenze suggeriscono un’inedita  ipotesi di lavoro che qui presento per la prima volta e alla quale chiamo a lavorare, quanti siano interessati ad essa.  Secondo questa ipotesi la caratteristica dell’articolo, costituisce una Via Regia per l’indagine riguardante l’origine dei dialetti italici . Potrebbe essere arrivato  in Italia, non già  per osmosi, nel primo millennio dopo Cristo, ma in millenni  precedenti, come carattere delle lingue parlate da gruppi etnici camito-semitici di agricoltori e pastori, provenienti al delta del Nilo, in un’epoca in cui la  penisola italiana non era ancora  stata colonizzata con la violenza da popoli parlanti il latino e lingue  affini,  ma  che era ancora  frequentata da una lenta  e pacifica  immigrazione di parlanti dialetti latini, che si fusero, lentamente, fino al  neolitico, con le  ondate migratorie  provenienti dal delta del Nilo da epoche ancora precedenti . Non si comprende infatti, come gli articoli abbiano potuto  inserirsi nelle lingue volgari e nei dialetti italici, entro i quali non  risultano  posticci, ma invece, ben integrati nei rispettivi sistemi grammaticali e sintattici. La presenza dell’articolo in una  lingua non è un  fatto a sé stante, ma è collegata intimamente  con l lingua stessa.

 I dialetti non possono essersi tutti adattati contemporaneamente alla novità dell’ingresso dell’articolo, perché il loro, è un vasto palcoscenico linguistico che , ricordiamolo, non è solo italico, ma anche francese, spagnola e inglese .

 Ciò potrebbe significare che i dialetti italici, sono il risultato della fusione fra varianti del latino antico e i precedenti substrati di dialetti  camito-semitici, di area nilotica, visto che questa caratteristica è nata in Egitto ,tra  il secondo e il primo millennio a.C.  E, a loro volta, sedimentati e rimescolati  alle arre culturali nostratiche, risalenti  al  Mesolitico.

Il confronto fra le prime testimonianze del volgare, sembra dimostrarlo.:

Gli articoli infatti sono presenti , sin dalle più antiche testimonianze , nel volgare italico , che certo non è nato nel momento stesso in cui  è stato messo per iscritto ma molto prima .

Tra  i diversi frammenti attribuiti al volgare italiano, ne ho scelti due che possono aiutarci a distinguere fra  il volgare illustre, aulico,  cardinale  etc. di cui parla Dante, nel “ De Vulgari  Eloquentia”, (usato nelle relazioni diplomatiche e curiali) in cui la presenza dell’articolo è scarsa o poco evidente, e le parlate vernacolari, in cui invece l’articolo è presente. Da questo confronto si evince in modo chiaro, come questi due ambiti siano tra loro diversi e non sovrapponibili,  come si pensa.  Questa distinzione può permetterci di arrivare ad identificare , nella variante vernacolare, quella  tipologia di volgare , che insieme alle altre  presenti nella penisola,  ha costituito il laboratorio linguistico che, con il contributo delle diverse koiné ( toscana, tosco-umbra,  campana , sicula,  e  lombardo-veneta, ha dato origine alla lingua italiana .

Vediamo prima il documento più famoso, quello dei Placiti cassinesi,  in cui si attesta l’impiego dell’italiano volgare (illustre).E’una frase contenuta in una sentenza del 960 emessa dal giudice longobardo di Capua, Placito: “Sao ko kelle terre, per kelle fini.. que ki contene trenta anni le possette, parte sancti Benedicti”.  “So che quelle terre, nei confini descritti, sono state per trent’ anni un possesso di San Benedetto (Il Monastero)”.

I placiti cassinesi  sono sentenze giudiziali su documento, riguardano beni di tre monasteri che dipendono da Montecassino e sono stati pronunciati nei principati longobardi di Capua e di Benevento. ….I Placiti sopravvissero alle vicissitudini subite dal monastero di Montecassino, che le ha ospitate per secoli. Nel Settecento vennero portati alla luce da Gaetano Erasmo Gattola, eminente storico e archivista del monastero. Questa formula corrisponde ad altre formule simili, ma scritte in latino e ritrovate a Lucca nel 822 e a San Vincenzo al Volturno nel 936, nel 954 e nel 976. Dal momento che i testimoni erano tutti chierici o notai,  si presume che sarebbero stati in grado di pronunciare la formula in latino e se questo non è stato, evidentemente costoro avevano ritenuto opportuno far conoscere il contenuto a tutti quelli che erano presenti al giudizio. http://it.wikipedia.org/wiki/Placiti_cassinesi

http://www.luzappy.eu/testi_volgare/placiti_cassinesi.htm

Su questa scoperta, Francesco Nuzzo (2012) già magistrato a Cremona, sindaco di Castelvolturno dal 2005 al 2009 e PM alla corte d’appello di Brescia, ha scritto un un libro  “I primi documenti della lingua italiana”Pizzorni Cremona

http://www.cremonaoggi.it/2012/03/01/viaggio-nelle-origini-dellitaliano-il-nuovo-libro-di-nuzzo

Ed ora veniamo  all’iscrizione  della Basilica di San Clemente , a Roma, dove troviamo in un affresco, l’“Iscrizione di San Clemente”, risalente alla fine dell’XI secolo, e databile tra il  1084  e l’inizio del 1110. In un particolare dell’affresco notiamo che un pagano, Sisinnio, è convinto che Clemente, il santo, voglia sottrargli la moglie, divenuta cristiana. Ordina perciò ai suoi servi Gosmario, Albertello e Carboncello di condurlo al martirio. Ma il Santo si trasforma in una pesante colonna e l’ordine dato da Sisinnio ai servi è trascritto sotto forma di discorso diretto nell’affresco stesso.

”Fàlite dereto colo palo, CarvoncelleGosmari, Albertel, traite.Fili de le pute, traite”. Traduzione: “Spingilo da dietro col palo, Carboncello,Gosmario, Albertello, tirate!Figli di puttana, http://www.organiconcrete.com/2012/10/09/repus-e-un-uccello-e-un-aereo-e-san-clemente

Abbiamo qui  un esempio di schietto dialetto romanesco, ancora palato che contiene una  imprecazione spontanea da parte di un popolano. Vediamo  l’articolo in due punti:  colo palo.. leggi con lo –(il )e fili de le  pute.

 

https://liveromeguide.wordpress.com/2013/06/05/iscrizione-di-san-clemente-e-sisinnio-nei-sotterranei-di-san-clemente-a-roma/#jp-carousel-1145

http://www.luzappy.eu/testi_volgare/iscr_c13.gif

 

Bisogna inoltre tener presente che i dialetti italici, pur possedendo fonetiche molto diverse, condividono  strutture sintattiche e grammaticali molto simili , che sono passate all’italiano e la cosa non può  essere casuale.

Questa è una lingua diversa dal volgare illustre, e ci lascia capire che l’italiano non può costituire una elaborazione dall’alto, ovvero un derivazione dal latino, bensì costituisce una elaborazione dal basso di dialetti italici, che illustri letterati, a partire da Dante Alighieri hanno codificato in un’unica lingua : l’Italiano.

Ulteriore prova è data dal fatto che il volgare aulico è caduto in disuso, ed è stato sostituito prima dai dialetti e poi dall’ Italiano, mentre il Latino classico ha continuato il suo percorso solitario, fino a tempi recenti. Il che significa che l’italiano è la trasformazione dei volgari popolari e non di quelli aulici.(Burke Peter:1989 pp30-39)

Passiamo ora a due esempi della persistenza, sino al presente, di due importanti , quanto umili , impronte sumerico-accadiche in Italia .Si tratta del Babau, ritenuto uno sciocco spauracchio infantile, visto nelle sue relazioni etno-storiche con la Dea Sumera Bau, e  alcune ninna –nanne .

Intanto l’espressione “ ba.bau” è presente tale e quale nella lingua dell’Antico Egitto, nel periodo che va dalla III alla VI dinastia (secondo la divisione del Canone Reale) e che, indicativamente è compreso tra il 2700 a.C. ed il 2192 a.C. A questo periodo risalgono le costruzioni più famose ed imponenti della civiltà egizia: le piramidi. https://it.wikipedia.org/wiki/Antico_Regno

Lo studio delle raffigurazioni del Ba ne ha rivelato la natura di …’anima esterna  in grado di agire con  la forza che le è propria nel mondo materiale…questo carattere precipuo ritorna nel plurale nella parola -bau -, che significa appunto potenza (Rachet Guy :1991; Posener George:1991). Voce: anima.

Il ba, al plurle bau, rappresenta..gli agenti attivi esterni a chi li possiede. indicano la manifestazione a distanza di un essere vivo o di un dio, quella parte che può separarsi da lui e agire in un altro  luogo … viene tradotto con potenze.

Si  tratta dell’evoluzione del concetto di “anima esterna”, estrapolato dal Taylor e dal Frazer, dalle concezioni del rapporto tra i vivi e i morti presso le culture  indigene e totemico-siamaniche .

È l’anima che compare durante il sogno , che può appartenere ad una persona, ad un animale o ad un oggetto esistente, oppure ad un defunto o a qualcosa  di  non più esistente, e che sembra muoversi in modo indipendente dalla volontà del soggetto che ne fa esperienza : nel sogno, oppure durante la veglia, nelle visioni , o durante la Trance, o nella sensazione che un suo doppio ,con  la fantasia, possa recarsi in luoghi lontani a compiere  varie imprese. In caso di pericolo può essere messa al sicuro in un oggetto protettivo.

Il Ba,(Philippe Derchain- in  Bonnefoy Yves- 1989 )fa parte di un sistema di principi  psicologici che formano la personalità, insieme  all’akh che corrisponde al corpo, il Ka che corrisponde al nome, il cuore, (ib) che corrisponde al carattere, e il ba  correlato all’anima -ombra, raffigurata come un uomo nero, accanto al ba  in forma di uccello con testa  umana.

E’ evidente  che i due disprezzati spauracchi discendono  da due nobili potenze divine –

http://static.guide.supereva.it/guide/fantasmi/ka_01.jpg

Intanto va precisato che queste concezioni magico-religiose non  erano dogmatiche, ma si adattavano ai diversi  contesti  etnostorici, che si susseguivano nel tempo, tanto che, come nota  Traunecker ( in Bongioanni Alessandro e Tosi Mario 2001 p. 152) in epoca tarda,  l’ombra  finirà con confondersi con i  fantasmi e gli spiriti.

Ma potrebbe essere accaduto il contrario : che  la concezione degli spiriti sia la più antica e risalente agli abissi della caccia raccolta e si sia conservata presso le classi subalterne, mentre le classi egemoni faraoniche, avevano elaborato su di essa una complessa teologia, che col tempo e con le successive invasioni e deculturazioni ad opera soprattutto di romani e arabi, fu dimenticata, fino alla riscoperta avvenuta con la campagna d’Egitto di Napoleone . Infatti la credenza negli spiriti è la più antica e risale allo sciamanesimo di caccia raccolta. Segno della connessione del Ba Bau a movimenti di popoli parlanti lingue nostratiche.

Da millenni, tuttavia,  il Babau è caduto in disgrazia . Come ha potuto cadere così in basso  ?

Probabilmente ciò è avvenuto a partire dall’età del Bronzo, quanto le culture patriarcali sono diventate aggressive e devastanti  nei confronti di società che per difendersi da  loro erano passate dal potere matricentrico a quello matriarcale, strutturando anch’esse la società  secondo modelli classisti e militaristi, per resistere alle invasioni patriarcali ( ricordiamo le Amazzoni) .Ma quando sono  state confitte, le divinità matriarcali sono  state deformate dagli  invasori in spauracchi per bambini, già a partire dall’antica Grecia Come : Lamia e Baubò. Mormò, Karkò, e persino Gorgò

Figure di spauracchi femminili nella Grecia antica. http://grmito.units.it/content/lamia-baub-figure-spauracchi-femminili-nella-grecia-antica

Un traccia  di questi complessi passaggi ci è  data da  Bau o Baba ,una delle più antiche dee sumere il cui culto risulta pressoché esclusivo della città di Lagaš e del territorio da questa controllato. È la sposa di Ningirsu (Signore di Giršu) o anche di Zababa. Le sono stati dedicati templi a Giršu e a Lagaš. Era figlia del dio Cielo An, e madre di due divinità maschili, Ig-alima e Šul-šagana, e di sette divinità minori femminili. In quanto dea della fertilità è “Signora dell’Abbondanza” (SAL.šág.ga).

Nel periodo paleobabilonese è identificata con la dea guaritrice Nins-inna e con la dea dell’amore I-nanna. https://it.wikipedia.org/wiki/Bau_(mitologia)

 Il più antico periodo sumerico è stato datato al (4500-3500 a.C.)  https://it.wikipedia.org/wiki/Sumeri#Le_datazioni

La Dea Bau di Babilonia e dell’antica Fenicia, era la dispensatrice di vita, e appariva nella luce di ogni mattino.In era patriarcale fu trasformata in mostro dagli artigli di metallo.Altra figura femminile originariamente positiva era la Ba-ba Yaga  che era un tempo la Dea madre del folklore orientale, poi decaduta a terribile strega del folklore  russo . Viveva nel covone di grano, e la donna che lo raccoglieva restava incinta, per cui    Dea della fecondità e del ciclo morte-rinascita del folklore russo.

 http://il-matriarcato.blogspot.it/2013/03/nomi-di-iside.html

A  proposito della BabaYaga la Gimbutas ( 1997 p.210) l’ha descritta come l’antica Dea della Morte e della rigenerazione della mitologia slava, che si è conservata nei racconti popolari in una forma degradata, cioè come strega .

Cominciamo ad intravvedere due direttrici di diffusione del Babau: una egizia: il babau con la sua ombra –uomo nero ,che probabilmente si insedia in Italia in epoca pre-dinastica  e una direttrice asiatica ,la Dea Bau dei Sumeri ,degradata a BabaYaga che, passando per la Russia, la Lituania e i Balcani , raggiunge la pianura padana  a partire dal secondo millennio e diventerà la strega, la Pesèera, La Vecia, la Giobbiana, ancora offerte in olocausto nelle feste del fuoco padane.

Ce  lo conferma  l’Uomo nero  chiamato Ombrone, attestato sul territorio cremonese da un portatore di cultura orale intervistato da Agostino Melega (1989 a); b), cultore di storia e lingue locali.  Melega  ci ricorda che l’Uomo Nero è anche un valido collaboratore dei genitori nell’educazione dei figli, ruolo che ne rivela le origini iniziatiche, che affondano nelle radici paleolitiche della caccia raccolta, insieme alla figura del Barba Tuss,

A questo  discorso  sono collegate alcune ninna nanne

Un gruppo  di varianti della famosa  “ Ninna nanna ninna oh”, ne contiene due  interessanti tracce.

—Prima variante : Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo do?– Lo darò alla Befana  Che lo tiene una settimana

Lo darò all’Uomo Nero   Che lo tiene un anno intero Lo darò all’Uomo Bianco Che le tiene finché è stanco

Lo darò al Saggio Folletto  Che lo renda Uomo perfetto!

—Seconda versione  Nanna-òh, nanna-òh, questo cittino a chi lo do?   Lo darò al Bobo nero  che lo tenga un anno intero?

Lo darò alla Befana  che lo tenga una settimana?    Lo darò a San Giovanni   che lo metta sotto i panni?

Lo darò a San Michele  che lo metta nel paniere?  Nanna-òh, nanna-òh,  questo cittino a chi lo do?    Lo darò alla sua mamma   che lo metta a far la nanna.

Le due varianti integrano il personaggio dell’Uomo nero con quello del Bobo (Ba.bau) una associazione prettamente egizia, Inoltre, da alcune ricerche risulta che la ninna nanna che tradizionalmente si canticchia ai neonati per farli addormentare, era una preghiera ad antichi Dei babilonesi e Sumeri, a Inanna e Nanna . Inanna , divinità delle acque e della luna di origine sumera, figlia di  Nanna –altro nome del  dio della luna Sin-corrispondenti a – ‘Luna e Venere’ (http://www.materterra.it/Article67.htm

Dunque le nostre mamme e nonne, me compresa, quando cantano ninne nanne, pregano e invocano , senza saperlo, e divinità sumere del della Luna e di Venere…

Segnalo che La Commissione Europea ha creato il progetto Lullabies of Europe per raccogliere tutte le ninna nanne nelle diverse lingue della Comunità, per preservarne il patrimonio culturale”. Perché  “Ogni paese europeo ha la sua cultura di ninnananne  Studi sulle ninnananne dimostrano che la loro funzione non è soltanto quella di indurre un infante al sonno. Esse offrono ai bambini un’opportunità di crescita e di sviluppo e promuovono il rapporto affettivo tra genitori efigli.

.http://coritality.blogspot.it/2012/11/parlando-di-ninna-nanne.htm

http://www.nibiru2012.it/forum/wap2/nibiru-2012/lilith-e-inanna-140244.125.html

http://shardanapopolidelmare.forumcommunity.net/?t=17156774

Queste testimonianze orali costituiscono  un’ulteriore prova , dell’integrazione fra  comunità  agricole provenienti dal Delta egiziano e dalla Sumeria , diffuse  contestualmente in altre parti  dell’ italia, nelle isole..e in Europa, a partire dal  Neolitico.

Ultima nota è l’osservazione dell’analogia di ba-bau con le parole “ babbo e papà “che sono la stessa cosa, e con l’inglese baby. Riferito al neonato, allude alla reincarnazione  dell’ombra dell’antenato nel nuovo nato. Bebi  o Pepi è nome di faraoni e cognome italiano .

Questa ricerca  intende valorizzare i frammenti dei dialetti italici, sopravvissuti ai processi di deculturazione :Le divinità a cui si  riferiscono  sono nate nelle culture matricentriche  paleoltiche  e hanno prosperato  nelle culture matriarcali, ma poi sono state  disprezzate,  demonizzate, dissacrate e capovolte di segno, dalle culture patriarcali che da alcuni millenni si dedicano ossessivamente alla distruzione e al mercimonio delle relazioni ecologhe e sociali, ponendo le conquiste tecnologiche e scientifiche al servizio della fabbricazione e dell’uso di armi convenzionali e di sterminio di massa e di industrie inquinanti , senza curarsi del baratro di autodistruzione della specie hanno irresponsabilmente aperto.

Ma se riusciremo a prendere coscienza del fatto che, niente è casuale nelle lingue e nelle culture popolari di tradizione orale,  che niente è privo d’importanza, che non sono stupidaggini, ma importantissimi documenti della vera storia umana , allora forse riusciremo a riappropriarci del processo di umanizzazione

Conclusione.

Con la presente ricerca,  rivive e viene rilanciata l’impostazione data dal Cattaneo alla classificazione dei dialetti   poiché  “La «classificazione» dei dialetti di Carlo Cattaneo si fonda sulla teoria del  sostrato:  cioè sulla presenza dei diversi popoli nella penisola prima della  conquista romana. Cattaneo vede l’innovazione linguistica nella  mescolanza fra popoli diversi. Mentre però tale idea fino ad allora  produceva solo un generico riferimento a un ipotetico strato etnico  preesistente, Cattaneo presenta riflessioni sistematiche e, per almeno  due aspetti, originali:

  • egli non vede tale mescolanza come la ragione della differenziazione e della degradazione di una lingua originaria ma come il risultato del rafforzamento delle lingue assoggettate (per cause storiche) a una lingua dominante che ha la tendenza di livellare le differenze  preesistenti. Cattaneo parla di una netta distinzione tra   popolo e lingua nel senso che, per lui, le ragioni delle  identità linguistiche dipendono dalle vicende storiche e non  dall’identità delle stirpe: «il secreto del genio nazionale non risiede tanto nel sangue, quanto nel linguaggio»5. Cioè la   distinzione tra la lingua considerata il prodotto storico ed il  popolo che la usa. Secondo lui anche l’assetto linguistico  attuale è semplicemente il risultato dei conflitti tra lingue e  culture;
  • in secondo luogo, prendendo in considerazione le ragioni storiche di origine generale , Cattaneo si pone la domanda, quali possono essere le cause della decadenza di una  lingua dominante e del   conseguente rafforzamento delle  lingue assoggettate;

(Le   Classificazioni  dei dialetti in Italia di Alena Dvořáková Parte II

  1. La classificazione scientifica Anno V- n° 47Aprile 2010

http://www.faronotizie.it/pdf/2010/04_2010/Le%20clasisficazioni%20dei%20dialetti.pdf

www.faronotizie.it                                                                          

“Facenn, facenn scur’d” Di Ramona Viglione

 

10865097_437140446487693_764581253_n.jpgLa medicina popolare in territorio Sannita: le verruche
Carmelina ottantatreenne contadina, vive di agricoltura in una zona rurale della periferia beneventana e con l’uso della “medicina popolare”, conserva saperi e pratiche considerate da tanti “stregonesche”.
Di famiglia numerosa, è la seconda di sette figli, considera molto importanti i suoi legami di parentela: ancora oggi si reca dalle varie sorelle e fratelli sparsi nei paesini in provincia;  vive insieme alla sua unica figlia, il genero e un nipote da poco sposato; una composizione familiare di tre generazioni in una sola casa che sembra essere la traccia delle famiglie estese di una volta.
La conosco tramite Giulia, la mia accompagnatrice che le ha portato suo figlio Antonio, di 6 anni, per un problema di verruche. I c.d. “porri” (verruche), oltre ad essere un problema dermatologico, sono anche un problema imbarazzante e comune che tradizionalmente è affidato alle mani esperte di un guaritore e circoscritto all’ambito domestico della cura.
Prima di consultare “la mediatrice di guarigione”, Giulia si era rivolta ai vari esperti biomedici, i quali hanno usato metodi chirurgici per causticare le verruche: il laser, la vaporizzazione e creme che non hanno funzionato, in quanto i “porri” sono sempre ricresciuti sul mento del bambino. Con un po’ di incredulità e sotto il consiglio-guida della suocera, Giulia decise di accompagnare Antonio da Carmelina. Ad accoglierli è stata proprio lei, una signora un po’ robusta, con due grandi occhi azzurri, vestita con abiti che usa tutti i giorni per andare in campagna a lavorare, disponibile all’ascolto e a dare il Suo aiuto gratuitamente. Senza mezzi termini, inizia a spiegare al ragazzo tutto quello che deve fare nel rituale e le regole da seguire per far si che “l’intervento” funzioni.
In una sera di luna piena, “facenn, facenn scur’d”, Carmelina e Antonio si avvicinano a un pozzo, sono soli, Giulia e la suocera sono distanti dal pozzo poiché possono essere contagiate e non possono sentire il rituale altrimenti perde di efficacia in futuro. Arrivati al pozzo, Carmelina recita le “parole magiche”, passando un fagiolo sulle verruche che poi lancia nel pozzo, luogo del non ritorno; mentre il fagiolo secca, contemporaneamente i “porri” scompaiono. La guarigione è ricercata attraverso lo sfregare il fagiolo, un intervento che sul piano empirico corrode e cauterizza, mentre sul piano simbolico evoca lo sradicamento. Il rituale si ripete per i tre giorni successivi, sempre allo stesso orario e nello stesso luogo. Nell’ultimo incontro, Carmelina raccomanda il ragazzo di non avvicinarsi più a quel pozzo, altrimenti le verruche sarebbero ricresciute. Qui troviamo l’idea del contagio, intesa come la trasmissione del male, tramite l’oggetto usato che, comporta la necessità di non avvicinarsi più al pozzo trattenente il fagiolo contaminato e contagioso. Nei giorni seguenti, le verruche cadono dal mento del bambino e non gli ricrescono mai più.
Con questi gesti e saperi  “magici”, imparati quando era giovane da un’amica professionista anche nelle fatture, Carmelina riesce a influenzare e modificare quel che è considerato un male, un disordine sul corpo del bambino. Le verruche, pur non essendo letali, sono oggetto, in determinate aree rurali del Sannio, di procedure complesse e ritualizzate, dove la dimensione religiosa non è del tutto assente in quanto funzionale ad interventi di carattere magico. Nonostante si pensi che si operi fuori dalla religione, in realtà le formule recitate presentano contaminazioni con la sacralità cristiana. L’operare di Carmelina può essere letto anche come un modo del ceto rurale di resistere al mondo sociale egemone rappresentato dai tentativi di deculturazione perseguiti dalla chiesa con l’obiettivo di sradicare quelle credenze e pratiche che alimentano la forza di vivere di fronte alle miserie, le malattie e la marginalità.