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Sabato Santo, una tradizione da proteggere di franca molinaro

 

Nell’ambito del progetto di recupero delle tradizioni denominato “Le Ricorrenze della Grande Madre” messo in atto dal Centro di ricerca tradizioni popolari “La Grande Madre”, abbiamo prestato un’attenzione particolare alla notte del Sabato Santo e alle serenate correlate. In tutta l’Irpinia c’è questo costume, noi abbiamo scelto di sostenere la tradizione che ci è più vicina, quella di Morroni in comune di Bonito (AV).
Un tempo le campane si scioglievano la mattina del sabato e subito dopo il parroco visitava le case della sua parrocchia per la benedizione. Le massaie si affannavano a preparare la tavola con la tovaglia più bella, finemente ricamata, imbandita con tutti i dolci e i rustici preparati nei giorni precedenti. Affettavano anche la sopressata e il capicollo e la ponevano in ampi piatti. Il parroco arrivava e benediceva tutte le stanze e la stalla, assaggiava un po’ di tutto, prendeva in dono delle uova che deponeva nel paniere portato da un ragazzetto, e proseguiva per un’altra masseria. I prodotti benedetti si offrivano la notte del sabato e si consumavano come antipasto il giorno di Pasqua.
Allo stato attuale, poche persone mantengono ancora la tradizione delle serenate, il più anziano è Angelo Grieci, l’ultimo del gruppo storico di Morroni. Mentre ceniamo ci racconta che fin da piccolino ha coltivato la passione della musica. A sette anni incominciò ad apprendere dal fratello che andava a scuola di organetto da un anziano, così iniziò a suonare e seguire gli adulti. Della comitiva ricorda Ciriaco Grieco e sua cugina Giuseppina, Enrico Vigliotta, tutti accaniti sostenitori della tradizione, oggi, purtroppo scomparsi. All’epoca non c’erano macchine, si camminava a piedi e si percorrevano decine di chilometri per raggiungere una fidanzata o un parente, strada facendo si smaltivano le calorie e alla prossima tappa si era pronti ad assaggiare altro salame e uova sode. Angelo ha avviato alle antiche suonate Andrea Palermo, un ragazzo di Taurasi che sta studiando organetto ed ha raggiunto un grado di preparazione lodevole. L’idea di sostenere il recupero e la valorizzazione del Sapato Santo ci è stata suggerita da Gerardo Vigliotta, figlio di Errico, suonatore storico. Abbiamo pensato che non dobbiamo trascurare di recuperare la voce, il suono e i versi di Angelo quindi ci siamo organizzati con i nostri mezzi, senza fondi e senza aiuti esterni, per effettuare delle riprese amatoriali ed immortalare i momenti più salienti della serata.

Nella tarda serata, il gruppo di amici si è riunito per le prove e mangiare qualcosa. C’è da sottolineare che i cantori, oltre ad Angelo e Andrea con l’organetto, Felice col tamburello, sono tutti a digiuno di qualsiasi concezione musicale, non sempre rispettano il tempo e qualche volta possono risultare sconnessi. Questo non li inibisce, nessuno teme di sfigurare, tutti sono animati dal desiderio di divertirsi e portare allegria e buon augurio ai propri cari.

Dopo la mezzanotte si esce di casa e ci si incammina verso la casa stabilita. Si arriva al buio davanti alla porta e si inizia a cantare:  Sapato Santo c’ha stato stanotte / teccote Pasqua la prima arrivata / lo prevete ce vene co’ l’acqua santa / e nui ci vinimo co’ suone e co’ cante / si non te curchi stuta la cannela / ca quà nnante c’hadda fane juorno chiaro / non simmo nì Francisi nì Calabrisi / nui simmo li patruni de ‘sta casa / e la gente de quisto contuorno / ci’hanno  pigliato pe’ mele vagliuni / nui simmo figli d’a ggente bona e l’amicizia sapimo tené /  e quant’è longa ‘sta scalinata sembra fatta apposta pe’ me…

A questo punto qualcuno apre la porta e la padrona apparecchia la tavola se presa di sorpresa, se a conoscenza della visita la tavola è già pronta. Si mangia, si brinda, si continua a suonare e ballare, poi i suonatori si congedano con la promessa di ritornare il prossimo anno: Hanno sonate l’undici e maza / n’ata mez’ora e ce n’hamma j / ma si vui ce vuliti sentì / a l’hanno che bene tornamo a binì…
Ripartono per una nuova destinazione dove ricominciano tutto d’accapo, questo fino all’alba.

Bonasera patrona de casa/ e co’ tutta ‘st’intera famiglia/ si me la dai ‘sta gioia de figlia / la signorella la fazzo fa / e la mamma la eva vennenno / la figlia soia ea com’a lo viento / la pozzen’accide non sape fa nienti / manco lo lietto se sape fa…

21 marzo Bonito GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA

DSC_0073La Giornata Mondiale della Poesia è stata istituita dalla XXX Sessione della Conferenza Generale Unesco nel 1999 e celebrata per la prima volta il 21 marzo seguente. La data, che segna anche il primo giorno di primavera, riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace.

Spiega Giovanni Puglisi, Presidente della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco “La celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia rappresenta l’incontro tra le diverse forme della creatività, affrontando le sfide che la comunicazione e la cultura attraversano in questi anni. Tra le diverse forme di espressione, infatti, ogni società umana guarda all’antichissimo statuto dell’arte poetica come ad un luogo fondante della memoria, base di tutte le altre forme della creatività letteraria ed artistica”.

Come da indicazioni UNESCO, il Centro  di ricerca tradizioni popolari “La Grande Madre”, da tre anni, in collaborazione con l’Amministrazione comunale De Pasquale, e la partecipazione del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, ha istituito nel comune di Bonito, la Giornata Mondiale della Poesia, per l’Associazione è anche Festa della Primavera e della Rinascita. Quest’anno la Giornata si è svolta in comunione con l’Ordine delle  Suore Francescane Immacolatine di Pietradefusi e il Comune di Pietradefusi, ed è stata dedicata a Padre Lodovico Acernese “poeta di Dio e delle sue Creature”.

E’ stata una manifestazione riuscitissima perchè voluta da tutti i collaboratori con lo stesso impegno, prima fra tutti l’amministrazione comunale di Giuseppe de Pasquale e l’insostituibile Valerio Massimo Miletti che si fa carico degli impegni pratici e culturali. De Pasquale ha citato l’enciclica di Papa Francesco in cui, il pontefice riconosce l’immenso bene della natura con tutte le sue creature. Sottolineare l’importanza di Sorella Madre Terra è indice di sensibilità e di speranza per un futuro migliore. Importante anche l’aspetto sottolineato dal sindaco di Pietradefusi Giulio Belmonte: portare Padre Lodovico fuori dai confini comunali significa anche opportunità di incontro tra le piccole comunità spesso arroccate nei loro campanilismi. Nostro impegno, per i prossimi appuntamenti, sarà quello di riproporre la figura del Fondatore affidando agli esperti ulteriori considerazioni. L’intervento tecnico di Alfonso Nannariello, accurato, preciso e arguto, è stato indispensabile per delineare la figura poetica di padre Lodovico. Alfonso ha studiato minuziosamente i versi dandone una interpretazione tra lo storico il poetico e il teologico, cosa possibile solo grazie alla sua esperienza specifica in questi ambiti.
I retroscena politici e sociali influenzano gli scrittori ma la competenza e la poliedricità di alcuni permettono, grazie ad espedienti letterari o pratici, di proseguire nel cammino tracciato.
Appassionato più che mai è stato l’intervento di Emilio De Roma, nostro coordinatore, che fin dall’inizio ha appoggiato le suore nel proposito di sollecitare il processo di beatificazione e portare il Padre Fondatori agli onori degli altari. Il suo impeto, nel tratteggiare il personaggio, mi ha fatto immaginare il professore dietro al cavalletto intento ad affidare alla tela i propri sentimenti.
Un grazie speciale va al Maestro Gianni Molinaro per i virtuosismi che ci ha donato con la sua fisarmonica. Applaudito con calore dalla numerosa platea, ha regalato attimi altissimi di musica da camera con brani di Vivaldi, Albéniz, Rossini e componimenti propri. Non meno emozionante è risultato il flauto di Daniela Vigliotta che ha accompagnato la chitarra di Gerardo Lardieri, insieme hanno proposto la bellissima “Dolce sentire” di Benjamin e Riz Ortolani, trasportandoci, con la loro interpretazione, nel mondo del nostro santo ispiratore, il Grande di Assisi, fratello nella Grande Madre. Quando la musica e il canto salgono dal cuore non c’è muso duro che regge e ogni gelo si discioglie. La poesia di padre Lodovico è stata letta da: Angela Politano, Annamaria Lombardi, Daniela Vigliotta, suor Maria Giuseppina e da chi scrive. Abbiamo colto la gioia sui volti delle Suore Francescane Immacolatine e questo ci ha dato tanta energia e tanto entusiasmo, a loro la nostra gratitudine per gli attimi di serenità che sanno trasmettere con la loro presenza. Presente un pubblico numerosissimo ed eterogeneo, giunto dalla provincia e da fuori, da Pietradefusi, Calvi, Venticano, Grottaminarda, Mirabella, San nicola Baronia, Flumeri, san Giorgio del Sannio, Villamaina, Monteforte, Sturno, Calitri, Sant’Andrea di Conza, Taurasi, ecc. Tante le associazioni: Università popolare irpina, Università delle tre età di Bonito, il Cif Bonito, Bagliori di Luce di Antonietta Raduazzo, Il Museo delle cose perdute di Gaetano Di Vito. Presenti tutti i soci della Grande Madre e i nuovi proseliti.  Molti gli intellettuali che hanno partecipato tra il pubblico: Mario Vitale Antonio Morgante, Fausto Baldassarre, Virgilio Iandiorio, Fiore Cefalo, Donato CasseseAntonella La FraziaAntonella LardieriGianna Capozzi, Nicola Iacoviello.
Ci ha gratificato l’attenzione del numeroso pubblico che ha seguito la serata con molta attenzione, emozione, trasporto. Possiamo dire grazie a Padre Lodovico che ci ha permesso di vivere questi attimi in totale comunione senza note discordanti o energie negative, bensì tutto in perfetta armonia.

Padre Lodovico Acernese di Alfonso Nannariello

DSCN3701Ludovico Acernese, Eccoti l’anima. Poesie d’occasione, fede e devozione (Relazione di Alfonso Nannariello in occasione della Giornata Mondiale della Poesia 2016 a Bonito

Tante cose non so. Tante di quelle che dovrei. Di Antonio Acernese non so perché, entrato nell’Ordine francescano, ebbe, o scelse, il nome di Ludovico. Per compensare la lacuna ho immaginato che il nome da religioso lo ebbe, o prese,

  • dal “san Francesco del XIX secolo”, ossia dal confratello Ludovico da Casoria di cui divenne amico, oppure
  • dall’altro francescano, dal beato Ludovico Armando Giuseppe Adam, morto durante la rivoluzione francese, o anche
  • da quell’erudito sacerdote considerato il padre della storiografia italiana, vale a dire da Ludovico Antonio Muratori, o semplicemente
  • dal significato del nome: ‘illustre combattente’, ‘glorioso in battaglia’, nonché, per altra via, ‘sapiente’.

Non so se sia così, so che Antonio Acernese, divenuto Ludovico, omaggiò il significato del nome, con le sue opere filosofiche, teologiche e apologetiche.

Non so se sia come ho immaginato, so che Antonio Acernese, divenuto Ludovico, con i Ludovico summenzionati condivise la dottrina, la visione del mondo e l’opposizione agli errori dei loro rispettivi secoli. Il suo, il XIX secolo, p. Ludovico, lo definì, limitandomi a una sola citazione, “vergogna e scorno”, “beffardo”, “dell’empietà stendardo” (Al secolo XIX).

Tante cose dovrei sapere, ma non le so. Di p. Ludovico non conosco tutta l’opera, ma soltanto Poesie e versi di Soggetto Sacro, e di questa raccolta solo i brani contenuti nel secondo volume dell’edizione ampliata e corretta, quella che pubblicò nel 1887, quando già era ‘Ministro Provinciale de’ Cappuccini di Napoli e Terra di Lavoro’.

Nel XIX secolo i sacerdoti dei nostri paesi che versificavano avevano come tema soprattutto la Storia, tema, in quel particolare momento, declinato sulle aspirazioni risorgimentali. Sfacciatamente e orgogliosamente nazionalistici furono, per citare un solo esempio della nostra zona, i versi del sacerdote Antonio Miele di Andretta, patriota e cospiratore con Luigi Settembrini, Car­lo Poerio, Michele Pironti.

Quel filone poetico, di cui di volta in volta si dettagliavano i temi, i nostri sacerdoti continuarono a frequentarlo anche dopo che la sua parabola s’era da tempo conclusa. Nei nostri paesi quei sacerdoti nostalgici di Storia, degradarono il tema incrementando quella letteratura ufficiale di cele­brazioni e di consenso, versificando in occasione di particolari eventi e ricorrenze. Dalle loro opere risultano evidenti sia il genere encomiastico, sia il loro orientamento culturale, sociale e politico.

  1. Ludovico non sfugge a questa tendenza, tanto che nella raccolta di cui qui ci si occupa vi sono diverse Poesie d’occasione (V), specie nella sezione Argomenti vari (87-140). P. Ludovico non sfugge nemmeno alla funeraria, che in quel tempo costituiva un genere poetico a sé stante, partecipando a quella letteratura retorica delle orazioni e dei discorsi dell’In morte, sulla scia dell’In morte di Ugo Bassville (1793) e di Lorenzo Mascheroni (1801) di Monti, del fratello Giovanni (1803) di Foscolo, di Carlo Imbonati (1805) di Manzoni.
  2. Ludovico, però, se occasionalmente concesse alcuni suoi versi per celebrare avvenimenti, destinò
  • la sua poesia a svolgere una funzione didattico-educativa, e
  • se stesso a “insegnare (…) collo scritto la Verità cattolico-ortodossa” (III).

Nello specifico del volume qui considerato, verità relative soprattutto al Sacro Cuore di Gesù (1-15) e alla Vergine Santissima (16-57).

Il fine suo, come sacerdote, e quello della sua poesia coincidevano: formare “la mente” passando per “il cuore” (IV).

Se come teologo, filosofo e apologista aveva prodotto prose per gli acculturati, con la poesia, “ispirato dalla Musa cristiana” (III),

  • intese porre un argine

– “ai tanti versi che insozzavano le tipografie e le povere coscienze degli scredenti” (IV), e

– “al torrente delle iniquità” (IV);

  • intese veicolare, a fini devozionali più che dottrinali, il dogma al popolino, ossia al popolo-bambino. Che p. Ludovico consideri così il popolo, si ricava da ciò che sostiene sul cominciamento dell’educazione: “a me pare – scrive – che l’educazione individuale e sociale incominci dall’affetto e che dall’affetto voglia e debba ricevere la perfezione, onde resta ingentilita e bella” (III; pure V). Se p. Ludovico volle far acquisire “alla mente” “la Verità cattolico-ortodossa” per via di sentimento, piegando la mente alla devozione la fece restituire al sentimento, realizzando così un altro suo proposito
  • “mantenere puro e vivo nel popolo, e più nella gioventù, il sentimento religioso” (V),
  • “avvicinare la gente agli slanci del cuore del (…) poverello di Assisi, il quale co’ suo’ ispirati cantici (…) purificava e ingrandiva il sentimento dei popoli” (IV);
  • intese, infine, senza nasconderlo, soddisfare pure un desiderio dell’animo suo (V).

Dunque, p. Ludovico concepì la sua poesia come arma con la quale difendere il “sentimento religioso (…) insidiato da uomini senza Dio e senz’affetti nobili e generosi” (l.c.), come una specie di disinfettante da versare

  • nelle tipografie insozzate dalla stampa anticlericale e antireligiosa
  • nelle menti confuse
  • sia dalle idee del secolo,
  • sia, ma questo non lo dice, da quei preti-poeti, più poeti che preti, che, nella civiltà letteraria dell’800 europeo, offrirono un’immagine di sé che starei per definire ‘classica’, ma mi limito a dire frequente, quella scandalistica, ossia quella del prete spregiudicato, del poeta eretico-mistico.

Si ha l’impressione che p. Ludovico consideri i “cantici sacri di cui è tanto povero il secolo che muore” (IV), come una specie di materia iniziatica, una specie di acqua battesimale.

Quanto fin qui detto della raccolta di Poesie e versi, è relativo al senso del fare poetico, alle intenzioni e al contenuto della poesia di p. Ludovico. Di un poeta, però, va intesa la forma delle opere, non le intenzioni. Senza la forma il testo resta testo, puro contenuto. Senza la forma il contenuto non diventa poesia. E di questo, naturalmente, p. Ludovico è più che consapevole.

Se in ordine al senso del suo fare poetico, alle sue intenzioni e alla sostanza della sua poesia abbiamo appurato quanto appena riferito, in ordine alla forma dalla presentazione Ai benevoli lettori della mia prima edizione (IIIss) fa trapelare una sua preoccupazione relativamente al come la Critica avrebbe accolto i suoi componimenti. Così, quasi volendo porre le mani avanti, dichiara da subito che

La forma di esse (poesie che sta presentando, ndr), è una stoffa tutta di casa propria, filata e tessuta dalle mie mani. Non è certo né splendida, né ricamata di parolette ed emistichii di cui fa tanta pompa la letteratura moderna (V),

ma subito aggiunge che quella stoffa non “sembra composta di fili accattati dal merciaiuolo o dall’Ebreo” (l.c.) e, per sostanziare quanto dichiara, porta la seguente testimonianza

Le medesime poesie trovarono, quasi tutte, un posticino onorevole nelle colonne di varii periodici accreditati presso il pubblico; e pare, se l’amor proprio non mi toglie il vedere, non siano state tenute in dispregio dagli uomini di lettere i quali di tali periodici diligentemente curano la Direzione (V).

  1. Ludovico, in considerazione della semplicità francescana, costruisce versi che possano risultare genuini e semplici. Ma, come in ogni arte, anche in poesia, nulla è più complesso della semplicità.

Se p. Ludovico sentì di dover dare un occhio al popolo-bambino, non trascurò di strizzare l’altro ai critici letterari che avrebbero dovuto dare soddisfazione piena all’animo suo, riconoscendone la “stoffa” poetica. Così, tanto per non scadere nel plebeo, ossia per non comporre con “fili accattati dal merciaiuolo o dall’Ebreo” (V), se evitò “ricami di parolette ed emistichii”, per sentirsi nella tradizione del classico,

  • fu attento al vocabolario, non sempre accessibile ai semplici,
  • evocò i classici, come, per limitarmi a pochissimi esempi tra i più riconoscibili dal grande pubblico,
  • Il conte di Carmagnola, di Manzoni (nell’inno Le nozze di oro del Sommo Pontefice Leone XIII), e
  • Invito a Pallade, di Vincenzo Monti, che rimanda ad Andromaca che piange sul corpo di Astianatte (nella sezione II di L’Addolarata che richiama pure versi popolari della settimana santa: La passione del Signore, componimento conosciuto pure come Già condannato il Figlio. O fieri flagelli, un altro canto della settimana santa, sembra ripreso in La Madonna dei flagelli).

In poesia la frammentazione del testo in versi indirizza il lettore verso un’interpretazione del testo. In poesia parole, posizione degli accenti, lunghezza del verso, tipo di rima e diversi altri elementi fondano la dialettica forma-contenuto, significato-significante.

La misura dei versi di p. Ludovico è quasi sempre parisillaba. Credo che questa scelta sia dovuta al fatto che i parisillabi, con quel loro ritmo cantilenante e più popolare, siano più facilmente accolti dal popolo. Nella scia di sant’Alfonso de’ Liguori, per far arrivare e diffondere i contenuti della fede cattolico-ortodossa, e far riverire i rappresentanti della gerarchia della Chiesa, compose

  • canti: Pel Sacro Cuore di Gesù [sezione IV], A Maria sempre Vergine e Immacolata, Nel giubileo episcopale del Sommo Pontefice Pio IX,
  • sonetti: A Maria SS. del Rosario [sezione I], All’Eminentissimo Principe della Santa Chiesa (…) F. Guglielmo Card. Arciv. Massaja,
  • una canzonetta: A Maria SS. del Rosario [sezione II],
  • e il già citato un inno Le nozze di oro del Sommo Pontefice Leone XIII,

componimenti con i quali, tra l’altro, forse segretamente intese veicolare il suo nome e affermarlo, un po’ come quello del santo di Pagani.

  1. Ludovico non disprezza però i versi imparisillabi. Se il novenario accentua il ritmo cantilenante dell’ottonario, il settenario e l’endecasillabo per loro natura dovrebbero essere più asciutti, più scabri. Più sobri, e di stile più elevato, settenario e endecasillabo dovrebbero essere destinati più “alla mente” che “al cuore” e favorire la meditazione. Se è innegabile che p. Ludovico ricorre all’elevazione di questi imparisillabi, è altrettanto innegabile che lo fa per non usare sempre lo stesso metro, ossia per evitare l’accusa di monotonia metrica. Così, per evitarsi questo biasimo, per restare nel repertorio delle forme classiche e per accreditarsi come poeta, ricorre alle forme classiche di rima e verso, tentando persino la difficilissima ode alcaica.

Ciò fatto, però, il più delle volte con una rima stretta e insistita riesce quasi sempre a disattivare il carattere ascetico-meditativo del settenario e dell’endecasillabo, costringendolo al tono popolare dei parisillabi.

Con queste attenzioni formali p. Ludovico, spera di arrivare “alla mente” della gente per via affettiva. Passando per il cuore spera che il contenuto dei suoi componimenti sia facilmente imparato, assimilato e, quindi, spontaneamente vissuto. In pratica: facendo gioire il fedele con il ritmo cantilenante delle poesie, o elevandone lo spirito con inni, sonetti, canzoncine e canti, intense far affezionare la gente ai loro contenuti e, grazie a quel sentimento di beatitudine, e/o di pietà, come anticipato, farglieli praticare. Se così, p. Ludovico pose consapevolmente in atto una strategia comunicativa di tipo propagandistico sia per reclutare nelle fila cattoliche, sia in quelle terziarie francescane (L’arpa del Terziario Francescano, 59-85). Così, relativamente al solo aspetto dottrinale, aveva fatto nel III secolo anche Ario con Thalìa, l’opera con la quale, ricorrendo anch’egli al ritmo cantilenante, tra le classi meno abbienti aveva divulgato la sua eresia.

A differenza di Ario, e dei preti-poeti dell’Ottocento di cui si è detto, p. Ludovico si tiene nelle forme consolidate tanto della tradizione poetica, quanto della dottrina cattolica. Non si concede al nuovo. Si sente nella tradizione e dalla tradizione vuole sentirsi garantito. È nella tradizione che sente la qualità, lo spessore delle cose, il superamento dell’effimero, del contingente, e la possibilità della durata.

Per concludere mi concedo una nota di estetica teologica. Tra i parisillabi il verso più frequentato da p. Ludovico è l’ottonario piano tante volte ripetuto in ottave, ottave che il più delle volte finiscono col verso tronco. Credo che tanto queste misure di versi e strofe quanto il troncamento dell’ultimo verso, siano ulteriori elementi formali offerti alla critica letteraria, cattolica e non. Seppure non colti dal popolo-bambino, in questi elementi simbolici p. Ludovico credo espliciti e sintetizzi non solo la sua fede nell’ottavo giorno, il giorno della resurrezione, ma indichi pure il fine ultimo del suo comporre. In effetti,

  • se usa la poesia come acqua battesimale con cui purificare
  • il “torrente delle iniquità” del XIX secolo, e
  • “le povere coscienze degli scredenti”,

il suo intento è dichiaratamente palingenetico;

  • se il troncamento dell’ultimo verso allude alla recisione della vita terrena, e se in quella interruzione si sente mancare qualcosa, quel troncamento genera una sospensione che fa somigliare quel vuoto di sillaba al silenzio del sabato santo. Quella sospensione, quel vuoto pone in attesa.

Ecco il fine escatologico dell’agire di p. Ludovico come sacerdote, pastore e poeta: far sentire, alla fine dei tempi,

  • al cristiano custodito nella fede cattolica, e
  • alla “pecorella smarrita”, lo scredente riportato all’ovile,

la sillaba mancante: il che lo risorge e ammette al giorno che non muore.

Alfonso Nannariello, Centro Documentazione sulla Poesia del Sud

Giornata Mondiale della Poesia a Bonito con Padre Lodovico Acernese

Pubblicazione1

21 marzo Bonito GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA
ore 18 Convento Sant’Antonio da Padova


Come da indicazioni UNESCO, il Centro di ricerca tradizioni popolari “La Grande Madre”, da tre anni, in collaborazione con l’Amministrazione comunale De Pasquale, e la partecipazione del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, ha istituito nel comune di Bonito, la Giornata Mondiale della Poesia, per l’Associazione anche Festa della Primavera e della Rinascita. Quest’anno la Giornata è dedicata a

PADRE LODOVICO ACERNESE POETA DI DIO E DELLE SUE CREATURE
padre cappuccino fondatore dell’Ordine delle Suore Francescane Immacolatine di Pietradefusi, filosofo, teologo, poeta, uomo vicino agli umili e alla Natura.

In questa occasione il comune di Bonito accoglierà il sindaco di Pietradefusi Giulio Belmonte e la comunità Francescana Immacolatina di Pietradefusi. Saranno lette le poesie più significative di padre Lodovico e saranno eseguiti, per fisarmonica, brani di musica classica dal Maestro Giovanni Molinaro e brani attuali da Gerardo Lardieri e Daniela Vigliotta. Il profilo del poeta sarà tracciato da Alfonso Nannariello di Calitri, del CDPS. Letture a cura di:

Programma:
Saluto del sindaco di Bonito Giuseppe De Pasquale
Saluto del sindaco di Pietradefusi Giulio Belmonte
Alfonso Nannariello CDPS e referente per il premio alla Memoria “Echi di poesia dialettale 2016”
Emilio De Roma coordinatore e Pres. di Giuria “Echi di poesia dialettale 2016”
Lettura poesie a cura di: Angela Politano, Suor Maria Giuseppina Bristot, Annamaria Lombardi, Daniela Vigliotta, Franca Molinaro.
Coordina Franca Molinaro pres. Grande Madre

Organizzata dalla Delta3 la Giornata di Salvaguardia dei dialetti e delle tradizioni

DSCN3649.JPGManifestazione organizzata da Sallicandro Silvio con lodevoli intenti: recuperare i dialetti irpini e le tradizioni. Presenti: Angelo Antonio Lanza, Rosetta D’Amelio, Domenico Gambacorta, Paolo Foti, Vanni Chieffo, Emilio De Roma, Nicola De Blasi, Gianna Capozzi, il tutto moderato da una sempre magnifica Monica De Benedetto. Sono state proiettate bellissime immagini dell’Irpinia e delle sue tradizioni C’eravamo anche noi della Grande Madre con Emilio De Roma a presentare Gianna Capozzi e il suo ultimo lavoro in versi dedicato a Bonito, “Lo paese mio” introdotto dal prof. De Roma. Ottima cornice per parlare di versi dialettali, Gianna Capozzi è un’autrice della Grande Madre da poco sulla scena culturale irpina ma piena di volontà e soprattutto di amore incantato per il suo paese. Ricordi d’infanzia velati di nostalgia emergono dalle righe, una poesia che si può definire schietta e senza troppe pretese di allori ma che emerge dal profondo dell’animo sensibile e conquista con le sue immagini di un passato prossimo eppur remoto. Quello che si legge nei suoi versi è un paese scomparso, oserei dire “per fortuna”, un paese in cui la miseria era sovrana e le donne andavano “fore” con la culla in testa e la zappa in spalla. Paese di pochi signori e molti coloni, braccianti che prima dell’alba “carcavano” i “vasole” di Via Roma per scendere a Madonna della Valle, alle Versure, a la “Costa la ‘Ntacca” quella che “A le giune le crepa e a le viecchie le scatta”. Ma il passato è addolcito dal tempo e il pathos si stempera nei ricordi fino a divenire dolcezza per chi ha visto con occhi di bimba senza pascere le pecore tra i rovi della Difesa o lavare i panni alle varie fontane, all’alba prima che altre donne sopraggiungessero perchè “Chi sta da coppa vota e chi sta da sotta para”. E’ questo Bonito per Gianna e noi siamo grati del suo amore e del suo impegno nel recuperare quel linguaggio che chiama la Madonna nel modo giusto ma che aggiunge quel “ace” a “sta” e a “fa” fino a far diventare i due verbi una esclusiva della parlata bonitese.
Nella serata alla dogana diverse idee sono state espresse dai relatori, per ora la più concreta e attuabile mi è parsa la considerazione del prof De Blasi: continuare a parlare il dialetto è l’unico modo per salvarlo. Non è da escludere nemmeno un museo delle voci proposto dal prof. De Roma, ipotesi già avanzata da Donato Cassese in occasione del Raduno annuale dei poeti dialettali a Montemarano ; ma già in questa circostanza emersero le difficoltà legate ai fondi assenti ed a una serie di problematiche legate alla strumentazione. Quello che risulta evidente ad ogni incontro è che, chi lavora veramente per la cultura lo fa gratuitamente senza aspettarsi aiuti da nessuno.
Noi della Grande Madre ci sentiamo di dire che stiamo facendo l’impossibile, da concorso internazionale che anche quest’anno si avvale dell’alto patrocinio dell’UNESCO, al Raduno annuale a Montemarano, alla mappatura delle voci poetiche irpine, sfida lanciata anche al resto della penisola attraverso i nostri numerosi collaboratori, e penso che si parta proprio dal bergamasco con la nostra Carmen Fumagalli. Diverse manifestazioni mensili, che svolgiamo in diversi paesi e nelle scuole, contribuiscono a mantenere vivo il dialetto e le nostre tradizioni, sempre allargando uno sguardo oltre gli angusti confini provinciali.
La bella iniziativa si è conclusa con un ricco buffet offerto dall’ospitale comune di Flumeri e con l’intento di incontrarsi ancora e suggerisco, magari in modo più informale per dar voce alla ricca platea riunitasi ieri sera nella dogana, costituita dai veri sostenitori delle tradizioni e del dialetto, gli studiosi locali che hanno dedicato tutto il loro tempo alla ricerca, il loro denaro alle pubblicazioni, il loro impegno per evitare che la nostra memoria venisse spazzata via dal fruscio delle pale eoliche. Confidiamo quindi inSallicandro Silvio perchè è lui che ha la chiave  giusta, nella sua casa editrice sono raccolti la maggior parte dei testi sull’Irpinia, fin ora unica concretezza dei nostri beni immateriali.

Mappatura in allestimento dei poeti dialettali e dei ricercatori irpini

unnamed.jpgStiamo allestendo la mappatura dei poeti dialettali irpini e dei ricercatori, si ringrazia chi può fornire aggiornamenti. Lavoriamo per voi.

 

 

 

  • Aiello del Sabato
  • Altavilla Irpina             Sophia Iacobucci
  • Andretta                       Rocco Mele
  • Aquilonia                         Giovanni Famiglietti
  • Ariano Irpino             Filippo Gambacorta
  • Atripalda                         Lucia Gaeta – Antonella Leone – Stefania Russo
  • Avella
  • Avellino                        Rosa Battista – Anna Calabrese – Carmen De Vito – MariaRonca
  • Bagnoli Irpino             Aniello Russo
  • Baiano                Carmine Montella
  • Bisaccia                         Libero Frascione – Antonio Frascione – Gianfranco Imperiale
  • Bonito                         Franca Molinaro – Miletti Manlio – Valerio Massimo Miletti –                                 Emanuele Grieco
  • Cairano
  • Calabritto                         Angela Iannarella
  • Calitri                       Raffaele Salvante –   Alfonso Nannariello – Ettore Cicoira
  • Candida
  • Caposele                         Mirella Merino
  • Capriglia Irpina             Agostina Spagnuolo
  • Carife                               Salvatore Salvatore
  • Casalbore
  • Cassano Irpino
  • Castel Baronia             Pompilio Dottore
  • Castelfranci
  • Castelvetere sul Calore
  • Cervinara
  • Cesinali
  • Chianche
  • Chiusano di San Domenico
  • Contrada
  • Conza della Campania
  • Domicella
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Poeti dello stretto for Harambee “Cchiù simu e cchiù valìmu” Antologia Autori Vari, Disoblio Edizioni. franca molinaro

12255638_1101868409825761_412028629_o.jpgQualche anno fa ho conosciuto Rocco Nassi, magnifico poeta calabrese, animo nobile e sensibile alle mille sfumature dell’esistenza. Invitò me e il coordinatore Emilio De Roma, a partecipare ad una iniziativa umanitaria di notevole respiro. Acconsentimmo subito senza nemmeno documentarci, bastava la parola di Rocco, qualsiasi cosa avrebbe proposto sarebbe stata certamente valida.
Dopo un anno o poco più mi ritrovo tra le mani l’antologia che Rocco ha curato, dentro c’è anche il nostro contributo, poesie, disegni, litografie, con una bella introduzione di Fortunato Aricò, pres. Associazione Azimut Alta Formazione Coordinamento Rete Calabria for Harambee.
Leggo attentamente la breve ed essenziale presentazione al testo e contemporaneamente mi interrogo sul valore reale della mia opera a favore della cultura e del territorio. Volontaria della cultura povera, a volte, mi chiedo qual è il valore effettivo del mio operato; anni di lavoro per esser più volte amareggiata da risposte o atteggiamenti. E’ una beneficenza sprecata se la confronto al lavoro fatto da questa Associazione umanitaria che si rivolge all’uomo bisognoso, quello che riconoscerà sempre il valore di un gesto di amicizia e d’amore a dispetto del nostro occidente civile e imbellettato.
Il progetto pilota risale agli anni ’80 del secolo scorso, nasce dalla Fondazione Brownsea, un’associazione di scout con sede a Milano.  I principi sono quelli del mondo scout, insegnare a vivere con autosufficienza e dignità senza assistenzialismo che, secondo il presidente, è il male di tutto il Sud del mondo. A questo primo nucleo si sono poi aggregate tante altre realtà che hanno dato e continuano a dare, ognuna secondo i propri limiti e competenze, il proprio apporto. Così Calabria for Harambee è presente in varie iniziative attraverso contributi provenienti dalle più disparate raccolte. Stavolta è una antologia poetica il cui ricavato è devoluto per i progetti in Africa: scuole, ospedali, ma soprattutto crescita culturale nel pieno rispetto delle identità locali. Troppo spesso l’uomo europeo ha attraversato il Mare Nostrum con intenti “umanitari”, vale a dire: insegnare a quei soggetti “antropologicamente interessanti” le leggi della propria civiltà avariata e marcia di egoismo, arrivismo e colonialismo. Avvicinare il prossimo senza imporgli le proprie leggi e i propri credo è un atto supremo di vera civiltà. Così accade che, grazie alla giusta formazione, laggiù si costruiscono comunità il cui capo può essere una donna tuttofare, capace di aiutare a partorire una donna o una mucca, dirigere un’organizzazione, coltivare delle piante. Tutto questo è lontanissimo dalla mente tecnologica degli europei sempre più settoriali e sofisticati ma è molto vicino a quella civiltà che abbiamo da poco smesso, ancora cantata dolcemente in tanti versi calabresi, siciliani, e di altri poeti sensibili, di ogni parte della penisola.
Parlare dell’antologia è difficile, occorre leggerla per avvertire le diverse modulazioni di suoni, le armonie di questa orchestra di poeti dal linguaggio duro ma incredibilmente armonioso. Riemerge ad ogni verso l’amore sconfinato per una terra di fiumi asciutti e montagna rovinosa, di mare cristallino e aroma di gelsomino, di stelle che incoronano la perla incastonata tra due mari, di civiltà gloriosa, cancellata dai luoghi  ma non dalla storia. Un dolore di fondo, subdolo e inconscio striscia negli atri più profondi dei cuori, un ricordo, storie di brigantaggio, guerriglieri passati per le armi, ma anche bambine innocenti cadute sotto il fuoco dei fucili, e poi, un pugno di sopravvissuti, con messi bruciate e raccolti distrutti, costretti a partire col solito fagotto di stracci legati con lo spago. I figli del Sud sono dispersi in tutto il mondo, hanno portato le loro braccia e il loro cervello, si son fatti onore. Ora è un Sud più profondo che sta chiedendo aiuto con occhi svampiti, spaesati, facile strumento in mani criminali, bottino per organizzazioni mafiose propense allo sfruttamento dei bisognosi; ignominiosa progenie di Caino non bada all’uomo ma a quel dio blasfemo  coniato nelle zecche di tutto il globo.
I poeti dello Stretto hanno aperto le braccia per un variopinto girotondo, noi della Grande Madre siamo orgogliosi di stringere le loro mani seppure con un piccolissimo contributo.

A Pietradefusi il rito di insediamento del tribunale per la sessione di apertura dell’inchiesta Diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità di P. Lodovico Acernese. di franca molinaro

10400824_235264740150424_5020875725562214619_n.jpgPietradefusi, 28 febbraio 2016, la piccola cittadina irpina non è nuova a queste esperienze, già qualche anno fa assistette alla beatificazione di Teresa Manganiello, la giovane suora destinata ad avviare il cammino del nuovo ordine istituito da padre Lodovico Acernese. Oggi, a cento anni dalla morte del padre fondatore, le suore e tutti i fedeli del circondario, chiedono agli organi addetti di intraprendere la causa per la sua Beatificazione e Canonizzazione. Un evento storico cui ha partecipato una folla indicibile di fedeli emozionati, forse anche orgogliosi di accogliere nelle mura della chiesa madre tanti esponenti della Chiesa con in testa l’Arcivescovo Metropolita Andrea Mugione e il Cancelliere Sac. Giampiero Pisaniello. Tante le personalità di spicco presenti all’evento: il sindaco Giulio Belmonte in prima fila con fascia tricolore, poi laici ai religiosi, le suore tutte, una nuvola di veli azzurri e un coro angelico di voci a intonare i vespri.  Nominato Giudice Delegato Mons. Pietro Russo, Vicario Giudiziale del Tribunale Interd. e d’Appello Beneventano; Promotore di Giustizia Mons. Giuseppe Errico Vicario Giudiziale Diocesano; Notaio Attuario Suor Pasqualina Di Donato Savino Suora Francescana Immacolatina. Nominata anche una commissione di Esperti in Storia e Archivistica composta da Padre Domenico Tirone, Padre Davide Panella, Prof. Fausto Baldassarre. A queste persone è affidato lo svolgersi del processo e tutte le notizie e le dichiarazioni che perverranno a testimoniare la bontà e la santità del Padre pietrafusano.
Padre Lodovico, al secolo Antonio, nacque in Pietradefusi da famiglia timorata di Dio, primo di otto figli. La sua vocazione si manifestò presto come pure la sue straordinarie capacità intellettive. Teologo, filosofo, poeta, ebbe la sfortuna di vivere quel terribile momento in cui la ventata anticlericale che giungeva dalla Francia produceva i suoi effetti anche sulle nostre misere contrade già provate da tante sventure. La soppressione degli ordini religiosi e l’incameramento dei beni ecclesiastici operato dal nuovo regno era indirizzato a rifornire le tasche dello stato svuotate dalla guerra con l’Austria. Tra i tanti malanni che l’unità portò al Sud, questo fu un ulteriore male operato gratuitamente sulla povera gente che altro sostegno non aveva se non quello degli ordini religiosi. A quell’epoca gli ordini religiosi erano degli organi di carità a servizio di nullatenenti, ammalati, bisognosi. Il Nostro frate soffriva tanto di queste vicende da definire quel secolo “dannato”, e la sofferenza si legge nei suoi scritti, nelle sue poesie. Ma quando le acque si chetarono un poco, ecco che il frate si adoperò per aprire una scuola per bambini poveri, poi fondò il Terz’ordine Francescano. La prima Terziaria di Montefusco fu la giovanissima Teresa Manganiello che prese il nome di Sorella Maria Luisa, era lei designata dal fondatore a madre superiora ma il Cielo aveva in serbo per lei altre cose e pochi anni dopo volò verso il paradiso chiudendo il calvario terreno. Non era così per il nostro padre Lodovico avversato da superiori liberali che gli regalarono le peggiori  umiliazioni nonostante l’affetto e il sostegno del suo popolo e del Cardinale De Rende. Questo non meraviglia perché pochi sono gli uomini santi e non solo tra i laici, l’uomo è schiavo delle sue passioni, invidia, successo, politica, sono le peggiori e le più frequenti, per esse si calpesta il giusto e il santo finché la giustizia divina non corregge gli errori. E la giustizia divina giunse restituendo a padre Lodovico la sua dignità e alla sua Pietradefusi il suo sant’uomo. Oggi è proprio la sua gente a presenziare numerosa al rito di Insediamento del Tribunale per la sessione di apertura dell’inchiesta Diocesana sulla sua vita, le virtù e la fama di santità. Noi della Grande Madre, avendo sposato fin dall’inizio questa causa, auspichiamo che gli insegnamenti di Padre Lodovico tornino ad essere accolti  dal popolo come esempio di vita, di francescano amore e rispetto per tutte le creature. Seguiremo lo svolgersi degli eventi e daremo il nostro modesto contributo secondo le nostre capacità. Diamo quindi appuntamento a Bonito il 21 marzo, giornata mondiale della poesia, quest’anno dedicata agli scritti di Padre Lodovico.