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Le interviste di Ramona Viglione: Natalizio, le virtù e l’ascia

Continuiamo con le interviste della nostra collaboratrice e ricercatrice Ramona Viglione. Stavolta ci spostiamo a Cusano Mutri per incontrare un guaritore popolare.IMG_8325.JPG

Natalizio ha 89 anni ed è nato in un paese dell’alto Sannio. E’ uno dei guaritori tradizionali che ho avuto modo di intervistare per indagare i saperi e le pratiche con cui guarisce malesseri come la sciatica – nevralgia – i pili a menn (i peli al seno)– coliche – code d’uocchie (malocchio) – porri – a balen – fuoc e sant’antonio.

Le cause di questi malesseri sono da ricercare in un immaginario ricco di tabù infranti e di simbologie prese dal mondo naturale, ad esempio: “A balen (la balena) è quando i bambini piccoli di 2, 3 mesi, ma anche fino ai 10 mesi, hanno le gambe rosse, fanno una brace di fuoco…le gambe si fanno rosse perché si dice che quando la donna è incinta e passa sopra il sangue di un asino o di un’altra bestia allora il figlio esce cosi”. Altre malattie, come la sciatalgia, si pensano essere causate dall’inacidimento di un nervo per un movimento sbagliato o per il freddo.

Le sofferenze suddette possono trovare guarigione con la tecnica usata da Natalizio per operare medicalmente: la c.d. passata. Il rituale della passata sembra essere uguale e uniforme per tutti i tipi di malesseri, ma in realtà si differenzia al suo interno per il contenuto delle preghiere. Dopo aver imparato a scrivere, Natalizio ha riportate le preghiere su carta stampata e le ha inserite in un raccoglitore di foto che porta con sé ogni qualvolta è chiamato ad intervenire. Attraverso il segno della croce e proseguendo appoggiando a tratti la mano sulla parte dolorante, recita le preghiere, chiamate da Natalizio stesso “le miei virtù”, diverse l’una dall’altra, ma legate direttamente alla tradizione cristiana attraverso la rievocazione delle figure di Gesù, Maria e i Santi. L’interpretazione “popolare” del messaggio cristiano fa si che la ritualità dell’atto terapeutico si apra con il segno della croce, gesto emblematico che è ripetuto per tre volte all’inizio e tre volte alla fine del rituale direttamente sull’area interessata e poi è replicato varie volte durante la lettura delle preghiere. Alcuni rituali di guarigione, come quello della sciatica, vengono ripetuti tre volte per tre giorni, non in un qualsiasi momento della giornata, bensì quando il sole non è alto nel cielo. L’essere specializzato nella cura di diverse malattie dipende, probabilmente, dalle modalità con cui gli sono stati trasmessi gli insegnamenti e, durante il nostro incontro, in riferimento alla sua iniziazione, mi ha raccontato: “avevo 2-3 anni quando i miei genitori si sono accorti che io avevo un dono di Dio perché dove tocco con le mie mani poi guarisce: da mia madre venivano persone per essere curate, come i bambini con il mal di pancia o  mal di testa e io vedevo che mia madre metteva le mani sulle parti del corpo che gli facevano male, e io ero curioso, volevo anche io mettere le mani; mamma si accorse che c’era qualcosa in me e iniziò a dirmi:“Ninn pass sto creatur ch’ s lev’ tutt chell che tene”. Anche mia madre aveva il mio stesso dono, e  io ero nato il suo stesso giorno, il 23 Dicembre, alla sua stessa ora, però lei non sapeva né leggere e né scrivere e per questo non poteva fare quello che faccio io con le preghiere, io leggo le preghiere che creo stesso io e poi le ho fatte stampare per non creare imbrogli”.

Quindi, la capacità di prendersi cura degli Altri, così come faceva la madre, è considerata non come il risultato di una pratica di apprendistato di saperi, bensì un “dono” da intendere come un destino in cui si è investiti da una “forza terapeutica”.

Precisamente chi è Natalizio? È nato nel 1927 da padre falegname e madre contadina, a Civitella, una frazione di Cusano Mutri ed è l’ultimo di 9 figli; proviene da un contesto rurale e ha lavorato nelle ferrovie dello Stato sin dall’età di 14 anni, occupandosi del montaggio dei “cuscini” sui binari. Nel 1951, appena aveva finito il militare, si è sposato con una ragazza di Civitella, dalla quale ha avuto 8 figli. Ha lavorato anche in Germania per 5 anni, sempre nelle ferrovie.

Natalizio non prende denaro per le cure che apporta ed è un punto di riferimento non solo nel paese, ma anche nei  paesini limitrofi tanto che il mio accompagnatore è stato a lui indirizzato da un anziano incontrato davanti a una clinica di Telese che gli ha detto:“che ci vieni a fare qui? Andate da Natalizio che lui sa curare le sciatiche”.

L’autorità del suo operare fu riconosciuta anche da un medico che, quando esercitava ancora la sua professione, salvò la vita a una delle figlie di Natalizio. Questo medico in pensione si affidò a Natalizio con la consapevolezza che fosse l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo a guarire dal Fuoco di Sant’Antonio, dopo aver consultato e provato con vari rimedi biomedici. Natalizio mi racconta che lo raggiunse a casa e lo trovò molto dolorante e così iniziò a rassicurarlo: “non ti preoccupare che stanotte dormirai… Dopo la prima passata andai a chiamare la moglie e le dissi di prendere lo zolfo rosso vicino la vite e di metterlo con olio d’oliva in una tazzina per togliere tutte le cose infettive, come la scabbia, la rogna. L’ho unto sano sano e ho recitato le formule. Il medico mi disse: io ho studiato, ma non mi ricordavo che lo zolfo guarisse, e io “Dottò io non sono dottore, ho studiato con un’accetta in mano”. Il giorno dopo le piaghe erano bianche e gialle e non sentiva più dolore”.

Con il termine passata, Natalizio descrive l’intero processo terapeutico che esegue, un processo ricco, non solo di formule-preghiere, ma anche di saperi contadini relativi alle qualità curative intrinseche in alcuni elementi, come lo zolfo in questo caso. Natalizio può essere considerato un mediatore di guarigione che con le parole “io ho studiato con l’accetta in mano”, ha riassunto il suo percorso di crescita identitaria in cui i saperi locali sul corpo e le malattie si sono mescolati e rimodellati con la tradizione cristiana.
Ramona Viglione

 

Al Museo delle cose perdute per Padre Lodovico di franca molinaro

DSCN3866.JPGLa storia degli umili è fatta di piccole cose, frammenti da incastrare, piccole tessere da accostare, necessarie per ricostruire gli eventi, i personaggi, le vicende delle comunità e dei singoli. Se non esistessero persone capaci di raccogliere con amore e cura tutte le cose che appaiono inutili agli occhi della moltitudine, l’opera di ricostruzione risulterebbe impossibile. Così accade che a Bonito (AV), un giovane falegname, fin da bambino ha iniziato una meticolosa raccolta di oggetti di ogni provenienza, fino a mettere insieme migliaia di pezzi e realizzare un museo, appunto il “Museo delle cose perdute”. In questo luogo avulso dal tempo ma facilmente raggiungibile, in un vicolo di Via Roma, Gaetano Di Vito ha recuperato tutto quello che gli suggeriva la sua sensibilità. Ora il patrimonio immateriale è cresciuto all’inverosimile e anche i paesi limitrofi vengono a spulciare tra vecchi libri e manoscritti per scovare un segno, un particolare che li possa ricondurre alle specifiche ricerche.  Gaetano ha un grande cuore e si mette a disposizione in prima persona; dopo la Giornata Mondiale della poesia dedicata a Padre Lodovico Acernese, ha ricordato di aver raccolto testimonianze della comunità pietrafusana così, subitamente ci informò della possibilità di collaborazione per la ricostruzione della vita del padre cappuccino.
Le suore, entusiaste, accompagnate dall’infaticabile Fausto Baldassarre e dal nostro Emilio De Roma, con la superiora in prima persona, si sono recate al museo per visitarlo e cercare qualche traccia utile al loro lavoro. Lo studio è lungo ma Baldassarre, responsabile storico nel processo di canonizzazione di Padre Lodovico, saprà trovare i giusti appunti. Le suore entusiaste hanno proposto a Gaetano di realizzare una bacheca nel loro museo con i reperti provenienti da Bonito, vetrina importante per Gaetano che avrà, in questo modo, una finestra aperta sul mondo.
Gaetano è un ragazzo semplice e dal cuore pulito, per lui fondamentale è l’amicizia di Valerio, sostegno culturale per il museo e il paese tutto, presente anch’egli all’incontro; insieme abbiamo respirato aria serena, gioia di condivisione, entusiasmo per il lavoro da farsi. Dai tesori di Gaetano son emerse vari oggetti importanti, foto, notizie ma soprattutto una medaglia che le suore hanno apprezzato moltissimo, si tratta di un oggetto fatto coniare in occasione dell’incoronazione della Beata Vergine dell’Arco in Pietradefusi, il 5 agosto 1888. Anche quest’oggetto andrà a costituire il corredo museale allestito in memoria del padre fondatore in vista della sua beatificazione.
Il cammino è lungo da farsi ma c’è volontà e collaborazione, c’è l’entusiasmo delle suore e degli studiosi che hanno dato disponibilità di tempo e d’impegno, piano ogni cosa prenderà forma, certamente non manca una mano invisibile che ci accompagna, quella mano francescana di cui condividiamo ogni valore.