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“Modi di dire di San Giorgio del Sannio e dintorni” al Museo del Sannio

19225895_1540856142644434_4965340473606645974_n[1].jpgProssima presentazione a Napoli, 8 novembre, presso l’Università.
Una serata dedicata all’archeologia della parola non si poteva svolgere in un contesto migliore della splendida sala “G. Vergineo” del complesso di Santa Sofia (BN), monumento storico iscritto dall’UNESCO nella lista dei Patrimoni dell’umanità dal 2011.
Questa seconda presentazione del testo del prof. Antonio Vincenzo Nazzaro e del pof. Gerardo Pedicino sebbene in aria di amicizia, si è svolta in toni più austeri. Il moderatore, l’eccellente giornalista Achille Mottola, con la sua carica umana, ha stemperato l’atmosfera, accostando i relatori, personaggi di notevole spessore culturale, a un pubblico eterogeneo. A dare il saluto iniziale Claudio Ricci, Pres. della Provincia di Benevento, con un suo dubbio: “Avrebbe apprezzato, Virgineo cui è stata intitolata la bella sala, un testo che poco sembra aver rapporti con gli studi accademici sulla lingua italiana?”. Ricci, che sulle prime parole lascia l’interrogativo aperto, conclude con il suggerimento di insegnare dialetto nelle scuole. Un’idea bellissima che andrebbe sostenuta, affiancata, magari, allo studio della storia locale. Intanto, visto che di lingue ne hanno fin troppe da studiare, causa la globalizzazione e la pressione continua dell’oriente sui paesi occidentali, si può iniziare dalla famiglia e il compito è della nostra generazione, l’ultima che conserva ancora un poco di memoria. “Non c’è niente più del linguaggio a caratterizzare la dignità dell’essere umano”, Ricci conclude con quest’affermazione che potrebbe diventare una massima, così come noi della Grande Madre, ogni anno ripetiamo lo slogan: “Il dialetto costituisce la specificità immateriale di un’etnia, la sua perdita porta all’omologazione culturale, il recupero è un atto di salvataggio”.
Nel saluto di Enzo Pedicino non è mancato un ringraziamento accorato a Cosimo Caputo per l’aiuto prestato durante il lavoro di correzione. Mario Pedicini, scrittore e giornalista, ha posto l’accento sulle difficoltà di leggere il dialetto, problema più volte sottolineato dal prof. Nazzaro durante la lettura e valutazione delle poesie del nostro concorso. Bisogna scrivere il dialetto senza rincorrere i geroglifici maneggiabili solo dagli esperti e che finiscono per rendere illeggibile un testo. Il Pedicini parla del dialetto come lingua ricca mentre definisce “sterile” l’italiano, lingua passata attraverso una sorta di purificazione. Lo scrittore è parso particolarmente solleticato dai proverbi in cui vi è un richiamo sessuale ed ha riportato simpatici episodi del suo vissuto personale facendo emergere come l’umanità si somigli ovunque. Ha anche lanciato un’idea di un dizionario dei dialetti sanniti pur nella coscienza delle difficoltà oggettive, si verrebbero, infatti, a confrontare dialetti sensibilmente differenti nelle diverse località della provincia. Molto articolato l’intervento di Marcello Rotili, Ordinario di Archeologia Cristiana e Medievale Università della Campania “L. Vanvitelli”. In un tempo in cui si viaggia nello spazio in tempo reale acquistando le doti di ubiquità, in un momento dell’umanità segnato dalla globalizzazione, il dialetto, la sorella povera della madrelingua, o forse chissà, la vera madre della lingua italiana, riacquista dignità perché gli si riconoscono le proprietà terapeutiche.
Hanno concluso i curatori con aneddoti sul lavoro svolto e dovuti ringraziamenti.
Noialtri che abbiamo dedicato la vita al dialetto, in modo non accademico, sappiamo quanto è difficile lavorare in questa direzione perché solo negli ultimi anni si comincia a comprendere la necessità di recuperare il linguaggio del cuore, la lingua materna, solo ora che l’Occidente, dopo le “grandi conquiste” politiche, culturali, sociali, dopo che le menti hanno perduto l’equilibrio, i luminari si accorgono che forse, la stabilità emotiva di un individuo può dipendere anche dalla capacità di mantenere salde radici. Non è, questo, il caso dei Nostri che nell’egregio lavoro svolto hanno riportato in bibliografia molti testi locali e, con questa nuova pubblicazione hanno aggiunto una nuova perla al lavoro già silenziosamente svolto. Colgo l’occasione per ricordarne alcuni che hanno speso tempo, denaro ed energie in questa direzione senza riscuotere le lodi che avrebbero meritato, partendo da Vito Acocella, Premio alla Memoria dello scorso anno in “Echi di poesia dialettale”, riconosciuta da noi della Grande Madre proprio per aver dato l’avvio agli studi antropologici nell’Alta Irpinia, suoi sono “Proverbi irpini”; segue Raffaele Salvante, suo concittadino, con la sua opera immane a favore della cultura povera, sempre di Calitri Alfonso Nannariello. Da Ney York Carlo Graziano, storico di Bonito, pubblica “Agricola Cristianus”, Emanuele Grieco da Bologna, per Bonito pubblica “A lenga non tene l’osse ma rompe l’osse”, sempre per Bonito il dizionario di Salvatore La Vecchia dove si evidenziano le attinenze del bonitese con il linguaggio usato dal Basile, e ancora un bel gruppo di proverbi inseriti da chi scrive in “Morroni , passato e presente, storia e tradizioni”, “Proverbi ternari dell’entroterra campano” dove tento un’esame interno della cultura agropastorale, “Almanacco della Grande Madre” con i lavori agricoli e le previsioni del tempo. E ancora voglio ricordare tanti altri cari amici e ottimi studiosi non accademici che hanno svolto un certosino lavoro di recupero. Ogni paese ha il suo amante appassionato che ha ridato voce al popolo ponendo per iscritto ciò che era materia orale: Salvatore Salvatore e i suoi “Cento Proverbi”; Beniamino Tartaglia con i Quaderni del Museo, un’opera colossale sulle tradizioni di Carbonara; Aniello Russo che ha dedicato tutte le sue energie al recupero; Giuseppe Iacoviello e la sua grandiosa opera quasi sconosciuta su San Nicola Baronia, Luigi D’Agnese a Montemarano con l’etnomusicologia, Fedele Giorgio e Donato Cassese a sant’Andrea di Conza, Salvatore Nittoli a Teora, quasi accusato, dagli intellettuali contemporanei, di aver scritto un dizionario dei dialetti irpini non per salvarli ma per rendere comprensibile l’italiano agli analfabeti; Giannetta Euplio a Scampitella, Antonio Panzone a Taurasi, Antonio Salerno a Paternopoli, Ottaviano Silano e Paola Silano su Villanova del Battista e Greci, Spagnuolo Agostina per Capriglia e Guardia dei Lombardi, Libero Frascione di Bisaccia, Emilio Mariani di Morra de Sanctis, Valerio Ricciardelli su Montoro. Solo per citare gli amici che arrivano per primi alla mente, scusandomi con quanti ho dimenticato. Con questo rinnovo l’invito a tutti gli studiosi di tradizioni popolari, dialetti, etnobotanica ecc. di inviarmi la scheda dei loro testi per inserirli in rete nella pagina del blog dedicata ai “Ricercatori”, in tal modo daremo la possibilità agli studiosi accademici di consultarci nel corso dei loro studi. Faremo in questo modo due cose importanti, daremo occasione ai nostri testi di circolare e materiale da spulciare agli addetti ai lavori.

franca molinaro