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Monthly Archives: August 2017

La cipolla, Allium cepa, di Giuseppe Iacoviello

 

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La cipolla (dal latino: cepa) appartiene alla famiglia delle liliacee. È una pianta biennale o perenne. Non cresce spontaneamente da noi se non coltivata. Come l’aglio proviene dell’Asia. Si semina a febbraio nel semenzaio detto anche “cipollai’” o “vrass’cal’” (terreno grasso preparato ad hoc), oggi va di moda il semenzaio sotto serra la cui piantina si sviluppa, in meno tempo, nella celletta di polistirolo. Si innaffia per farla nascere e crescere, poi a marzo si spianta dal vivaio per ripiantarla nei solchi dell’orto, zappato e spianato. Per una buona coltivazione la pianticella deve essere collocata ad una distanza di circa 20-30 cm l’una dall’altra. Anche qui si innaffia, si concima, si calza, si tolgono le erbacce e circa tre mesi dopo si cava facendola stare, divelta, per il tempo che la terra, rimasta intorno al bulbo, si secca e si sgretola e le foglie fistolose (a forma di tubo) si appassiscono per poi appenderla a inserto o a mazzi in luogo riparato e asciutto. I maschi, portatori di semi, sono quelli che recano all’apice della fistola una infiorescenza globosa formata da fiori peduncolari bianchi, rosa o viola.

 

La cipolla si presenta, per tipo e qualità, con il bulbo di forma e dimensioni diverse. Detto bulbo è suddiviso in foglie carnose interne e membranose esterne.  La pianta erbacea ha proprietà antiscorbutiche, antisettiche, callifughe, diuretiche, espettoranti, ipoglicemizzanti, lassative, risolventi, rinfrescanti e tolleranti perfino per i malati di stomaco. Per la salute, e con il parere del medico, viene usata, per uso interno, in decotto, tintura alcolica e tintura vinosa. Per uso esterno viene applicata in succo fresco contro punture di insetti, calli, verruche e geloni. La cipolla è usata ugualmente per favorire la crescita dei capelli: con il succo fresco o la tintura alcolica si friziona il cuoio capelluto. Tale prodotto ortofrutticolo è utile finanche per far maturare i foruncoli. In questo caso si fa cuocere in poca acqua e poi applicato caldissimo sulla parte interessata. Infine, la cipolla è consigliata alle partorienti per far calare il latte. In cucina se ne fa un largo uso per odori, sapori e nutrimento. Tra i tanti pregi che la medicina e la gastronomia le attribuisce c’è, però, un difetto che è quello di far lacrimare gli occhi alla cuoca quando la taglia.

 Il profumo di cipolle

 

(Estratto del libro del medesimo autore: Baronia, aspetti religiosi e civili, anno 2001, pag.59)photo.jpg

 

 Il racconto antico

Un giorno l’Arcangelo Michele fu mandato da Dio sulla terra per scontare una penitenza della durata di tre anni. Appena sulla terra, si cercò un’occupazione presso un ricco signore. Fu assunto come garzone per attendere al gregge, ai buoi e ai lavori della stalla. Al padrone non sfuggì l’intelligenza del ragazzo e ben presto gli affidò altri compiti che assolse con molta cura e precisione. Meritava tutta la fiducia e il padrone non tardò a concederla.

 

Il garzone tutto fare svolgeva qualsiasi attività gli venisse comandata, lo faceva senza mai lamentarsi, anzi, dava l’impressione che più lo comandavano più lui era contento. Il sorriso sempre sulle labbra e dal volto traspariva una luce celestiale. Di lui il proprietario prediligeva su tutte la passione per la cucina. Infatti, ogni cosa cucinata da lui aveva un gusto eccezionale. Il cibo saziava e nello stesso tempo era leggero e digeribile. L’olfatto e le papille gustative facevano gustare fino al visibilio i prelibati cibi. La fama di cuoco si era ormai diffuso in tutto il contado e gli amici del padrone, a più riprese, chiesero di voler assaggiare uno dei piatti di Michele, anche se in realtà ognuno sosteneva che il proprio cuoco era il migliore.

 

In una di queste discussioni emerse l’idea di una gara tra i cuochi e si stabilì che tale gara doveva svolgersi in casa del signore dove Michele prestava la sua opera. L’Angelo del Signore avrebbe voluto rifiutare l’invito per non mettersi in concorrenza con gli altri, ma il suo padrone aveva già preso impegni e non si poteva tornare indietro. Quello che il santo poté fare fu solo di rimandarlo il più possibile. Venne il giorno stabilito e gli amici si ritrovarono a tavola con le loro famiglie per dare il via alla competizione. Tutti erano ansiosi di assaporare le varie pietanze e ognuno in suor proprio sperava di vedere eletto il suo gastronomo. Era stato già stabilito in precedenza, mediante sorteggio, l’ordine dei cuochi che dovevano preparare e servire i loro piatti: a Michele toccò per ultimo. Non si badò tanto all’orario, ma al momento in cui i primi piatti fossero pronti. Le pietanze si susseguirono una dopo l’altra e con esse i cuochi i quali ricevettero a turno applausi ed elogi. Chi per un verso chi per l’altro ognuno aveva i numeri per essere il primo. Durante il servizio, di tanto in tanto il padrone di casa andava a dare un’occhiata nella stanza dove il suo cuciniere doveva preparare la vivanda. Non avendo niente di preparato cominciò ad agitarsi. Richiamò il servo per il ritardo. Già immaginava la figuraccia che avrebbe fatto di fronte agli ospiti e figuratevi quando sentì che si apprestava a preparare le cipolle. Non stava nei panni per l’inquietudine e la vergogna. Quanto al ritardo, Michele pregò di non allarmarsi perché solo allora era mezzogiorno. Gli fece mettere il piede sul suo e gli fece sentire che in quel momento in cielo suonavano le campane a gloria. Gli rilevò di essere l’angelo del Signore e che nello stesso giorno si sarebbe congedato per far ritorno in Paradiso poiché la penitenza era finita. Per le cipolle il piatto si addiceva e non v’era nulla di cui preoccuparsi. Infatti, quando il piatto arrivò sulla tavola un profumo delizioso invase la sala. Tutti rimasero stupefatti. Quale carne prelibata! Quale gusto celestiale!

Nessuno voleva credere che fossero cipolle.

 

La lunga strada verde di Rocco Varallo passa per Bojano di franca molinaro

bovianum-caput-pentrorum-4-italianinelmondoPomeriggio del 24 agosto, caldo infernale, con Rocco Varallo, dopo il successo di Rocchetta, in Puglia, ci dirigiamo verso Bojano, in Molise per parlare della sua transumanza e dei testi scritti con la collaborazione di Paolo Saggese, di chi scrive e di vari altri studiosi della materia. Ci accompagna l’afa di questi giorni di fuoco, la tristezza dei cigli bruciati in più luoghi, l’emozione di ritornare sui passi del vaccaro.
Bojano è una bella cittadina con un bel numero di abitanti, a ridosso del massiccio del Matese, subito dopo l’altopiano di Altilia, siamo in provincia di Campobasso. Il paesaggio è quello tipico del Sannio alto, boscaglie aride con massicci calcarei affioranti tra le erbe secche. Arrivati a palazzo Colagrosso troviamo la coordinatrice del tutto, Mina Cappussi, giornalista ma soprattutto donna volitiva, dalla grande sensibilità, con lei una vecchia conoscenza, Maurizio Varriano di Borghi d’Eccellenza e tanti altri validissimi studiosi.  Comprendiamo che siamo capitati nel bel mezzo dell’estate bojanese. Qui, da diversi anni si celebra una rievocazione storica del tutto insolita per noi ancora frastornati dalla festa medievale di Rocca san Felice. I Bojanesi hanno forte il senso di appartenenza e, andando a ritroso nel tempo, hanno scoperto le profonde radici comuni a tutti i popoli dell’Appennino centro meridionale. Secondo Strabone, popoli provenienti dal cuore della penisola si spostavano, a seguito di un animale sacro, in cerca di terre nuove da assoggettare. Il movimento, dovuto a problemi di sovraffollamento, aveva una giustificazione sacra, era l’offerta dei nati in primavera al dio della guerra, era questa la Primavera sacra. Mentre gli animali erano realmente immolati, i bambini crescevano come prescelti pronti a partire quando giungeva il loro momento, ad accompagnarli era un animale dal quale si traevano auspici su come procedere. Anche Frazer parla di questo fenomeno ricollegandolo ad antiche forme di matriarcato, senza voler citare i testi sacri in cui ritroviamo scritto che “L’uomo lascerà suo padre e sua madre per andare a vivere con la sua sposa”. Così, secondo la leggenda nacquero gli Irpini, da una sacra filiazione sannita, come i lucani, anche loro avevano per animale totemico il lupo, lucos, hyrpos. Ma torniamo ai nostri amici Bojanesi che, per celebrare la nobiltà della piccola regione Molise hanno rivisitato usi e costumi dei loro progenitori e li ripropongono con gran successo e grande eco mediatico. Noi stessi, nel corso della serata abbiamo avuto modo di assistere alla simulazione di un matrimonio tra una coppia di giovani Sanniti scoprendo come era importante a quei tempi possedere  le migliori virtù, solo così era possibile aspirare alla mano della più bella e onesta ragazza del clan, naturalmente non è chiaro se la ragazza accettasse per costume o per reale apprezzamento verso il giovane pretendente. Ma erano altri tempi, così lontani per noi che corriamo sulle ali del tempo, supetecnologizzati, eppure così vicini se si pensa alla storia dell’umanità.
Scopriamo, dagli interventi dei presenti, un orgoglio mai reso, uno spirito tenace che i montanari di tutte le regioni da sempre portano cucito addosso. L’Appennino forgia gli uomini, come spiegava Tiziano Arrigoni alla prima di un mio libro in Toscana, l’Appennino non è la montagna, sacra e inviolabile, lui è fatto di pietre da affrontare, di fatiche e sudore, è una sfida quotidiana che la vita impone. Così noi abitanti delle regioni interne siamo accomunati dallo stesso sentire, dalle stesse problematiche, spesso dalle stesse ingiustizie perpetrate nel susseguirsi delle epoche. Da sempre le zone interne sono lasciate a se stesse, pochi aiuti e molto sfruttamento, qualche contentino per zittire. Intanto i bravi appenninici emigrano e i borghi si spopolano, chi resta ha un’idea, un sogno da realizzare ma non sempre ci riesce. Per anni si è rincorso il modernismo, la fabbrica, la città, il posto fisso, denigrando sempre più agli occhi della massa, l’agricoltura e la pastorizia, attitudini naturali delle nostre terre e delle nostre genti. Non un occhio di riguardo per queste categorie ed ora che qualche giovane si vuole orientare in questa direzione, si studiano le regole più ridicole e impensabili per spezzargli le gambe. Forse questa rabbia che mi accompagna è condivisa con chi, come me crede ancora in una rivalsa delle categorie vicine alla terra, capaci di ragionare con il cuore e non con il portafoglio. Un allevatore che ha diecimila capi non ha i problemi di uno che ne ha dieci, quello che ne ha dieci deve rispettare le stesse regole senza la possibilità materiale di sottostare alle regole imposte.
Son ben lontani i tempi della transumanza di Rocco Varallo, i pastori e i vaccari oggi hanno seri problemi cui far fronte, qui come sulle Alpi. Se solo pensiamo alla lana, materiale preziosissimo per i nostri antenati, che ne avevano una cura maniacale per poterla rendere filo da tessitura, oggi è un rifiuto ingombrante, da smaltire pagando perché nuove diavolerie l’hanno sostituita nei materassi, nei cuscini, nella tessitura, negli indumenti. La testimonianza di Rocco è una voce forte, una guida, un ammonimento, ma cosa possiamo contro un sistema internazionale di potere occulto? Presto ci ritroveremo con pubblicità che denigrano il latte come già stanno facendo con il grano. Guardarsi intorno scoraggia ma non bisogna arrendersi, bisogna puntare su queste categorie legate ancora alla terra, sono loro che detengono un potere immenso, il rapporto diretto con la Grande Madre, la capacità di comprenderla e, di conseguenza, la scelta dei giusti interventi.

Echi di poesia dialettale 2017. Considerazioni a margine: un concorsoconcorso sempre più matrilineare. Di Carmen Tassone

IMG_20170730_111715A una dozzina di giorni dalla giornata di premiazione del Concorso internazionale Echi di poesia dialettale 2017, continuano ad arrivare le attestazioni di stima dei partecipanti, non solo dei poeti ma di tutti quanti, in vesti e ruoli differenti, hanno avuto modo di esser coinvolti in questa manifestazione, straordinaria, per detto di alcuni. Commovente la testimonianza di Carmen Tassone, vincitrice della sezione Premio Leivi; rientrando nella sua Calabria, riflette e scrive. Personalmente non conoscevo la Tassone, era un’amicizia da social ma ho apprezzato fin dallo scorso anno la sua poesia sottesa al recupero e diffusione delle antiche sacralità magico terapeutiche della sua regione. Nata al Nord ma presto ridiscesa a Sud, la Tassone fu allevata da una nonna curandera, scrigno di saperi antichissimi le cui radici penetrano a ritroso i millenni. Della nonna acquisisce la sensibilità che poi affianca a studi mirati, sempre alla ricerca di un’origine matrilineare, da riesumare per ristabilire gli equilibri globali. La Tassone, all’atto della comunicazione del premio, espresse il desiderio di voler esser mia ospite e non essere ospitata in agriturismo come gli altri poeti, questo non mi creò preoccupazione perché avvertivo in lei la semplicità dei contadini del sud, si sarebbe certamente trovata bene tra le mie creature. Così è stato, con disarmante familiarità ha partecipato ai lavori organizzativi del premio e alle attività domestiche. Ecco il suo resoconto pubblicato su fb:

“Cara Franca Molinaro Grazie:
Grazie di essere la persona che sei, grazie di aver creduto fortemente in questo progetto meraviglioso di poesia dialettale che richiama da tutto il mondo i nostri fratelli e sorelle Italiani ed Italiane, grazie perché quello che non sono riusciti a fare i sabaudi lo hai fatto tu senza guerra alcuna…ovvero unire questa meravigliosa Italia con carezze al nostro cuore fatte con petali di poesia e parole lontane, riechegianti…ma quasi perdute…perché ricordo sbiadito di un altro tempo, uso, parte di un vecchio sentire… appartenuto ai nostri avi ed ave e sempre meno riconosciuto dai nostri figli staccati sempre più dalle nostre sottane…che altri non sono che radici…e queste perdono presa affogando dentro un capitalismo globale, disturbato, disgregante che ci vuole non uniti, ma asserviti, omologati, annichiliti, privi di quel valore identitario che ci contraddistingue e ci rende unici irripetibili e meravigliosi ogni uno a suo modo. Grazie perché tu hai voluto richiamare in vita ciò che noi siamo realmente…farci ricordare odori, sapori, suoni, momenti di commozione…io ho ricordato mia nonna, strega, sapiente, medichessa…l’ho sentita vicina…il suo odore fatto di erbe, origano, nepeta…tu me la ricordi…con le tue levate col sole, i tuoi pulcini, coniglietti, cani, i tuoi ventisette gatti…le tue rape…i peperoncini…ma tu sei più dolce, sei fatta di mandorle e zucchero…di olii essenziali ed essenza di fata.
Grazie per avermi ospitata, accolta, desiderata, mi sono sentita a casa…e per me questo accade raramente…sono una persona solitaria…vivo molto dentro di me…e stare con te è stata un’esperienza piena…tu inesauribile Donna che ti alzi col gallo…prepari centrifughe…vai nell’orto, prendi, accompagni, segui ,coccoli ogni poeta…e alle due di notte…ancora un gran da fare…ed alle sei del mattino??? Dai si ricomincia ancora ed ancora.
Cosa dire dei poeti che sei riuscita a far convergere a Bonito…tutti fantastici, ma quello che mi ha colpito sono le tue poetesse…DONNE…che possiedono un quid speciale…

Le tue poetesse dicevo…attratte dalla tua luce…sono venute da te…nonostante il caldo e l’afa…siamo venute a trovarti, ogni una con la sua poesia in dialetto, Paola Picech con la sua emozione fortissima, Marina Moscardi con la sua luce, Carmela D’Antonio con la sua tradizione ancora fresca e pittoresca, Grazia Mazzeo con il suo sorriso, Andreina Solari con la sua compostezza, Carmela Marino con la sua simpatia…Yvonne Scerken con la sua aura silenziosa, che a di sapere, Daniela Vigliotta custode giovanissima della tradizione sonora, Lella Angelino e la sua fede infinita, e poi…Maria Neve…pensavo fosse una gatta…perché un nome così particolare non lo avevo mai sentito…invece è tua figlia ed il nome mi hai spiegato essere un tributo alla Madonna delle nevi…mi scuso per l’ignoranza in buona fede…una fatina piena di carattere…impastata di ottimo sapere e tanto peperoncino quello stesso che coltiva tuo marito…na spisidda.
Grazie anche a queste DONNE …che mi hanno donato, insegnato, trasmesso, amore, amicizia, tenerezza…grazie alla tua Irpinia, ai suoi misteri alle sue montagne…alle mucche…che ancora oggi pascolano sempre nei pressi di un luogo pieno di energia…come accade in Aspromonte…grazie alla Mefite…un luogo pregno di una strana energia…dove vita e morte vengono posti su una bilancia karmica per essere soppesati e tenuti in un perfetto equilibrio…onde evitare che possiamo sconfinare nell’oltre…se ancora non siamo pronti ed iniziati ai misteri…luogo dove ho lasciato una parte di me…grazie alla poesia che è parte integrante della nostra anima, del nostro DNA che si nutre di questa sonorità antica trasportandola oltre noi stesse…ed i nostri figli estensione di ciò che fummo..quindi oltre il tempo presente…grazie alla DEA MADRE che ti ha ispirata e che ti nutre al suo petto ininterrottamente…e che nutre ogni una di noi…costantemente… ancora grazie a te…che hai saputo Essere…e Fare…questa magia simpatica …dove la legge dice che il simile attrae il suo simile…e noi abbiamo risposto copiosamente con grande amore….

Teora, Premio alla Memoria di Salvatore Nittoli

teoraSi è svolta questa sera a Teora, la cerimonia di consegna del Premio alla Memoria Echi di poesia dialettale 2017. A ricevere il trofeo il sindaco Stefano Farina con tutta l’amministrazione, la sala gremita di pubblico e tanti bambini. Sono intervenuti Donato Cassese che per primo ci segnalò la figura premiata, Luciano Luciani studioso teorese, letture di Emidio Natalino Derogatis. Ha coordinato Gerardo Lardieri. Dopo la premiazione la serata ha visto protagonisti i ragazzi delle scuole di Teora in un recital dialettale.
Il premio alla memoria quest’anno è stato dedicato a Salvatore Nittoli, uno studioso teorese che non ha ricevuto molti consensi dalla critica. Ancora una volta la nostra attenzione è diretta a chi è stato dimenticato pur avendo apportato un notevole contributo umano e culturale al suo paese. Salvatore Nittoli è stato criticato dagli intellettuali moderni per aver scritto un dizionario destinato non al recupero del dialetto ma alla diffusione della lingua italiana ancora inesistente tra la classe povera. Un uomo contrario al dialetto forse? Sicuramente un insegnante in difficoltà, costretto a scontrarsi quotidianamente con quella parlata che dista tantissimo dalla lingua ufficiale. Ci è parso naturale pensare che ogni individuo o evento va scrupolosamente studiato nel suo contesto storico esaminando il momento e le vicissitudini, le esigenze sociali e personali. Pertanto abbiamo immaginato questo insegnante, Salvatore Nittoli, alle prese con una scolaresca a digiuno di lingua italiana, costretto a tradurre come da un’altra lingua, gli insegnamenti da impartire. In quel momento, per la scolarizzazione della nuova Italia, per combattere l’analfabetismo, occorreva una lingua, quella nazionale; l’unità di una nazione dipende anche dal linguaggio e in quegli anni postunitari era fondamentale. Nittoli si trovò a dover scrivere il dizionario dei dialetti irpini per necessità pratiche, nell’immediatezza della sua giornata non era possibile pensare alla salvaguardia del linguaggio locale ma al da farsi per ovviare a un grande deficit, l’analfabetismo, causa sempre di disuguaglianza e difficoltà di crescita. Oggi, dopo tanto impegno, si va verso il riconoscimento del dialetto come elemento distintivo nella storia di una etnia ma questo non prescinde dalla buona conoscenza e utilizzo dell’italiano, lingua bellissima che i nostri Padri hanno strutturato e ci hanno amorevolmente consegnato. La nostra autorità non permette di portare agli onori degli altari lo studioso, non è nostro compito stabilire il valore della sua opera, egli stesso asserisce di aver scritto un dizionario senza pretese, dettato dalla necessità impellente di offrire uno strumento di traduzione alla sua scolaresca. Il nostro è un riconoscimento affettivo verso chi si è prodigato per la sua terra e per la sua gente, verso chi è scomparso lasciando traccia del suo impegno a favore della cultura e della povera gente, è una sollecitazione a riscoprire la propria identità storica attraverso chi ha abitato il territorio. Così, coscienti di apparire contraddittori rispetto ai principi predicati in apertura, dedichiamo il premio alla memoria a chi, col dialetto si è trovato a dover lottare per portare a buon fine il proprio operato. Nittoli, col suo dizionario fa doppia opera, permette ai ragazzi di allora di avvicinarsi alla lingua nazionale e a noi, oggi, di ricostruire il linguaggio dell’epoca.

Dalla presentazione in antologia di Gerardo Lardieri
“Sacerdote, grammatico, nato a Teora (Av) il 31 maggio 1845 da Amato Nittoli e Raffaela Diletta Stefanelli, morì a San Severo (Fg) il 21 settembre 1929. Studiò presso il seminario di S. Angelo dei L. per intraprendere la carriera ecclesiastica. Dopo aver insegnato per sette anni nel Seminario Arcivescovile di Sant’Andrea di C. nel 1879, su invito di Francesco De Sanctis, si trasferì a San Severo (Fg) per insegnare nel Ginnasio della cittadina pugliese. Nel 1888/89 gli furono affidate le funzioni del direttore del Ginnasio. Negli stessi anni fondò una Biblioteca-Convitto nella sua abitazione della città foggiana che durò fino al 1897, anno in cui si dimise dalla carica di direttore del Ginnasio per dedicarsi all’insegnamento privato. Nel 1919, il Consiglio comunale di San Severo gli conferì la cittadinanza onoraria. Nino Casiglio su Civiltà Altirpina 1979 lo definisce: “una delle personalità semisconosciute di intellettuali di provincia, che pure rivelano, ad un esame non superficiale uno spessore culturale insospettabile”. Nel luglio del 2013 la G.M. di San Severo ha intitolato la sala di lettura della Biblioteca comunale al Nittoli, con la seguente motivazione: “allo scopo di onorare la memoria di un cittadino che si è distinto per l’impegno culturale, morale, umano, professionale e civile e che la nostra Città può ben vantare personalità di spicco che ben si distinsero nel passato per aver contribuito alla realizzazione della Biblioteca comunale, risaltandone il valore poliedrico della cultura.”
Le sue opere sono tutte di natura didattica, le prime del 1896, “Tavola sinottica dei complementi italiano-latini. Quadri sinottici dell’uso dei casi latini”, “Dell’analisi del periodo”, “Istruzioni di grammatica italiana e latina” furono pubblicate dalle Ed. E. Morrico. Nel 1873, per l’Editore Basile, pubblica il “Vocabolario di vari dialetti irpini”. Il Vocabolario di vari dialetti irpini nacque con il titolo completo “Vocabolario di vari dialetti irpini, in rapporto con la lingua d’Italia” l’opera del prof. Nittoli, venne stampato a Napoli. Una ristampa del volumetto fu curata dalla Pro Loco Teora nel 1993.
Nella prefazione alla ristampa, Fausto Giordano definisce così l’opera: “Il lavoro del Nittoli, ispirato da uno slancio eminentemente civile, non si propone di contribuire a creare una coscienza della cultura dialettale; non si propone di costituire per essa una struttura teorica, che in qualche modo la esalti e la valorizzi, codificandola e istituzionalizzandola; né esalta il dialetto quale custode della tradizione di una comunità. Al contrario, tende al suo superamento ed al suo annientamento, ponendosi come obiettivo ultimo la trasformazione del dato lessicale nel suo corrispondente in lingua. Il Nittoli non privilegia nell’uso del dialetto il suo carattere di elemento di coesione e di identificazione, di segno di appartenenza a un gruppo, bensì l’angustia della sua alterità rispetto alle possibilità comunicative della lingua italiana, che aspirava ad affermarsi come lingua ufficiale del nuovo Stato”. La polemica contro il Nittoli corre sulla penna di altri intellettuali moderni che non hanno saputo leggere nell’opera il prodotto di una esigenza pratica in un momento storico particolare e delicato”.

7 OM day Calvi BN

IMG_20170806_102758Le antiche feste di ringraziamento si rinnovano, si trasformano secondo le esigenze, i gusti, i modi di vivere, lavorare. Così, in questo momento gli agricoltori di Calvi e dintorni, dopo la benedizione di don Salvatore e le dovute preghiere, si abbandonano all’allegria dello stare insieme come solo i contadini sanno fare. È l’associazione Montibello nelle persone del presidente, Severino Zampelli, vicepresidente Erminio Gnerre, soci e amici collaboratori, a organizzare l’imponente manifestazione. Aratura notturna come pochi agricoltori ormai fanno, cena sotto le querce. Stamattina raduno, benedizione, sfilata con aperitivo da Micco, prodotti per l’agricoltura, rientro, schieramento e pranzo comunitario sotto le querce. Nel pomeriggio giochi agonistici con le trattrici, convivialità, vino a fiumi e allegria. I discorsi sono spiccatamente tecnici, un pezzo di ricambio che non si trova, quel modello che è un pezzo da museo, una marmitta che spruzza olio. Mentre lucifero imperversa con le sue temperature infernali, sotto le querce la temperatura è sopportabile con un bel venticello rinfrescante, ma gli agricoltori sono temprati e non si spaventano. Pagliotto immobile sotto il sole sorveglia il confine come un Priapo minaccioso, sapranno questi ragazzi che, realizzando il fantoccio di paglia altro non hanno fatto che risvegliare una figura antichissima, le bambole della mietitura di cui parla ampiamente Frazer, lo spirito del grano di De Martino, ma anche fenomeni a noi più vicini, infatti è proprio di calvi una tradizione di un fantoccio presente in diversi momenti dell’anno. Erano pupazzi dal fortissimo valore simbolico, erano la vita e la morte, la rinascita della Grande Madre dopo il vuoto vegetale o lo spirito sacrificato del dio grano e altro cereale. Oggi pagliotto, come un possente dio, al margine del campo, immobile e minaccioso dà le spalle alla festa e protegge da eventuali malie che possono giungere dall’esterno. È il nume protettore, lo spirito degli antenati che hanno rivoltato queste zolle con i buoi e rudimentali aratri di legno. La piana del Cubante, da tempo immemore ha ospitato l’agricoltura grazie alla fertilità del suolo, questa storica terra che vide Annibale e gli elefanti, Federico II e i suoi falconieri, è stata sempre terra di grano, terra di pane, di buoi prima poi di trattori, e sono state proprio le trattrici OM a solcare questi campi. Oggi si festeggia nostalgici ma la cosa più triste non è la nostalgia per i trattori, piuttosto è la consapevolezza dello stato dell’agricoltura che lentamente cede il passo a incolti, campi abbandonati o non redditizi, vigne arse dal clima modificato. Non siamo più gli agricoltori di un tempo che vendevano un quintale di grano per il reale valore del cereale, oggi siamo messi in ginocchio dal clima e dal sistema. Però, sottolinea, il vicepresidente Gnerre, oggi è festa e quest’allegria che ricrea i pranzi della scogna non si deve guastare. Questa giornata che riesce a mettere insieme simbolismi, allegria, sacralità è fortemente voluta dai partecipanti e deve essere uno stimolo per mantenere viva la tempra e la speranza.

Franca Molinaro

Sensazioni ed emozioni, Bonito 29 luglio / Cesare Ventre

bonito premioCi sono giorni difficili da rimuovere dal cuore e dalla memoria, probabilmente perché ritrovi quel calore e quella cordialità che troppe volta cede il passo all’eccesso di mondanità. Sabato 29 luglio a Bonito ho trovato con gran piacere tutti questi ingredienti che abbracciati tra loro mi hanno stretto e riscaldato il cuore. La colazione a dir niente originale e il pranzo di una semplicità e una squisitezza disarmanti. La quiete della piccola Bonito e visite culturali interessanti hanno completato il tutto. Anche se non era la prima volta che ritiravo un premio o onorificenza l’emozione e’ stata fortissima, paragonabile a quella di un bambino al primo giorno di scuola. La premiazione armoniosa e ricca di premi e’ stata costellata da momenti che oserei dire, unici come quello che ha visto protagonisti gli alunni di varie scuole elementari della nostra provincia. La Grande Madre e’ un punto di riferimento fondamentale in questo momento storico – culturale, essa vuole e deve essere per tutti un approdo sicuro. Un grazie di cuore a tutti coloro che con grande sacrificio e abnegazione mi hanno dato la possibilità di vivere un giorno straordinario, un giorno dove ho incontrato il bambino che tante volte timido fugge.