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L’eredità osca di Giuseppe Iacoviello

1915760_207405429648338_8903895368764222748_nIl dialetto è un linguaggio che viene da molto lontano, deriva dall’intreccio uomo – natura ed è in continua evoluzione. In Irpinia una volta la lingua parlata era l’osco. Detto linguaggio era usato dal Sannio, dalla Lucania e dall’Abruzzo.  Le iscrizioni trovate partono dal V sec. a.C.  Le più importanti iscrizioni sono la Tabula Bantina ed il CippusAbellanus conservati presso il Seminario Vescovile di Nola. L’osco è stato scritto in alfabeto latino, alfabeto greco, e anche con alfabeto proprio che è un adattamento dell’alfabeto etrusco. I dialetti osci comprendono i dialetti dei Sanniti, Marrucini, Peligni, Vestini, Sabini e Marsi.

  • La fonologia osca ha anche evidenziato differenze dal latino: in osco “p” al posto di “qu” (osco “pis”, latino “quis”), “b” al posto della “v” latina; “f” mediale invece della “b” e della “d” (osco mefite).
  • Una ricca collezione di iscrizioni osche è conservata nel Museo archeologico nazionale di Napoli, nella sezione epigrafica.
  • Molte parole dialettali, attualmente utilizzate nelle varie zone della Campania, presentano elementi di sostrato di derivazione osca. Per esempio noi usiamo mangiarci le vocali e in osco non esistevano le vocali “a” ed “o” e spesso venivano soppiantate rispettivamente dalla “e” e dalla “u”.

E pensare che all’inizio della Repubblica (1946) si usciva dalle frontiere bloccate e dalla guerra per cui la lingua parlata era formata per lo più da un dialetto stretto che si diversificava da paese a paese. I termini abbreviati, con vocali mancanti o con consonanti diverse, facevano cambiare suoni, tonalità e persino il significato. Noi piccoli, andando a scuola notammo che l’italiano era una lingua tutta da imparare. Il dialetto, appreso in famiglia e nell’ambiente, aveva le sue regole non scritte tramandate di generazioni in generazioni. Apprendere la lingua nazionale era per i ragazzini un enorme sacrificio dove, anche sotto dettatura, facevamo all’inizio degli errori madornali: a parte quanto sopra detto, per rafforzare una consonante la si metteva doppia, la vocale o la consonante davanti alle parole spesso la si ometteva (“mparà” per imparare e “ianch’” per bianco), la “t” con la “n” davanti diventava “d”, nella coniugazione dei verbi di moto come andare, cadere si usava, frequentemente, l’ausiliare “avere” invece di “essere” (agg’ sciut’, agg’ carut’) e così di seguito.  Divenendo più grandicelli discutevamo della cosa tra immaturi intellettuali e decretavamo che per far scomparire il dialetto occorreva che le famiglie del Meridione d’Italia si disperdessero nel centro nord e, a lingua imparata e radicata, rientrassero in zona con un linguaggio unico e nuovo. Allora non avevamo ancora capito l’importanza del linguaggio dialettale che è l’elemento di distinzione della nostra identità. Tuttavia, con l’emigrazione prima esterna e poi interna alla nazione, la diffusione dell’italiano attraverso lo studio aperto a tutti, il maggiore contatto con gente di cultura diversa, la macchina, i mass media, ecc., ha raggiunto, nel tempo, un livello tale che il dialetto è stato posto sulla strada dell’estinzione. Di qui il desiderio di raccogliere i dati per non farli cadere nell’oblio. Vivendo qui ho potuto raccogliere un po’ di regole e i vocaboli che sono stati oggetti della pubblicazione, avvenuta nel 1991: “BARONIA linguaggio usi e costumi” sulla quale il noto linguista Tullio De Mauro non ha mancato di far pervenire la sua preziosa “prefazione”. Un aggiornamento del lavoro, oggi, è in corso di preparazione. Nel nostro linguaggio parlato il dialetto non è scomparso ma si è modificato molto. A volte, rispetto all’italiano si presenta abbreviato o cambia solo la pronuncia, ovvero inserisce una vocale o una consonante diversa come: Nuc’ x Noci;  ong’ o ung’ x Ungere; Pe x Per; P’ccator’ x Peccatore; ecc.

 

Dal mare ai monti: sulle tracce di Genista Anxantica

 40406191_526117991184456_982745520130752512_nDue studentesse sulle tracce di Genista Anxantica
franca molinaro Quotidiano del Sud Domenica 2 settembre

Hanno gli occhi luminosi Emanuela e Maria mentre mi abbracciano licenziandosi sotto il porticato di casa. Hanno trascorso due giorni inimmaginabili in Irpinia e la partenza le emoziona, mentre a me già mancano i loro sorrisi, le loro voci schiette nunzio di pensieri profondi. Maria Tufano viene da Napoli, dal Dipartimento di Biologiapresso Monte S’Angelo(Università ‘ di Napoli Federico II.Emanuela Di Iorio viene da Ischia, tesista dello stesso Dipartimento ma presso l’Orto Botanico di Napoli, seguita dalla Professoressa Olga De Castro per lo studio della caratterizzazione genetica del ceppo di Genista della Valle dell’Ansanto. Forse son le uniche ragazze ad aver letto e assimilato totalmente la mia monografia sulla pianta di anxantica, ora son qui per capire l’ambiente e vedere la Genista di persona. È impensabile aver conosciuto le cellule di questa creatura senza averla osservata nell’habitus e nell’habitat, così Emanuela ha voluto approfondire facendo questa sorta di viaggio inverso. Di solito si scende dall’Appennino per andare verso il mare perché questo turismo sembra più naturale, mai verrebbe in mente di lasciare la bella isola verde per inoltrarsi nella, sebbene altrettanto verde, Irpinia. Ma questo è un turismo alternativo, di nicchia, un turismo culturale che non è concesso alla moltitudine; bisogna avere una predisposizione per andare all’inverso, avere mente aperta, curiosità naturalistica, capacità di stupirsi. Chiedo a Emanuela una dichiarazione sincera su cosa ha avvertito in questi due giorni in Irpinia. “Di solito si dice che l’entroterra è meno ospitale dei litorali invece qui ho trovato ospitalità, cortesia di tutte le persone che abbiamo incontrato, gentilezza e molto fermento, molti sogni, quindi un’umanità viva perché l’uomo vive fin quando sogna. È un territorio ricco per il suo patrimonio paesaggistico, naturalistico e storico-archeologico”. Parlando della mefite della Valle dell’Ansanto: “È un ambiente estremo che suscita rispetto ma nello stesso tempo ti avvolge e ti coinvolge, riguardo alla ginestra, che io immaginavo piccola e striminzita avendo avuto tra le mani solo un rametto con poche foglie, sono sbalordita perché l’ho trovata rigogliosa pur vivendo là dove nessuno è capace. Io mi auguro che il luogo possa essere valorizzato attraverso studi appropriati nei vari settori, non solo quello botanico, perché è una miniera di spunti di ricerca”. Emanuela è guida turistica nella sua Ischia e mi racconta delle fumarole, un luogo particolarissimo dove il vulcanesimo fa da padrone, qui cresce lo Zigolo termale, Cyperuspolystachyus, una pianta sub-tropicale che, fuori dalla sua area di origine, vive in poche altre parti del mondo. Lo zigolo affonda le radici in un terreno che è sconveniente anche da calpestare per la sua temperatura elevata. Meraviglie delle sorelle verdi e del loro adattamento a condizioni estreme, conveniamo con l’entomologo Giorgio Celli, noi ci illudiamo di essere la specie evoluta ma non è proprio così, noi moriamo facilmente se ci privano di un pezzo, di un organo, le piante invece si riassettano e riadattano rapidamente alla nuova condizione sopportando potature e brucature,imparano a cibarsi di sostanze che non son proprio gradite quale sali e minerali vari, anche i più nocivi; non è un caso se vengono usate nella fitodepurazione di acque e terreni inquinati da minerali pesanti, luoghi irrecuperabili se non attraverso la coltura di entità specifiche. Non capita spesso di discorrere con persone dagli stessi interessi soprattutto quando l’argomento non è di pubblico dominio, eppure i discorsi hanno affascinato anche Benito Vertullo, nostro cameramen e l’artista Raffaele Bertolini che ci guida spericolatamente tra canneti e strapiombi per seguire l’avanzamento di anxantica lungo il Vado Mortale e il Vallone dei Bagni. L’aria pesante e venefica si è dileguata verso levante permettendoci di apprezzare la “Buona Mefite” come l’ha ribattezzata Benito. Sullo strapiombo, dietro la staccionata ci fermiamo ad apprendere notizie e curiosità da Renato Agosto e suo figlio Oreste, affettuosi rocchesi conosciuti al momento. Con piacere ascolto le parole di apprezzamento per il lavoro che stiamo svolgendo, lodi mai pronunziate prima. A concludere la giornata, un’escursione storica in quel di Rocca San Felice, sul donjon medievale, ha fatto apprezzare alle visitatrici la perfezione del restauro di uno dei borghi irpini più belli in assoluto, un pezzo di presepe poggiato su un’altura. In piazza il grande tiglio, che racconta le storie di unità mancata, ci aspetta insieme al sindaco novello Guido Cipriano, che ho avuto modo di apprezzare come persona concreta e volitiva, non manca la polizia municipale, Felice Lisena che da sempre ha condiviso ogni mia iniziativa a favore di anxantica. La chiacchierata si fa subito amichevole, le ragazze sono colpite da questa schiettezza e immediatezza che non avrebbero mai immaginato in noi appenninici. Soddisfatte della giornata si va a letto con la leggerezza della pienezza, e il sonno ristora le ragazze nel silenzio della fattoria, solo il gallo annuncia l’alba di una nuova avventura. Assolto agli impegni di studio possiamo immaginare un’escursione piacevole a parlare di fantasmi e briganti sotto il vecchio Ponte Appiano sul Calore, poi, sognando di seguire il corso della Regina Viarum, linea retta verso Aeclanum, l’antica cittadella assediata da Silla e risorta alla romanità come municipium. Nella vita bisogna aver quel pizzico di fortuna che ci costruiamo noi, o che arriva bendata da chi vuole, certo che noi non ci possiamo lamentare, l’abbiamo avuta dalla nostra. Sotto i grandi alberi di Aeclanum incontriamo gli studenti di antropologia venuti in Irpinia da mezzo mondo per ripulire ed assemblare le ossa rinvenute in alcune tombe emerse durante lavori di scavo. Ognuno ha sul banco diversi mucchietti di frammenti ossei corrispondenti alle varie parti del corpo, chi sta montando un teschio lasciando da parte ben distanziate le vertebre, le coste, le ossa lunghe, chi ha già composto la colonna vertebrale. Più a monte, nel parco archeologico di Aeclanum, una minuta ragazzetta napoletana si trascina un pesante generatore su cui ha montato alla buona un ombrellone, è un’archeologa e sta completando, insieme ad altri, un lavoro immane che ci spiega minuziosamente. Parla con grande professionalità ma soprattutto con gran passione e ci fa rabbrividire quando ci racconta l’emozione dello scavo, di aver toccato per prima, dopo tanti secoli, quelle pietre, quei marmi dove i romani sedevano, passeggiavano, godevano la vita. Il responsabile della Sovrintendenza ci spiega ogni cosa, da quello che è visibile a quello che si nasconde sotto il telone protettivo, ma il tempo tiranno divora la giornata. Rientrando Maria mostra il suo apprezzamento per la disponibilità di tanti personaggi e poi un po’ sbalordita si chiede come mai non abbiamo pagato il biglietto, ovunque c’è un prezzo per vedere queste cose, qui l’ingressolibero dovrebbe incentivare le visite. Poi procede: “Noi conoscevamo l’Irpinia come i luoghi delle scampagnate e invece c’è un patrimonio storico invidiabile che ha solo bisogno di esser valorizzato. C’è anche un patrimonio umano che non tutti conoscono, ovunque siamo arrivate abbiamo incontrato persone affettuose e disponibili, dal vecchietto di Rocca che ci ha accolto in casa e ci ha dato da bere, al sindaco, a quello della sovrintendenza, all’archeologa, ogni posto è stato un incontro piacevole. È sempre così o è stata solo la magia di questi giorni?”