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I Cavalieri di Sant’Anna di Maria Ivana Tanga

 

cavalieriFede e leggenda, santi e cavalieri,  devozione e folklore si intrecciano a San Mango sul Calore ogni 26 di luglio,  in occasione della Cavalcata in onore di Sant’Anna, patrona delle madri, delle donne e delle partorienti. Grande madre benefica, ‘madre’ per antonomasia (in quanto genitrice di Maria Vergine), Anna è portatrice di fecondità, di prosperità, celebrata, non a caso, nel cuore dell’ estate, al culmine della stagione del raccolto.  Numerose sono, infatti, in tutto il Sud contadino, le feste del grano dedicate a Sant’ Anna (Jelsi, Minturno, Pescolanciano).

La manifestazione sanmanghese, risalente al Medioevo, trova la sua origine in una leggenda popolare, tramandata di padre in figlio, che conferma la natura benefica, prolifica della Santa. Si narra di un prode cavaliere che, passando per il territorio di San Mango, chiedesse l’ intercessione di Sant’Anna affinché la consorte, già avanti negli anni, potesse dargli un figlio.  La Santa, anch’ essa divenuta madre di Maria in tarda età, esaudì la richiesta del cavaliere, il quale, per ringraziarla, organizzò un corteo in suo onore.

La manifestazione prende le mosse fin dalle prime ore del mattino. Dal Municipio, un corteo equestre, con in testa il Sindaco, seguito dai consiglieri comunali e da altri cavalieri provenienti anche dai paesi vicini,  si reca presso la chiesetta del Cemeterio (Chiesa di San Vincenzo), intorno alla quale compie i rituali tre giri propiziatori. Tutti i partecipanti al corteo sono vestiti con suggestivi costumi medievali, i cavalli sono parati a festa, ma invece delle spade, di archi e frecce,  i cavalieri sanmanghesi sono muniti di capienti borse ricolme di confetti nuziali, dal cuore di mandorla.
Procedendo al passo, il corteo percorre le strade del centro storico dove tutte le porte delle abitazioni vengono aperte per ricevere i confetti lanciati dai cavalieri. Terminato il passaggio attraverso il paese, il corteo scende a valle verso il fiume Calore, per poi risalire sul poggio dove è situata la chiesa di Sant’Anna. I Cavalieri ‘conquistano’ il luogo di culto in maniera plateale, entrando nella navata con i cavalli, accolti dagli applausi e dalle grida di gioia della folla. Poi, per tre volte, compiono i rituali giri intorno alla chiesa, caracollando con agilità fra la folla di  pellegrini, entrando ed uscendo attraverso le porte laterali della chiesetta, lanciando a piene mani grandi quantità di confetti sui fedeli, in segno di speranza e di abbondanza. Una cerimonia suggestiva, in cui il tempo sembra essere ritornato indietro di secoli, al tempo di ‘cappa e spada’ e del romantico, misterioso cavaliere di Sant’ Anna.
Va osservato come i confetti di mandorle, associati al culto della Santa, siano considerati apportatori di fertilità, simboli di vita, di benessere. Come sempre è il mito a venirci in soccorso. ‘Amygdala’, termine di origine semitica che significa ‘mandorla’, era il nome frigio della dea Cibele, e starebbe a significare ‘grande madre’. Si narra che il mandorlo fosse nato proprio dal sangue di Cibele, in qualità di somma deità della Natura, Signora della vegetazione. Il mandorlo, inoltre, è la prima pianta a fiorire, preannunciando, con i suoi fiori, il ritorno della primavera, per cui è stato associato all’ idea della nascita-ri-nascita. Il suo frutto, la mandorla, di forma ovoidale, ricorda l’ Uovo cosmico, per cui verrà ad incarnare il principio vitale cosmogonico, la nascita primordiale dell’ universo. Non è certo un caso se essa diverrà il simbolo di fecondità per antonomasia. Icona delle unioni nuziali, da tempo immemorabile.

Il culto di Sant’ Anna, nato in ambito mediorientale, in area semitica, si sarebbe venuto ad innestare su antichi culti della vegetazione. Ricordiamo come il nome ‘Hannah’, in ebraico, significhi ‘colei che dispensa benefici’, una Grande madre prodiga, dispensatrice di vita e di beni.

A Pescolanciano, in provincia di Isernia, dal grano ricavato dall’ ultimo covone falciato si ottengono dei pani ‘sacri’ che saranno offerti a Sant’ Anna, nel giorno della sua festa, il 26 di luglio. ‘Si ritiene che lo spirito del grano alberghi nell’ultimo covone, quindi, mangiare del pane fatto con quel particolare grano equivale a mangiare lo stesso spirito del grano’ così riflette l’ antropologo svizzero James Frazer[1].

[1] J. FRAZER, ‘Il ramo d’oro’, Boringhieri ed., Torino, pag. 542

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Echi di tradizioni 2019

DSC_0320Con la giornata di premiazione svoltasi ieri a Rocca San Felice, si è conclusa l’edizione 2019 del concorso internazionale “Echi di tradizioni”, con l’alto patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Campania, della Provincia di Avellino, dei comuni di Rocca San Felice, Leivi, Bonito. Molte le personalità giunte da diverse regioni italiane, tra relatori, ospiti e autori del saggio finale, tanti da animare il paesino medievale e il “sinistro luogo” della mefite. Ed è stata proprio Lei a stupire tutti, la mefite con la sua storia antichissima, la sua fama in letteratura, il suo misterioso aspetto. A lei si è ispirato il poeta cinese Ou Yapeng e la calabrese Cinzia Aurelia Messina. Per lei ha suonato il maestro di violino Patrizia Maggio. Ma veniamo agli attesi esiti del concorso, ecco finalmente gli autori premiati, sezione per sezione:
Per la sezione “Enogastronomia”
DSC_0308I Classificato Franco Francione (RN), chirurgo con esperienze ai fronti di guerra, con “Sawk: il pane del Kurdistan iracheno”.
II Classificato Rosaria Lo Bono (PA), con “U strattu nte vaneddi”.
III Classificato Italo Dal Forno (VR), con la Pearà, una salsa a base di midollo vaccino.
Etnobotanica e medicina popolare
I classificato Enzo Presutti (AQ), con  “Il vino oppiato”, un vino preparato per alleviare il dolore della morte.
II Classificato Silvio Falato (BN), con “Le male matrone”, ovvero il mal di pancia secondo la tecnica di una guaritrice di Guardia Sanframondi.
III Classificato  Grazia Mazzeo (FG), con “Effetto placebo”, l’antico rituale contro il malocchio.
Rito e devozione
I Classificato Alberto Pattini (TN), con “Él falò dé le strie”, una struggente poesia dedicata a tutte le donne vittime dell’inquisizione.
II Classificato Annalisa Pasqualetto Brugin (VE), con “Acqua e fogo”, i riti della settimana santa e la marmacola, una piccola sirena che vive nei canali.
III Classificato Emilia De Vecchis (AQ), con “Jo carraggio”, l’antico costume di trasportare il corredo verso la casa nuziale.
Umorismo e comicità popolare
I Classificato Adriana Pedicini (BN), con “La leggenda degli spiriti”, un modo allegro di affrontare un problema irrisolto.
I Classificato Enrico Sala (MB), con “La benedizione della casa” le irriverenze di un prete affamato.
II Classificato Nerina Ardizzoni (FE), con “Avèr fèd”, la storia di una signora che per dimostrare la forza della fede bruciò la tavola di Natale.
III Classificato Gennaro Flora (NA), con Piazza ‘e ll’allerìa, l’ironia di una testa pelata. Nenie e Canti
I Classificato Nunzia Zincale (CT), con “Ninna nanna di Natale”, una canzone inedita degli anni andati.
I Classificato Luigi D’Agnese (AV), con “La Pampanella”, un canto registrato da Alan Lomax e mai pubblicato.
II Classificato Antonia Bertocchi (BG), con “Gh’ò tàanta vóoja de balàa”, un canto per gli anziani ballerini.
III Classificato Francesco Mazzitelli (RC), con “Filastrocca della jocca”, sul ritmo delle antiche filastrocche popolari.
Racconti autobiografici
I Classificato Lidia Santoro (BN), con “La storia in cucina” a ricordo della Seconda Guerra Mondiale e degli sfollati rifugiati in Benevento.
II Classificato Sonia Boffa (RM), con “Il saluto di zia minuccia”, quando il paranormale rientra nella quotidianità degli eventi.
III Classificato Antonia Stringher (VR), con El filò, un’antica usanza veneta di far salotto nelle stalle.
Autori all’estero
I Classificato Laura Bertolini (California), con “Le erbe dei nativi d’America” e la loro triste condizione di confinati in patria.
II Classificato Angelo Vella (Germania), con “Incontri insoliti”, quelli con spiriti e fantasmi.
III Classificato Carmela Marino (Svizzera), con “Il baratto”, quell’antico metodo di commercio che badava all’essenziale.
Scuole secondaria di secondo grado
I Classificato Marco Fontanella (SA), con “’No Napoletano in Russia”, la storia del nonno prigioniero.
II Classificato Antonella Quaranta (SA), con “Statt’ accort’ a chella là”, la leggenda dello spirito dei pozzi.
III Classificato Ylenia Maria De Pascale (AV), con “A nott’e San Giuvann”, le tradizioni del solstizio d’estate.
Il Premio città di Leivi (GE), offerto dall’Ass. alla cultura del comune di Leivi, Andreina Solari, è andato alla Classe III B Scuola Primaria Istituto Comprensivo O. Fragnito S. Giorgio la Molara (BN) guidati dalle maestre carmela D’Antonio e Antonella Ranaldo.
Menzioni d’Onore
Rosa Maria Teresa Canepa (GE), Brunella D’Angelo (CS), Rocco Tassone (RC), Nerina Poggese (VR), Antonella La Frazia (BN), Emilio Mariani (AV), Gaetano Catalani (RC), Rita Frusciante (VI), Rocco Di Pietro (AV), Giuseppe Iacoviello (AV), Mario Adami (VR), Carmelo Morena (RC), Anna Maria Lavarini (VE), Benedetto Bagnani (RM), Agnese Girlanda (VR), Gianni Pisoni (BR), Michele Vinci (TA), Concetta Iannella (BN), Nicola Guarino (AV), Goffredo Gnerre (BN).
Premio alla Memoria
Alfredo Giovine (BA) per aver dedicato tutta la sua vita al recupero delle tradizioni del suo territorio.

 

 

“Echi di tradizioni 2019, Programma

27 luglio 2019 Rocca San Felice (AV)
66472639_451036269054722_531920283586527232_n.jpgOre 9,00 Appuntamento sotto il Tiglio (Centro storico di Rocca San Felice)
Partenza con pulmino per la Mefite nella Valle dell’Ansanto

 


Sotto il gazebo della Mefite:
Lettura dei versi di Virgilio (a cura della prof.ssa Adriana Pedicini)
Canto per la Magna Mater Mefite eseguito per violino dal Maestro Patrizia Maggio

Letture di poesie sulla Mefite a cura di Ou Yapeng dalla Cina e Cinzia Aurelia Messina da Reggio Calabria.

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Ore 11,00 Rientro a Rocca presso la casa ex ECA
Aperitivo

Inizio premiazione 
Intervento del prof Arrigoni Tizianoi docente di Storia presso il Liceo Enrico Mattei di Rosignano Marittimo , Livorno.
Premiazione autori all’estero
Premiazione autori juniores di Salerno con la prof Margherita Tirelli
Performance degli alunni di terza classe Scuola Primaria Istituto Comprensivo O. Fragnito di san Giorgio La Molara. a cura di Carmela D’Antonio.

Ore 13,30 Pranzo presso il ristorante La Ruota di Giovanna Competiello
Menù:
Antipasto della casa
Ravioli e maccaronara
Carmasciano e caciocavallo irpino con confettura della casa
Frutta
Dolce
Acqua e vino della casa
Euro 20 a persona, prenotare per aderire al pranzo.
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Ore 17,00 Casa ex ECA Saluto del sindaco di Rocca San Felice Ing. Guido Cipriano
Saluto del socio onorario Grande Madre Avv. Angelo Raffaele Beatrice di Rimini.
Intervento del prof. Saggese Paolo giurato, docente di materie classiche, scrittore, saggista, dirett. Artistico cdps
Consegna Premio alla Memoria
Florindo Cirignano consegna delle monete al museo di Rocca.

Premiazione

Degli autori inseriti in antologia saranno presenti :
Franco Francione (RN), Enzo Presutti (AQ), Silvio Falato (BN), Grazia Mazzeo(FG), Alberto Pattini (TN), Emilia De Vecchis (AQ), Adriana Pedicini (BN), Gennaro Flora (NA), Luigi D’Agnese (AV), Lidia Santoro (BN), Sonia Boffa (RM), Rosario Galiero (SA), Carmela Marino (Svizzera), Lella Angelino (FG),Carmela D’Antonio (BN), Libero Antonia FrascioneNicola GuarinoGuido Iorlano (AV), Mirella Merino (AV), Carmine Montella Carmine (NA), Antonio Panzone (AV), Agostina Spagnuolo (AV), Antonella Quaranta, Brunella D’Angelo (CS), Antonella La Frazia (BN), Emilio Mariani (AV), Rita Frusciante(VI), Rocco Di Pietro (AV), Giuseppe Iacoviello (AV), Concetta Iannella (BN)Francesco DE Ieso (BN) Luigi Blasco (BN)

Si ringraziano tutti gli sponsor senza i quali non sarebbe stato possibile immaginare la giornata conclusiva e la stampa dell’antologia
Moscato Vetreria Mirabella Eclano AV, Ristorante la Ruota Rocca S. felice AV di Giovanna Competiello , Tutto per l’agricoltura fratelli Micco Calvi BN, Paperhouse Apice cartoleria Apice BN, Macelleria Frusciante Calvi BN, Ottavia Post-it Cartoleria Cartoleria Ottavia Vigliotta Ventivano AV, Azienda agricola Bio Lu di Nadia Savino Calvi BN, Autoscuola Lardieri BNAntonella Lardieri , Azienda agricola Iside di Mariagrazia De Gregorio De Gregorio Pietradefusi AV, Idea Fiori Mirabella Eclano AV, B&B Zembalo Gesualdo AV di Raffaele Pietropaolo, Terme di San Teodoro Villamaina AV, direttore Paolino Trunfio, b&b il Tiglio Rocca San Felice AV di Gaetano Cipriano, Michele Graziosi Flumeri AV, Villa Gioconda Rocca San Felice AV, Studio Legale Florinda Beatrice  Rimini, vicesindaco Maria Di Leo e l’azienda Realbeef, Glamur bar Venticano AV, Cartolibreria Dimensione Tecnica San Giorgio del Sannio di Antonio Bocchino, Vetreria A2GLASS Mirabella Eclano AV di Antonio Annicchiarico, Antichi sapori del Sannio Calvi BN di Giuseppe Molinaro , Ass. Il Ponte Ponte BN con Libero Sica, Il Forno Rocca san Felice di Incarnato Renata AV, Agriturismo Le Conche Villamaina AV di Enzo Di Gianni , Agriturismo Antica Quercia Calvi BN di Maria Alfonsina MolinaroMolinaro, l’Osco Rabel Raffaele Bertolini e Benito Vertulloo. Si ringrazia la Pro Loco di Rocca, nella persona di Edmondo Lisena x la validissima e impeccabile collaborazione, punto di riferimento, trovandoci ad operare fuori dalla nostra sede.
Si ringraziano anche i giurati e il presidente di giuria che, con molta perizia, hanno letto e valutato tutto il materiale giuntoci.
A partire dal presidente di giuria, la cui presenza ci onora particolarmente, l’antropologo Claudio Corvino, a tutti i giurati:
Adriana Adriana D’argenio D’argenio (FI) – Docente di Lingue, iconografa.
Biagio Fichera (CT) – Etnografo, poeta, paroliere.
Giuseppe Gangemi (RC) – Giornalista, scrittore.
Andreina Solari (GE) – Poetessa e scrittrice, Assessore Scuola e Cultura al Comune di Leivi.
Giuseppe Vetromile (NA) – Poeta, Presidente del Circolo Letterario Anastasiano.
Ana D’Alonzo (Buenos Aires, Argentina) – Traduttrice e Interprete.
Giosue Gilberto Di Molfetta (Canosa di Puglia – BA) – Presidente Associazione Comunità Italiana Nel Mondo per la difesa e promozione dei prodotti agricoli.
Giuseppe Grieco (BN) – Architetto, Docente di Storia dell’Arte.
Paolo Saggese Paoloe (AV) – Docente di materie classiche, scrittore, saggista, direttore artistico CDPS
Aldo Grieco (GR) –Medico, studioso delle tradizioni e della storia del Sud.
Si ringraziano inoltre gli artisti che hanno donato una loro opera ai primi classificati delle varie sezioni. Grazie al comune di Rocca San Felice per aver messo a disposizione la struttura, la casa ex ECA.
Nicola GuarinoBenito VertulloRaffaele BertoliniMaria Laura FavettiDonato CasseseAntonio PascaleFulvia BrunoNadia Marano Pittrice
Un ringraziamento speciale va alla redazione del Quotidiano del Sud che ha diffuso e continua a diffondere le notizie riguardanti il concorso, in particolare il direttore Gianni Festa e la cara amica storica Floriana Guerriero

La leggenda del principe ranocchio, una favola di franca molinaro


images.jpgDiversi anni fa, quando ancora non c’era il computer, scrissi una favola per un concorso che si svolgeva a Piombino, poi fui pure premiata con un bel trofeo. La cosa triste è che, dopo tanto tempo, di questo premio mi resta solo il trofeo, il racconto è restato però nella mia testa. Per i miei lettori voglio provare a ricostruirlo anche se in modo stringato. Dunque, la storia è questa:
C’era una volta un bellissimo principe dalla lunga chioma corvina, il colorito olivastro della sua pelle metteva in luce un fisico atletico e possente. I suoi occhi verdi avevano i riflessi del ramarro e lasciavano trapelare l’intelligenza del serpente. Maneggiava benissimo la spada e cavalcava con tanta grazia, come si addice a un vero principe. I suoi territori si estendevano tra la montagna e la pianura fino ai confini della Grande Foresta. Nonostante la sua avvenenza, il principe non aveva moglie e, cosa peggiore, non intendeva trovarne. Trascorreva il suo tempo tra la caccia solitaria nella Grande Foresta e il controllo delle sue terre. L’alba lo sorprendeva in cammino sui sentieri ghiaiosi, o sulle strade sterrate che attraversavano i campi coltivati. Spesso incontrava i contadini impegnati nei lavori, curvi sulle colture, nascosti sotto i larghi cappelli di paglia che nascondevano smorfie di disapprovazione. Per quanto fosse un principe attento al suo regno non godeva di molta approvazione presso i suoi sudditi perché non riusciva a comprendere le necessità fondamentali del suo popolo. La sua severità non ammetteva falli né i naturali contrattempi della vita. Se la grandine distruggeva il raccolto non sembrava fosse affare che lo riguardasse; se moriva il maiale era solo perché non era stato curato bene, così se le galline non covavano, gli agnelli morivano o le mucche non partorivano. Insomma un sovrano poco addentro alla realtà difficile della terra ma sempre propenso a gustare il fragrante pane bianco che solo lui e pochi nobili potevano sbocconcellare. La terra aspra di quel regno donava piccole spighe con pochi grani, una resa scarsissima che bastava al padrone e a pagare censi e jussi. I contadini mangiavano pane di mais, pesante come una pietra, che, col tempo, portava gravi squilibri nel loro organismo. Il nostro principe percorreva solitario i sentieri polverosi del regno e controllava i raccolti, i confini, i greggi e le mandrie, i ponti e le masserie, tutto doveva essere funzionale alla produzione. Non si fermava a mangiare da nessuna parte ma, ogni tanto scendeva da cavallo per bere un sorso a una fontana, lavarsi il viso in un ruscello, rinfrescarsi dalla calura. Un giorno di luglio, era appena arrivato il solleone su quell’altopiano assolato, l’astro bruciava le stoppie e le chiome vellutate dei perastri, i cardi andavano a seme e le cicale reiteravano insistenti il loro frinire insopportabile; in quel giorno di luglio il principe esausto si disarcionò di fronte a un miraggio, gli apparve un piccolo stagno ai piedi di pioppi dal fogliame bicolore e qualche salice. Il principe posò il cappello su un masso piano, forse là le donne andavano a lavare, si sedette, tolse i pesanti stivali di cuoio e tuffò i piedi nell’acqua con evidente gesto di godimento. Aveva appena chiuso gli occhi per far defluire in tutto il corpo quella frescura che i piedi assorbivano dall’acqua, quando una voce sguaiata, con tono cavernoso, come se giungesse dal fondo della terra, gli sbottò contro: “Brutto cialtrone maleducato, come ti permetti di inquinare la mia acqua con i tuoi sudici piedi”. Il principe sussultò quasi a cercare con la coda dell’occhio eventuali intrusi in disaccordo, mai immaginava che quell’imprecazione fosse diretta alla sua reale persona. Poi scrollò il capo, ammiccò più volte, dilatò le pupille, ma niente, in quell’afa da solleone non vi era anima viva, manco i fantasmi sarebbero usciti in quell’ora di fuoco. Non ebbe il tempo di capire, che la voce sgradevole e quasi rauca riprese: “Hei sporco umanoide, dico proprio a te, non fare il tonto, ti sto invitando con le buone a togliere quei piedi puzzolenti dal mio stagno, non vedi come è limpida la mia acqua?”. Sempre più sbalordito il povero principe, che era abituato a ben altri confronti, continuò a cercare con lo sguardo quel villano interlocutore per fargli pagare caro l’affronto subito, ma l’acqua era immobile, nemmeno le libellule passavano a disegnare vibrazioni, non un alito di vento muoveva un filo d’erba, erano immobili anche le ultime reste sulle spighette delle graminacee tardive. Al principe sembrò di impazzire, non credeva alle malie quindi, nemmeno per  un attimo gli balenò in testa l’idea di esser vittima di un eventuale sortilegio. La voce, sempre più rauca e baldanzosa continuò: “Fannullone buono a nulla esci con le buone dalla mia acqua altrimenti sono costretto a prendere provvedimenti”. A questo punto il principe, pur non sapendo con chi prendersela, sentì la bile salirgli agli occhi, sentì la rabbia raggiungere vette mai contemplate, qualcuno osava deriderlo, per la prima volta era umiliato a dismisura e per giunta da un essere invisibile con cui non poteva confrontarsi a suon di spada. Con tutta la rabbia che aveva in corpo urlò: “Vieni fuori marrano se hai coraggio, mostrati e sentirai il sapore del tuo sangue”. “Son qua” rispose lo sconosciuto con fermezza, allora la voce si localizzò di fronte a lui, su una pietra al centro dello stagno. Un grosso rospo maculato, quasi a confondersi con i riflessi dell’acqua, impettito, gonfio come un bue, si parava baldanzoso al suo cospetto e lo fissava con aria di sfida. Il principe aveva ormai perso ogni dignità regale, l’orgoglio gli annebbiava la vista ed era deciso a lavare nel sangue quel villano affronto. I colori del suo viso andavano dal verde bile al blu paonazzo, il suo petto pareva squarciarsi per il furore, gli occhi scintillavano fuori dalle orbite; con uno slancio della mano corse al fianco sinistro, cercò l’elsa della sua spada, come gli era solito fare nei momenti di pericolo, un gesto naturale per un guerriero, ma stavolta la mano non trovava elsa, non trovava spada, non trovava guaina, la sua mano pareva avesse meno dita e il suo fianco viscido era scivoloso. Sempre più posseduto dall’ira si dimenava senza grazia, non aveva coscienza di un corpo che non rispondeva, mentre il rospo, dall’altra parte dello stagno rideva a squarciagola mostrando l’ugola, quella parte rosea tra la bocca sguaiata. Agli occhi del principe il rospo apparve come un gigante, tre, quattro volte più grande di lui, mentre il suo corpo gli suggeriva strani impulsi, l’acqua dello stagno era a pochi centimetri dal suo viso, un riflesso e poi un’immagine nitida apparve ai suoi occhi gonfi. Nell’acqua dello stagno si specchiava un piccolo ranocchio marrone con sfumature verdi, un orribile ranocchio con occhi gonfi e arti retratti, con una grande bocca inguardabile. Ci volle molto per trarre la giusta deduzione, si era trasformato in un ranocchio piccolo e insignificante, sperduto in un grande e limpido stagno. Cercò la pietra al centro dell’acqua ma non c’era nulla, solo larghe foglie di ninfee galleggiavano immobili mostrando splendide corolle bianche o porporine. Le cicale continuavano a frinire e il sole volgeva ad occidente, il cielo era di un azzurro mai visto e a sprazzi si specchiava nell’acqua regalando riflessi turchini. Ai margini del fossato spighe rosee profumavano l’aria e accoglievano nugoli di moscerini, era la menta acquatica. Poi arrivavano le api a sciami, prima a bottinare dopo a dissetarsi. Le grandi foglie ad ombrello del farfaraccio sembravano le cupole delle sue cattedrali, mentre i leucantemi bianchi erano grandi palme sulla sua testa. Ogni tanto passava a pelo d’acqua una libellula, ma non osava allungare la lingua, non aveva fame. Era così sbigottito da tanta bellezza che non riusciva a respirare, o forse stava imparando a farlo da anfibio. Non aveva mai visto il mondo da quella prospettiva, era tutto così inebriante. Improvvisamente si sentì più leggero, la testa vuota, le gambe agili, un’allegrezza in cuore mai provata. Mentre assaporava gli impulsi della sua nuova natura, sotto le fronde verdissime di una felce scolopendrina, vide una piccola e graziosa raganella verde che, con occhio languido, le accennò un aggraziato “cra cra”, “cra cra” rispose senza indugio il principe ranocchio.
Quotidiano del Sud, domenica 30 giugno