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Storie di donne del Mezzogiorno di Franca Molinaro

alfonsinaEra il 1911, in una famiglia di modestissimi contadini nasceva Alfonsina, seconda figlia, dopo il primogenito maschio, ne sarebbero poi arrivati altri sei di cui, uno morto piccino, e uno in Albania, nella Seconda Guerra Mondiale. Alfonsina era la prima delle quattro sorelle e per tutte faceva un po’ da mamma. Lei sapeva ricamare, si adoperava alla macchina da cucire e preparava i corredi. Ma quando era necessario, considerato che gli uomini erano in guerra, andava anche nei campi e sapeva svolgere i mestieri maschili. Era un pezzo di donna con un carattere austero, aveva bella presenza e i pretendenti non le mancavano. L’anziano genitore non vedeva l’ora di “sistemarla”, di modo da maritare, di seguito, in ordine, le altre tre. All’epoca funzionava così, era necessario che si sposassero secondo l’ordine di età, altrimenti, se una maggiore “restava indietro” non si sposava più. A quel tempo molti ragazzi erano in guerra, bisognava accontentarsi di quelli riformati o restati a casa per altre ragioni. Alfonsina provò pure ad accontentare il genitore e si fidanzò con un bravo giovane che le portò anche in dono l’anello, ma sposarsi  così, solo per “sistemarsi” non le andava proprio e di punto in bianco restituì l’anello al pretendente scusandosi del ripensamento. La cosa non piacque molto in famiglia perché a quei tempi pareva uno scandalo, ma lei sapeva il fatto suo e tirò avanti per la sua strada consapevole di non aver fatto nulla di male. In casa le ricordavano che un gesto simile l’avrebbe condannata a restare zitella ma lei diceva che era meglio zitella che sprecare la vita con uno che non le piaceva. Ed alla fine il fidanzato arrivò, un contadino vedovo con due bambine, abitava a un tiro di schioppo. Sposare un vedovo non si addiceva ad una ragazza ma in famiglia non osarono contraddirla e lei, consapevole dell’impegno che l’attendeva abbracciò la nuova vita di mamma senza partorire. A testimoniare il rispetto che ella ebbe per quelle bimbe e la povera madre scomparsa, vi è, in famiglia una pianta di Bergenia cordifolia che lei mi donò con la raccomandazione di non farla mai morire perché era della buonanima di Carolina e le era stata affidata dal marito. Le due bimbe crescevano sane ed altri due figli arrivarono ma la famiglia era destinata a dividersi.

gerardina

A quei tempi, chi non aveva figli adottava un nipote senza molte difficoltà in questo modo il bambino si trovava con una posizione economica e gli zii con un aiuto per la vecchiaia. Così Zi Narduccio adottò la bimba più piccola, Gerardina che aveva sette anni, la grande non ne volle sapere di lasciare il padre. Lo zio era tutto casa e chiesa, rigorosissimo, anche se ottima persona, caritatevole e misericordioso, mentre nella casa paterna l’ambiente era molto più allegro e l’anno passava attraverso le piacevoli feste agresti che tanta allegria infondevano nei cuori dei contadini. La piccola Gerardina presto divenne una bella signorina e se ne interessavano i giovanotti del paese ma non vi era modo di avvicinarla, il tempo suo passava tra lavoro, rosari, messe e faccende domestiche. Una volta una cugina volle insegnarle a ballare, allora, per non farsi scoprire dallo zio, avvolsero le scarpe con degli stracci, ma la paura di esser sgridata era sempre tanta. A quei tempi si usava “portare” i ragazzi di paesi lontani a “conoscere” ragazze da marito, poi se c’era intesa si procedeva col fidanzamento. Angelo, un bel giovane di Teora venne a “conoscere” una ragazza del paese, ma adocchiò Gerardina che andava a prendere l’acqua. Quando chiesero ad Angelo cosa pensasse della signorina conosciuta, rispose che gli piaceva quella ragazza che ricamava là fuori la porta. E fu così che i due si sposarono e lui venne a vivere in casa di lei. Presto arrivarono due bellissimi bimbi e Gerardina faceva la mamma continuando a lavorare in campagna, in casa, accudendo sempre lo zio. Un brutto giorno un grave incidente segnò terribilmente la povera donna. Lei ferita gravemente in ospedale non aveva notizie dei suoi bambini. La notte li sognava sempre in pericolo, una volta li vide dentro un pozzo che si reggevano sul bordo solo con le piccole dita. Lei chiedeva ma non le dicevano la verità, non sarebbe sopravvissuta. Fu Gesù a dirle in sogno che i bambini li teneva con sé ma lei ne avrebbe avuti altri. Non fu facile sopravvivere, nemmeno per il marito disperato, che dopo i figli vedeva morire lentamente anche la moglie. Ma la Madre in cielo vegliò su di lei e Gesù mantenne la promessa, Gerardina ritrovò il piacere della maternità. Ben tre bimbi arrivarono, belli e vispi, a riempire i giorni e lei tornò a lavorare e ad accudire tutti, come un tempo pur avendo dentro quel dolore indicibile che solo chi ha perduto un figlio può comprendere. L’incidente le aveva lasciato anche dolori quotidiani che la mortificavano ulteriormente, ma lei non demordeva ed affidava alla Vergine Immacolata ogni sua pena, ogni preoccupazione. Il rosario sempre tra le dita, intente a sgranare preghiere senza fine, per tutti i problemi da risolvere, per la figlia sempre in corsa tra casa e lavoro, per la salute che non accompagnava più il marito, per quel figlio che aveva preso proprio da lei e si adopera cristianamente per i bisognosi, per il più grande sposato, per quei nipotini che riempivano la casa di gioia anche se la costringevano a correre a destra e manca, poi quando non c’erano baciava le loro foto. Ottant’anni di preghiera, di dolori, ottant’anni a servizio del prossimo, ritagliando per sé solo il tempo per la preghiera e per quelle piante che le davano una gioia infinita, solo lei sapeva come curarle e loro restituivano amore con stupende fioriture. In onore delle sue rose intitolarono la strada che porta alla chiesa “Via delle rose”. Il terreno per la strada e il suolo della chiesa  lo aveva donato lo zio Narduccio, e i Castellani ricambiavano con affetto identificando Gerardina con le sue rose.  Poi d’improvviso, senza alcun avviso ha deciso di andare, serena più che mai, con un sorriso che non aveva mai mostrato, Gerardina è andata a raggiungere i suoi angioletti, l’aspettavano da un pezzo, splendenti nella luce che solo gli innocenti emanano. Ha lasciato tutti sgomenti, senza dare il tempo di comprendere la sua dipartita, ma ha consegnato la più bella eredità che una madre può donare ai figli, ha lasciato il sorriso, allontanando il terrore del trapasso, mostrando che la morte dei giusti è solo un passaggio verso una dimensione di luce, quella dell’Altissimo.