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“Alimenta”, un testo per solidarietà franca molinaro

In questa bufera di freddo, dopo aver portato i soccorsi necessari a piante e animali, voglio dedicarmi alla lettura. Di testi in pila ve ne son tanti e temo che alcuni non saranno mai letti, la primavera arriverà presto, ma questo comprato la settimana scorsa mi sta molto a cuore, anche perché vi è il patrocinio morale del nostro Centro di ricerca. Come Grande Madre quindi siamo lieti di presentarlo al pubblico quale prodotto dell’AUSER USELTE Benevento, presenziato dalla cara amica, nonché socia Grande Madre Adriana Pedicini. Devo sottolineare che il testo nasce come opera di beneficenza, il ricavato infatti sarà impiegato a questo scopo.
Ebbene, di esperienze con i testi a più mani ne ho fatte da oltre un ventennio, dalle prime antologie col Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud al lavoro decennale del concorso dialettale, so quindi cosa aspettarmi. Ma andiamo per ordine. L’aspetto serio ed elegante della copertina mi riporta al libro di latino abbandonato alle scuole medie e mai più interpellato, immagino che la scelta, operata sicuramente da Adriana, è da attribuire alla sua ferrea formazione classica. Vediamo gli interni, 16 autori forse sconosciuti tra di loro, ma con una cosa in comune tra i più, la maggior parte provengono da studi classici, laurea in lettere, laurea in giurisprudenza. Dunque sarà un piacere leggere queste penne che, a differenza dei miei poeti dialettali, dovranno essere dei “maestri” della narrazione. Nonostante la comune formazione di base, vi riscontro una bella varietà di scrittura, dalla fiamminga descrizione dei luoghi di Graziella Bergantino con il suo scenario mediterraneo, alle emozioni provate in una sala cinematografica mentre sullo schermo scorrono le verdi sfumature della foresta di Sherwood, di Sonia Boffa. Sonia è una delle nostre autrici, ricordo perfettamente il brano che mi inviò per il concorso e che si classificò tra i premiati per la semplicità della scrittura ma al contempo per la bellezza del racconto.
Anna Maria Buglione si lascia trasportare dai ricordi e rivive la sua vita nel corso di una lezione a distanza.
Lucia Caruso affronta il doloroso tema degli anziani in questa terribile tornata di pandemia, col suo racconto restituisce dignità ai nonni troppo spesso depositati in residenze per anziani.
Di estrema delicatezza la favola di Mario Collarile, che fa riflette su come un male terribile può trasformarsi in una cosa preziosa. E come ha ragione questo scrittore, posso testimoniarlo in prima persona nei trentadue anni di lotta e cammino fino a giungere a un buon livello interiore.
Stupendo come le sue lezioni il racconto di Luigi De Nicola che involontariamente aggancia l’esplosione della supernova Betelgeuse, evento pericolosissimo per il pianeta, al racconto precedente; non tutti i mali vengono per nuocere e, secondo il racconto scientifico, l’esplosione di una stella immise le informazioni chimiche della vita sul pianeta.
Il racconto di Elio Galasso, Maestro tra i Maestri, è tutto dedicato alla sua Benevento che appare come femmina a volte ritrosa, a volte sciatta, a volte misteriosa. Si legge tra le righe ironia e amarezza, la consapevolezza di ciò che poteva esser fatto ma non è stato fatto e non si fa; stato questo che lamentano tutti quanti hanno sensibilità storica e cultura del vero.
Gianni Ghiselli dimostra come può dare insegnamenti chi meno te lo aspetti raccontando una storia d’amore fuori patria.
Mi ha molto colpito il racconto di Bruno Menna, dissacrando un mito che mi portavo dentro fin da bambina. Figlia di invalido di guerra avrei potuto beneficiare delle vacanze in colonia come qualche mia amichetta che tornava a settembre con nuovi racconti, giochi e strofette da cantare, ma mio padre non ci permetteva di star fuori casa né rinunciava al nostro aiuto nei campi, così son cresciuta con questo desiderio immaginando chissà quali avventure. Ora trovo nella storia di Bruno una sorta di campo di concentramento dove gli aguzzini son le suore, le famose cap’e pezza, e mi torna in mente Fantozzi nel villaggio turistico.
A questo punto c’è il mio contributo che sembra quasi inappropriato nel contesto, essendo una favola, uno scritto per ragazzini, poi leggo il capitolo successivo e mi consola il racconto di Arcangelo Monaceliuni. L’autore immagina una spedizione di bambini moderni a sgominare un’organizzazione internazionale, responsabile della diffusione del Covid. Potrebbe diventare tranquillamente una graphic novel di successo.
Molto bello e commovente il racconto di Enzo Panella, un primo premio se avessi dovuto giudicarlo. Narra, con colorite espressioni napoletane, gli orrori della guerra e della miseria nei bui vasci della capitale partenopea, dei femminielli perseguitati dai Tedeschi seppur “usati”, meno bistrattati dagli Americani ma pur sempre ai margini della società civile. In questo squallore, un’anima di Dio innocente muore vittima della ritirata.
La presidentessa e curatrice dell’antologia, Adriana Pedicini, racconta con leggerezza la quarantena, convivenza forzata in uno stretto spazio domestico, dove il tempo e gli eventi mettono alla prova la serenità coniugale.
Avevo pensato che questo libro avesse a che fare col latino e a questo punto Mario Pedicini racconta di un momento scolastico, la versione di latino e il novello professore.
È un ritorno all’infanzia quello di Giovanna Reveruzzi, con la bellezza dei luoghi e dei ricordi, con l’amarezza di una piaga che non ha mai smesso di sanguinare. Colpisce la compostezza della nonna Marietta nel dolore della partenza per terre assai lontane, viaggi senza ritorno, e poi la disperazione della donna che strappa le lacrime al lettore, ma solo una madre può comprendere.
Infine ma non l’ultima per interesse antropologico, per bellezza del racconto, Lidia Santoro, già vincitrice di Echi di tradizioni nel 2019, porta alla luce una costumanza mai registrata in quel di Benevento, il dono della melagrana da parte della madre della sposa alla figlia. Un particolare questo che merita approfondimenti accurati in quanto si reitera per ogni figlia andata a nozze ed è corredato di una preghiera alla Madre, preghiera che purtroppo è andata perduta nella versione originale e che Lidia cerca di ricomporre, non è la stessa cosa ma il senso è quello. Lo stesso dono ho fatto a mia figlia il giorno delle nozze, inconsapevole di questo costume locale pur interpretando l’antichissima, originale sacralità del frutto. Nel caso di Lidia, la matriarca, in memoria di divine Madri, intesse quel cordone che unisce il femminino nella storia dell’umanità. E Benevento, degno scenario della Zoccolara, delle Streghe, di Iside, è testimone di questo uso così arcaico e significativo. Dovremmo avviare uno studio più particolareggiato seguendo questo tema, con indagini scrupolose, chissà magari potrebbe essere il tema per un prossimo lavoro condiviso.