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Ci son durmienti e durmienti… con un racconto di di Lidia Santoro

C’è un filo conduttore che unisce le generazioni di donne, dalla notte dei tempi, un filo che annoda fede, speranza, competenze, esperienze, questo filo è il cibo che loro hanno preparato ed hanno tramandato arricchendolo di senso e di aggiustamenti per migliorarlo, con amore, dedizione, convinzione, affinchè nulla si perdesse, nulla svanisse nei meandri del tempo.
   
I durmienti sono un dolce tipico beneventano preparato per la festa di Pasqua, il suo nome deriva dal lungo riposo che la pasta deve rispettare per giungere alla giusta lievitazione. la simbologia è evidente, la pasta dorme sotto il candido tovagliolo come Gesù è nel sepolcro avvolto nel sudario. la pasta crescerà e Gesù risorgerà. Il binomio Pasta Cristo è uno dei più ricorrenti nella storia del Cristianesimo e sicuramente della panificazione. Non a caso, la historiola che si recita per benedire il pane in massa o in forno recita:
Crisci pane a la massa come criscivo Gesù Cristo int’a la fassa. crisci pane a lo furno come criscivo Gesù Cristo pe’ tutto lo munno“.
Vi sono varie versione dei durmienti. Nella mia famiglia la tradizione è mantenuta da mia sorella Orsola che ancora riproduce quei sacri e simbolici gesti di mia madre e delle nonne. Sua è la ricetta ereditata da mia madre:

1 kg farina
12 uova
Mezzo pezzo di lievito
250 g di zucchero
Un bicchiere di latte
Un po’ di crescente
Pezzi di cedro candito
Impastare il tutto e far crescere 24 ore.
Mettere poi in una teglia unta e far crescere ancora fino a raddoppiare l’impasto.
Infornare quando si sbocca il pane e sfornare appena dorati.

Lidia Santoro
Estate 1967, primi esami universitari, geografia astronomica, molto difficile soprattutto per il professore. Ricordo ancora il nome, incancellabile: Ugo Moncharmont, severo, intransigente nell’aspetto e nei modi  Tutti escono dall’aula piangendo. Io prendo un 27, una vittoria! Il bidello all’uscita mi chiama dottoressa, in parte per la difficoltà superata, in parte per la mancia che gli offro con sommo piacere.

Non vedo l’ora di comunicarlo a mio padre. Ho  un rapporto non semplice, non ricordo da quanto tempo  non parlo con lui, per assurdo parlo più io che lui, comunicazioni di servizio o irritanti accuse reciproche. E’ l’età mi dicono le mie amiche, succede anche a loro. Stanotte non dormirò per la gioia dell’esame e per  l’invito di mia sorella:  andare a mare con lei, riposare e contemporaneamente aiutarla con i suoi tre figli. I pensieri non mi faranno dormire, avrei dovuto abbandonare, temporaneamente un giovane e tenero amore, che mi aspetterà paziente e che anni dopo diventerà mio marito

 Certamente avrei incontrato difficoltà, con mio padre e con una zia  paterna, zia Minuccia, che abitava con noi ad aumentare il numero già  abbastanza considerevole della famiglia. Questa  zia, affettuosa e tenera,  nello stesso tempo era la guardiana severa e intransigente dell’integrità morale delle nipoti. Era nubile e come si soleva in quei tempi, viveva con l’ultimo fratello. Da piccola aveva avuto la polio, malattia piuttosto diffusa prima che fosse scoperto il vaccino, ma lei continuava a raccontare una storia che ci faceva sorridere, ma contemporaneamente ci atterriva: una sera aveva incontrato un gatto nero che la fissava con gli occhi luccicanti e lei era rimasta immobile come una statua, finche l’animale non si era allontanato con un salto. Da quel momento lei aveva cominciato a camminare con difficolta, era stata privata dell’uso di una gamba. Il gatto secondo lei, era stato mandato da una Janara, personaggio che, secondo gli abitanti del Sannio, nei loro racconti, realmente esisteva. Stranamente zia Minuccia, felice del risultato del mio esame, orgogliosa della sua nipote più piccola, convinse mio padre a farmi partire per la Puglia e ad accompagnare mia sorella. Le vacanze  di una volta erano molto lunghe, duravano un mese, un mese  in Salento . Mi sveglio la prima mattina con l’odore del caffè, ma per me c’ è una tazza di latte con le fette biscottate. Mia sorella mi dice che la prossima mattina cercherà di procurarsi dei biscotti della zona, di cui le ha parlato la vicina di casa, i dormienti. Che nome strano! Fresca di studi classici, mi ricordo Eraclito, che nel suo pensiero filosofico, contrappone i desti e i dormienti. I desti, se ricordo bene, sono coloro che sanno cogliere il senso delle cose, indipendentemente dalle apparenze. In questo momento, se avessi avuto Google, mi avrebbe aiutata  nei miei sfumati ricordi filosofici, ma dovevo cavarmela da sola. I dormienti al contrario sono la maggioranza degli uomini, superficiali e poco attenti, che dormono di un sonno mentale profondo che impedisce di cogliere l’essenza delle cose. Sono contenta di ricordare, anche se in maniera approssimata, alcuni concetti filosofici. Ma perché i biscotti si chiamano dormienti? Cercheremo di scoprirlo, ma soprattutto di provarli. Il mattino seguente mettiamo in atto una strategia che non ci porta, purtroppo a nessun risultato felice. Andiamo in due forni diversi, i dormienti sono ottimi, sono biscotti da inzuppo, li diversifica solo il colore più chiaro o più abbronzati o la forma, ma alla nostra richiesta della ricetta, la risposta è vaga. Cambiamo forno,  ma il risultato è identico. Qualcuno si lascia andare a elencare qualche ingrediente” noi usiamo l’olio d’oliva, dalle nostre parti è molto buono” Ci divertiamo, ogni mattina a trovare un ingrediente da aggiungere  a quello del giorno precedente. E’ un divertente puzzle , ormai è diventato anche un gioco. Intanto il latte di ogni mattina viene arricchito dai dormienti per quasi tutto il mese. Quando torno a casa, dopo la vacanza, dimentico i biscotti e ritrovo il buon ciambellone di mia madre:  aria di casa, ritorno agli studi, al mio primo impaziente fidanzatino… Poco tempo fa, per caso, leggendo della Puglia e delle sue eccellenze, ho ritrovato i dormienti , ho Qualche tempo dopo, cercando le eccellenze della puglia e un posto dove riposare per una settimana, ritorno al Salento e ripenso ai dormienti ,ritrovo il loro sapore, la fragranza di quei biscotti appena sfornati, l’odore che si spandeva nel vicinato, quei giorni a mare, un mare di cristallo, quei giorni spensierati di quegli anni  felici. I ricordi sono come un album di fotografie dove momenti, immagini e personaggi sono fissati per lungo tempo. Cerco la ricetta, naturalmente su Google, ricetta semplice, quasi banale, che però ci ha divertite e incuriosite per quasi un mese, ricetta che un tempo poteva essere segreta. Mi propongo di rifarla qualche giorno, magari ai miei futuri nipoti, raccontando la storia, la mia storia, ma  già mi aspetto sorrisetti  ironici e maliziosi.  No, resterà solo il mio ricordo prezioso. Sono diventata insegnante di scienze, ogni volta che spiegherò   l’astronomia mi ricorderò del mio primo professore universitario,  ho girato le scuole del Sannio da Sant’agata dei Goti a San Bartolomeo in Galdo, la mia curiosità mi ha sempre portata ad altre conoscenze in qualsiasi campo. Alla vigilia delle vacanze pasquali  o natalizie  le lezioni diventavano più leggere, i discorsi si diversificano, amavamo parlare di usanze e di pietanze. Io parlavo del mio cardone e mi sono accorta che nessuno, fuori dai confini beneventani, oserei dire fuori dai confini  dello Stato Pontificio, conosceva questo nostro piatto natalizio. Gli alunni allora si sforzavano di elencare le loro eccellenze. E un giorno, all’improvviso, con mio grande stupore, a Montesarchio, mi parlarono dei loro biscotti da inzuppo che chiamavano i dormienti. Chiesi la ricetta e il giorno seguente un’alunna mi portò un foglietto scritto a mano dalla mamma. Lo conservo gelosamente in un’agenda dove sono trascritte quelle di mia madre: “3 uova (fresche!), 200 g. di zucchero, mezzo limone grattuggiato (non ho mai corretto quella g in eccesso, mi sembrava di avvertire il rumore travolgente della grattugia), 80 g. di latte, 150 g. di olio di semi ( mi viene in mente l’orgoglio del fornaio pugliese a proposito del suo olio di oliva), una bustina di lievito Pane degli Angeli ( esiste in questo caso il codice di autodisciplina pubblicitaria?), 600 g. di farina. Impastare, far lievitare, dare la forma ai biscotti e farli cuocere nel forno a 180°. Nessuno mi ha mai dato la spiegazione del nome, forse una lunga lievitazione e quindi un lungo sonno? Forse c’entra la filosofia eraclitea ? Io, con la mia bizzarra fantasia, ho pensato all’ubicazione di Montesarchio, alla Dormiente del Sannio e quindi alla logica, geografica denominazione dei biscotti da inzuppo.