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Ricordando Alessandro Battaglino – franca molinaro

Maggio Salesiano 2016 – Firenze

In questo momento terribile di ansia, terrore, perdita di certezze, obblighi forzati, mancanza di chiarezza in ogni dove, sempre più giovani si perdono; diversi, qui da noi, in Irpinia, scelgono la via sconosciuta dell’aldilà piuttosto che identificarsi in una società sempre meno umana. Così abbiamo perduto un altro valoroso figlio, giovane, artista iperattivo, con grandi capacità tecniche valorizzate da una continua ricerca interiore. Alessandro Battaglino era uno scultore bravissimo, ma la sua arte non è bastata a riempirgli la vita, così, lasciando tutti attoniti, in settimana, si è tolto la vita nella sua casa di Villamaina. Lo conobbi anni fa, quando ero impegnata nello studio di Genista anxantica, la ginestra della mefite. Alessandro mi fu di gran sostegno nelle ricerche sul campo, insieme setacciammo il bosco e il terreno nei paraggi del bulicame per censire il numero di individui di Genista e capire un po’ meglio la vegetazione del luogo. Lui si entusiasmava ai miei studi e immaginava progetti per la valorizzazione del territorio, della ginestra e di Gussone che per primo la pose all’attenzione della scienza. Fu un periodo di grande impegno quello, in cui Alessandro entrò a far parte del “Centro di ricerca tradizioni popolari La Grande Madre”, apportò la sua vivacità e il suo prezioso contributo. Tra i vari lavori, scolpì una statuina della Grande Madre, una specie di “oscar” che consegnammo poi al vincitore del concorso “Echi di poesia dialettale”. La collaborazione tecnica per me fu un arricchimento, lui era bravissimo nella scultura e aveva gran competenza nella conoscenza ed utilizzo dei materiali. Amava l’onice da cui ricavava magnifiche pietre da incastonare o da usare come pendenti, ma ne faceva anche statuine di alto valore simbolico. Si emozionava, lungo il Vallone dei bagni, quando scopriva quelle pietre che definiva “paesine” e che ci mostrava con orgoglio stupendoci con il profilo netto del disegno raffigurante tante minuscole metropoli. Grazie a lui conoscemmo Benito Vertullo che entrò nel gruppo con la sua competenza di cameramen. Nel maggio del 2016 lo invitai a partecipare al “Maggio Salesiano”, un evento organizzato dai coniugi D’Argenio Radassao, a Firenze. Lui aveva scolpito, nel carrara bianchissimo, una mano semiaperta, “La mano di Dio”, accompagnata da un biglietto con scritta “toccare”, si proprio il contrario di quanto si raccomanda per le opere d’arte; occorreva toccare, porre la propria mano in quella di Dio per assaporarne le sensazioni, le vibrazioni. Ricordo la sua emozione nel ricevere, dalle mani di Eugenio Giani, presidente della regione Toscana, il premio per la partecipazione.  A ritorno da Firenze lui partì per un lavoro, doveva realizzare monumenti in cioccolato, mi mandò le foto di alcune opere, copie in scala del Colosseo, del Colonnato di San Pietro. In seguito se ne andò a Milano, lavorò come restauratore, ci perdemmo. Un giorno mi sentii chiamare alle spalle, mi voltai e me lo trovai di fronte, mi abbracciò quasi a stritolarmi. Parlammo poco con la promessa di rivederci presto ma arrivò la pandemia. Quando un giorno mi telefonò, perché voleva venire a farmi visita, io tergiversai, eravamo in apprensione per i contagi, era meglio rimandare. Non me lo perdonerò mai, avrei dovuto incontrarlo, ascoltare le sue confessioni come un tempo, forse aveva bisogno di parlare, ero stata sempre un po’ mamma con lui da che lo avevo conosciuto, ma fui egoista e pensai ad evitare occasioni di contagio. Alessandro non aveva la mamma, era morta quando era bambino, le mancava tanto questa figura che forse aveva ritrovato nella mia propensione ad accogliere tutti tra le braccia ed ascoltare ogni problema. Ma la pandemia ci ha divisi, ha spaccato la società, allontanato amici e conoscenti, creato diffidenze, così i più fragili pagano il prezzo più alto. Alessandro era sicuramente fragile, la sua ipercreatività lo rendeva vulnerabile, era uno spirito in cerca di verità, e le verità, a volte, fanno male.
Alessandro era nato a Gesualdo, paese cui era particolarmente legato ma si trasferì a Villamaina dove, la famiglia Montuori gli mise a disposizione una casetta con vista sulla Valle del Fredane. La casa comprendeva un giardino dove Alessandro aveva esposto delle opere e un locale sottostante, un tempo frantoio, dove aveva allestito un laboratorio di scultura. Era diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli, aveva un’ottima preparazione tecnica acquisita con gli studi ma non disdegnava di imparare da chiunque avesse un minimo senso artistico o una qualunque competenza. A Villamaina era il mezzo attraverso il quale i forestieri approcciavano il paese. Era lui ad avvicinarli e metterli a loro agio, poi li invitava a conoscere le persone che rientravano nella sua stima, così come i luoghi. Amava accompagnarsi soprattutto con persone colte e con spirito libero, costoro diventavano per lui figure di riferimento che elogiava con sincero affetto. Nel 2000 conobbe a Villamaina lo scultore scalpellino Vincenzo Caputo. Con lui approfondì la conoscenza della pietra locale e, nel 2003, per il parco Caputo Madonna dell’Antica, realizzò il Volto di Gesù. Sempre per questo luogo realizzò la pietra con le indicazioni del parco. Nel 2013 scolpì un monumento alla memoria di Carmine Capobianco, collocato sulla piazza del Santuario del Buonconsiglio a Frigento. Molto lavoro di scalpellino eseguì per “Le Conche”, il casale in pietra di Enzo Di Gianni, allora in ristrutturazione. A Di Gianni era legato, non solo da impegni lavorativi, ma da una profonda ammirazione, vedeva nell’architetto un visionario capace di concretizzare i propri sogni. Visionario era lui stesso, in grado di immaginare grandi progetti, capace anche di realizzarli con poco denaro e molto lavoro, senza aspettare incentivi da terzi, se solo avesse avuto l’aiuto di altri testardi volitivi. Ammirava noi della Grande Madre che lavoravamo duro senza sovvenzioni statali per il progetto grandioso del premio internazionale e diceva che con quel metodo si poteva fare di tutto. Il suo sogno era di realizzare qualcosa di importante per Villamaina, il paese che lo aveva adottato e che lo amava più della sua Gesualdo. Pensava sempre al concittadino Gussone, ed era convinto che sulla sua memoria si potevano costruire cose belle e valide, legate alla flora spontanea del luogo. Ma la passione più grande restava sempre la pietra, le pietre. Passavamo mattinate lungo il Vallone dei Bagni, ognuno dietro le sue ricerche, Benito con la sua attrezzatura fotografica, io dietro le piante, lui a spulciare tra le pietre a trovare quella buona per materializzare una sua idea. Si andava d’accordo perché per entrambi le pietre avevano un valore immenso, spirituale; maneggiarle o scolpirle era instaurare un rapporto profondo con la Madre Terra, un rapporto intimo e ancestrale che riannodava il gomitolo del tempo e congiungeva alle origini. Tornavamo poi dal fondo del burrone con le tasche piene di pietruzze o pezzi più grossi già destinati ad un progetto artistico. Dalle sue mani nascevano oggetti dalla profonda simbologia che rispondevano alle sue domande esistenziali.  Dal punto di vista stilistico, la sua ricerca artistica si concentrava sulla rappresentazione figurativa con una variante onirica e surrealista che rendeva unica ogni sua opera. Il suo spiccato eclettismo lo portava a sperimentare molti ambiti espressivi e altrettante tecniche, così dalla pietra passava ai materiali cementizi o alla pittura, il tutto sempre investito di quei moti profondi che muovevano il suo animo. Ora Alessandro non c’è più, ma la comunità di Villamaina lo vedrà ancora ogni giorno nelle opere che ha lasciato sparse per il paese, un artista è immortale perché continua a mostrarsi attraverso la sua arte, egli vivrà per sempre congiunto alla terra degli avi, la stessa che lui amava infinitamente e rispettava come Madre.