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A Montemarano la poesia del canto popolare

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A Montemarano IV Raduno dei Poeti Dialettali                          di Franca Molinaro Ottopagine, domenica 7 luglio 2013

Venerdì 12 luglio, ore 20, a Montemarano si terrà il IV Raduno dei Poeti Dialettali, manifestazione promossa dal Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud Dipartimento di ricerca etnografica, dal Comune di Montemarano e dall’Associazione Socio Politico Culturale Amo Montemarano. Le adesioni sono state numerose, quest’anno avremo voci da tutta l’Irpinia, dal Sannio e dal napoletano. La serata prevede la partecipazione del Sindaco Beniamino Palmieri, di Antonio Di Vito Presidente dell’Associazione, dei direttori del Centro Paolo Saggese e Giuseppe Iuliano, del Coordinatore del Dipartimento Emilio De Roma, il tutto moderato da chi scrive. Hanno confermato l’adesione i poeti: Agostina Spaguolo da Capriglia Irpina, Giuseppe Vetromile da Napoli, Giovanni D’amiano da Torre Del Greco, Casale Marciano e Lucia Gaeta da Atripalda, Francesco Maria Olivo da Mercogliano,  Licia Furno e Angelo Cristofaro da Volturara, Nunzio Lucarelli  da Montefalcone in Valfortore, Aniello Russo da Bagoli Irpino, Gerardo Lardieri da Teora, Giovanni Famiglietti da Aquilonia, Ettore Cicoira da Calitri, Salvatore Salvatore da Carife, Donato Cassese da Sant’Andrea Di Conza, Tullio Barbone e Virginio Gambone da Montella, Manlio Miletti da Bonito, Libero Frascione da  Bisaccia,  Gaetano Calabre da Lioni, Anna Maria Renna da Prata P.U.,  Fernando Antoniello da Torella dei Lombardi, Vito Donniacuo da Montoro Superiore,  Giuliana Caputo da Flumeri, Giuseppe della vecchia e Gaetano Calabrese da Nusco, saranno lette, inoltre, le poesie dei poeti scomparsi: Agostino Astrominica di Nusco, Fedele Giorgio di Sant’Andrea di Conza, Pasquale Martiniello di Mirabella Eclano, Margherita Belmonte di Bonito. Diversi anni fa, studiando la poesia dialettale, insieme al professore Saggese, ci rendemmo conto che molto c’era in comune tra i componimenti dei poeti attuali con gli anonimi canti popolari che avevo recuperato attraverso la ricerca sul campo. Provammo così, a fare un excursus storico in una serata organizzata in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Bonito, partendo dalla filastrocca al canto, attraverso poeti popolari scomparsi fino al cantastorie Paolino Minichiello, ultimo cantautore della tradizione popolare. Cos’era, allora, il canto popolare se non poesia? Perché nessuno ha mai riconosciuto il valore poetico di questi componimenti? Forse perché tutto ciò che proviene dalla classe “subalterna” può essere solo oggetto di curiosità per gli antropologi e non avere un valore reale di per se stesso? Come poter riscattare questa poesia dal suo oblio? Eppure, nella semplicità più assoluta, i nostri canti, propongono figure retoriche di straordinaria bellezza, figure riprese da alcuni dei più bravi poeti dialettali irpini. Come poter dar voce, allora, ai timidi poeti dialettali guardati con superbia da alcuni dotti poeti in lingua? Occorreva incoraggiarli riunendoli in una occasione periodica, un reading come si fa per la poesia in italiano. Ritrovandosi tra simili non avrebbero temuto il confronto, e così fu. Il primo vero raduno lo tenemmo proprio a Montemarano, quattro anni or sono, e si svolse durante i festeggiamenti del carnevale, proseguì nello stesso paese l’anno successivo mentre lo scorso anno ci spostammo a Vallesaccarda. Quest’anno, il cuore non la testa, mi ha suggerito di bussare di nuovo all’uscio di questo paesino meraviglioso, appollaiato come una poiana su una rupe dell’Appennino Campano. Mi è stato aperto, come sempre, con grande entusiasmo da parte del sindaco e del presidente Antonio Di Vito. Anche i poeti hanno aderito volentieri perché è un’occasione unica,  per ritrovarsi tutti insieme e godere i numerosi idiomi. Da Calitri, con la sua parlata quasi lucana, attraverso la Valle dell’Ofanto verso il napoletano e il salernitano, poi la valle del Sabato, del Calore e dell’Ufita, l’avellinese e il Valfortore, si disegna una costellazione di dialetti differenti con accenti a volte morbidi a volte duri. Posso dirmi soddisfatta del nostro operato, i dialetti, linguaggio della classe più bistrattata, sono finalmente protagonisti, attraverso la poesia, una delle arti più nobili, i vocaboli ritornano da un passato recente o arcaico, secondo il gusto e la ricerca dell’autore, e si ripropongono scongiurando l’oblio a cui la modernità li condanna. Montemarano ha compreso il valore della tradizione e lo ha dimostrato con il recupero della tarantella, la Montemaranese che farà da colonna sonora della serata insieme alle serenate di Gerardo Lardieri, e continua a dimostrarlo con l’impegno profuso in questa occasione.

 

 

 

Franca Molinaro “Presenze” di Teresa Iarrobino

Se è vero che nella vita nulla va mai perduto è pur vero che il libro “ Presenze ’ di Franca Molinaro, pubblicato dalla casa editrice Il Papavero, mette in atto un impegno circolare di riconoscimento della comunità.

Nel suo lavoro di etnografa,  di studiosa del comportamento della tradizione popolare, adopera  la  forma classica della raccolta orale, avviata dai fratelli Grimm che preservarono dall’oblio le fiabe con il loro significato simbolico.

La conoscenza acquisita che procede verso la civiltà della regola, del segno coerente, del visibile e di quanto è restituito all’esistente nella forma della realtà, si oppone a tutto ciò che  si esprime in modo inconsapevole e inesplorato che  può abitare la vita delle persone.

Nel libro si prosegue verso quel processo di individuazione che è dato dalla memoria narrante,  dal vissuto individuale e sociale dei protagonisti che tessono la trama dei racconti trascritti e ci riconducono alla radice, al lembo di storia che la nostra generazione ha voluto mettere sotto terra.  Attorcigliati dal pregiudizio  i racconti della tradizione contadina, sono stati tenuti lontani, valutati come  una riproduzione dell’immaginazione primitiva, riscontrabili negli oggetti e  nei luoghi del folclore. Nel tempo e in modo progressivo  si è attuata una cesura, una rottura, un taglio incanalando un processo di  dissociazione della sedimentazione simbolica alle radici che ha  limitato la capacità di dare senso alle cose sollecitate dall’intuito, si è come  amputata  la parte più incisiva e  bella della creatività umana. Malgrado ciò, qualunque persona si fermi per un momento a chiamare di nuovo alla mente un’idea, un sogno, un sentimento, uno scricchiolio del tempo si renderà conto che, di fatto,  le riflessioni su tali argomenti  sono ritenute alteranti e non spirituali.

Nonostante tutto, non comprendiamo né le cose della terra e né le cose del cielo, ma com’è possibile? Mi piace ricordare Giv. 3.3 “Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce nuovamente

Dalla teoria degli  archetipi di C.G Jung che talaltro è ampiamente citato nelle note del libro, comprendiamo che le forme del pensiero sono forme sedimentate dell’inconscio e risiedono nell’animus, nello spirito  della persona e della società, sono le forme stratificate della mente umana, che riaffiorano nei sogni e nella percezione della realtà. La profezia di Ezechiele dell’uomo alato con sembianze di angelo è la luce bianca dell’incarnazione di Dio. Il bue alato è la narrazione del sacrificio di Cristo Gesù sulla croce. Il Leone alato è la rappresentazione della resurrezione e l’aquila l’ascensione in cielo per opera dello Spirito Santo.

Ebbene, queste quattro figure apparse al profeta Ezechiele dell’Antico Testamento, le ritroviamo nell’Apocalisse di san Giovanni che simboleggiano i quattro evangelisti del Vangelo. Sorprende il lavoro di ricerca  dello psicanalista sugli archetipi, giacché la visione del profeta Ezechiele – ha un’analogia  con la divinità egiziana del sole, Horus, e suoi quattro figli –  Tutto ciò che racchiude la sfera del simbolico ha una forma non riconducibile al significato immediato e ovvio della realtà oggettuale, comprende in sé alcune cose che stanno al di là del suo significato.

Ecco, il libro di Franca Molinaro ci permette di riappropriarci senza timore della sfera simbolica, del mistero, di ciò che si svela nel soffio di vento, nello spirito che anima i corpi e la natura, nel silenzio dell’universo, del ciclo della vita – morte- vita. Con serietà invita a rispettare l’ignoto, ad accarezzare e pregare  le anime dei defunti, consapevole peraltro, dell’ordinario persistere del bene e del male, così tra i vivi come tra i morti.

Possiamo stare certi che le cose smarrite non si allontanano, sono anche adesso lì, nella nostra psiche, o meglio nella nostra anima.

Teresa Iarrobino

 

 

Compari di San Giovanni legati indissolubilmente con una nota magica

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Ottopagine 28 giugno 2013     

di Franca Molinaro 

Il faccione della luna, col suo Marcoffio ben riconoscibile nelle macchie lunari, illuminava in modo anomalo la piccola piazza-teatro nel cuore di Prata P.U. dove abbiamo celebrato, domenica scorsa, la vigilia di San Giovanni Battista. La serata, che rientra nelle attività del Centro di Documentazione Sulla Poesia Del Sud Dipartimento di Antropologia, è stata caratterizzata da una coreografia di Erminia Barbieri. La scena, ispirata al sabba delle streghe, è stata accompagnata da una incalzante pizzica e inscritta in un cerchio di  fuochi. Streghe, donne e guaritrici insieme alle erbe, sono  le principali protagoniste di questa notte solstiziale per questo hanno rappresentato il tema saliente della discussione. La professoressa Renna ha fatto un excursus tra storia e antropologia ricordando i rituali divinatori reperiti nella stessa Prata. Breve il saluto del sindaco che ha voluto mettere l’accento sulla tenacia necessaria a di chi si occupa della ricerca e valorizzazione delle tradizioni. Soddisfatto e disponibile Agostino Della Gatta, giovanissimo ma da sempre impegnato nel dar visibilità alle nostre specificità, tra cultura, paesaggio e gastronomia. Esaustivo l’etnomusicologo Valerio Ricciardelli che ha sottolineato la necessità dei credo per salvaguardare l’integrità psicologica dei singoli e della comunità in un momento particolarmente delicato. Ha ricordato il valore sociale dei riti, come i pellegrinaggi in cui, soggetti in attrito, coglievano l’occasione per riavvicinarsi perdonandosi in nome di quella fede che li spingeva a camminare sullo stesso sentiero. Oggi non si coglie più quest’opportunità forse perché non si celebrano più i riti con la stessa convinzione di un tempo, la stessa messa cristiana, a volte è occasione di mondanità e non di incontro ravvicinato con la divinità. L’arrivismo, poi, l’egoismo, l’invidia, l’inseguimento continuo di facili guadagni, la mania di protagonismo, scavano baratri profondi tra gli umani. Si è perduto quella semplice predisposizione, comune nel mondo agrario, a porsi nelle mani di Dio, attraverso una frase tanto significativa che i vecchi andavano sempre ripetendo: “Si vole Dio”. In nome di quel Dio lontano, nei cieli, però misericordioso, la gente di un tempo affrontava il bello e il cattivo tempo, le gioie e i dolori, la morte e la malattia, riconosceva nel prossimo l’immagine di se stesso e non un nemico da annientare perché avrebbe potuto oscurare la propria persona. C’era sicuramente ironia, avversità, litigi, ma non la cattiveria gratuita che può capitare nella società attuale. I cafoni tanto disprezzati perché zotici, incolti, grossolani, non erano capaci delle raffinate cattiverie di cui può esser capace una mente acculturata. È proprio in nome di quella fraternità, che si avvertiva sull’aia durante la trebbiatura, o che si giurava sull’altare per il comparatico, quello giovanneo in particolare, che, noi del CDPS Dipartimento di Antropologia, andiamo proponendo i riti legati alla terra, alla tradizione ed al sacro. Questi tre elementi sono da sempre saldati indissolubilmente, sono i cardini intorno ai quali ha ruotato, per tanti anni, un mondo fatto di sacrifici e di dolore, di angherie a discapito della donna, ma anche di spiritualità mai compresa, di rapporto diretto con la Grande Madre. In questo contesto magico-sacro esistono le streghe ma esistono i metodi per allontanarle, esistono le malie ma anche gli antidoti, c’è una giustificazione per tutto ma non c’è posto per chi nuoce all’equilibrio della piccola società. “San Giovanni non vole inganno”, spiegava la professoressa Renna, il compare di San Giovanni è quello che accompagna gli sposi all’altare e poi tiene a battesimo il primo figlio, in questo secondo momento il legame diviene forte e indissolubile, così forte da non spezzarsi nemmeno con la morte perché la morte, in questa cultura non è la fine, ma solo un passaggio verso un altro stadio dell’esistenza. In virtù di questo credo, il compare di San Giovanni appare da morto, spesso, in aiuto del compare vivo, lo preserva dai pericoli, lo accompagna nel cammino notturno e lo scaccia dalla chiesa nella notte di Ognissanti durante la messa dei morti. Anche da vivo, il compare veglia sugli sposi e sul suo protetto, interviene quando le famiglia devia dalla retta condotta, si prende cura del piccolo come fosse un suo figliolo. Una nota magica si riscontra anche nel non poter rendere il comparatico: se una famiglia si lega in comparatico con un’altra, la seconda non può cresimare, tenere a battesimo o testimoniare le nozze a membri della prima. Oggi il compare ha perduto la valenza sacra e con questa il rispetto generale tra le persone. Ognuno tende ad erigersi a dio di se stesso, polvere seppur di stelle, dimenticando la propria pochezza rispetto all’immensità del creato.

La Notte di San Giovanni

Solstizio d’estare, è la notte di San Giovanni                              

 domenica 23 giugno 2013 “Ottopagine” di Franca Molinaro

Siamo all’inizio dell’estate, adesso che il sole comincia a farsi sentire forte e luminoso, paradossalmente, comincia a calare sull’orizzonte celeste. È questo il solstizio d’estate, il momento in cui l’astro raggiunge l’altezza massima e il giorno la massima lunghezza. È un momento particolarissimo dell’anno, un giorno celebrato fin dall’antichità perché, da sempre, l’uomo ha osservato il sole comprendendo che da esso dipende la vita sua e della Terra. Agli occhi degli antichi era un momento delicatissimo, ma, a digiuno di conoscenze astronomiche, lo celebravano quando si accorgevano che cominciava a declinare. Importate le conoscenze astronomiche da Caldei ed Egiziani si comprese che il solstizio ricorreva con qualche giorno di anticipo ma, in generale, la notte magica restò quella tra il 23 e il 24 giugno. In questa ricorrenza si introdusse la festività del Battista che, secondo i Vangeli nacque sei mesi prima di Gesù, la cui nascita rientra nel solstizio d’inverno. Non è difficile individuare l’analogia tra Cristo e il Sole, entrambi destinati a crescere nel corso dell’anno mentre altra sorte tocca al suo precursore la cui testa è destinata a rotolare dal ceppo sotto la scure del boia come il sole è destinato a scendere nel suo giro apparente. Ma la magia di questi momenti non è un’invenzione popolare, v’è un sottile esoterismo di fondo che portava già Omero a parlare di porte dei cieli, una a Borea per il solstizio estivo ed una a Sud per il solstizio invernale. Erano una sorta di intersezioni di piani spaziali in cui si aprivano i passaggi per altre dimensioni, le dimensioni dello spirito e degli dei. Anche nell’antica Roma le celebrazioni erano osservate dalle istituzioni e dal popolino. L’arrivo del Cristianesimo tende a demonizzare le divinità precedenti così ci ritroviamo, nella notte di San Giovanni, con cortei di demoni che scorrazzano per i cieli guidati da Diana e da Erodiade, confusa probabilmente con la Salomè delle sacre scritture. Streghe e demoni si davano appuntamento sotto il famoso noce di Benevento, sulle rive del Sabato, per il loro lugubre sabba, e le abitazioni dovevano essere protette da falci, sale e tante erbe apotropaiche. Ed è proprio in virtù del fiume Sabato che ho scelto Prata P. U. per l’appuntamento estivo delle “Ricorrenze della Grande Madre”, progetto nell’ambito delle attività del Dipartimento di Antropologia del CDPS, in collaborazione coi comuni di Castelfranci, Teora, Prata P. U., Bonito, in collaborazione con Irpinia Turismo di Agostino Della Gatta. Referente del progetto, per Prata, è la professoressa Anna Maria Renna. L’appuntamento è per domani, ore 19, presso la villetta comunale in Via Petrillo. È previsto il saluto del sindaco Gaetano Tenneriello, gli interventi di Anna Renna, Agostino Della Gatta, Valerio Ricciardelli etnomusicologo, Erminia Barbieri che curerà una coreografia sulle musiche di Ricciardelli, il tutto coordinato e moderato da chi scrive. Si parlerà del solstizio, del Battista e del comparatico, dei licantropi e delle streghe, delle erbe che, sotto l’influsso benefico del santo e del sole, assumono poteri apotropaici e terapeutici, iperico, lavanda, verbena, aglio, mentucce, insieme alla rugiada, acquistano poteri incredibili. Si teatralizzerà la divinazione delle fanciulle che, nella magica notte scopriranno il loro futuro attraverso i segni delle piante. Anche la coreografia della Barbieri è improntata sul sabba, non a caso siamo sulle rive del Sabato, il fiume delle janare, a pochi chilometri da Benevento. Questo terzo appuntamento sarà sicuramente il più intrigante perché legato alla magia, all’etnobotanica, a tradizioni antichissime che ormai abbiamo dimenticato ma che fanno parte della nostra cultura. Riproporre questi momenti calendariali è l’intento del mio progetto e, con soddisfazione, posso affermare di aver trovato, fin ora, ottimi collaboratori e Amministrazioni disponibili. Sicuramente questo progetto è il fiore all’occhiello delle attività del Dipartimento, sostenuto da persone convinte degli argomenti che andiamo proponendo, intellettuali che si propongono senza mirare al compenso economico, purtroppo non abbiamo fondi alle spalle, agiamo per il piacere di fare cultura e di farla in un certo modo, con condivisione di intenti, con valori profondi radicati in credo antichi, distanti dall’arrivismo e dal comune senso degli affari. Quando pensai il progetto immaginai un omaggio alla Grande Madre e, insieme, un’occasione per risvegliare, verso di Lei, la coscienza comune attraverso gli antichi riti, lentamente, creando un circuito di positività formato da individui predisposti. Posso dire che c’è speranza.

23 giugno – Le ricorrenze della Grande Madre

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Teora – Festa della Santa Croce

LE RICORRENZE DELLA GRANDE MADRE
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Presentazione del progetto
17gennaio castelfranci
5 maggio Teora
23 giugno Prata PU
31 ottobre Bonito

Saluti del sindaco Stefano Farina
Parroco don Pasquale Rosamilia
Gerardo Lardieri referente del progetto
Emidio De Rogatis studioso della storia di Teora

Il costume di festeggiare, all’inizio di maggio, con pellegrinaggi attraverso i campi è di origine precristiana, i popoli del Nord Europa fino all’Italia centrale festeggiavano il maggio, una festa molto elaborata che rappresentava il trionfo della primavera sull’inverno, principio che diede origine alle giostre medievali. Presso i Celti la festa era dedicata agli alberi che presso tutte le culture rappresenta il collegamento tra cielo e terra, L’ALBERO COSMICO che pone in contatto le due sfere, umana e divina. Un albero era portato in processione, addobbato e festeggiato nel calendimaggio, in tale occasione si cantavano serenate, si facevano doni, si scambiavano promesse. Queste tradizioni celtiche si innestarono sulla religione romana che ai primi del mese celebrava i floralia in onore della dea Flora.
Paolo Saggese latinista
Feste Mariane e festa della croce
La Madonna sostituisce a pieno titolo le Grandi Madri mediterranee ma il senso resta lo stesso, cosa altro non è Maria se non la rappresentazione cristianizzata della vita, della creazione, della maternità, dell’amore divino…
Così la croce può essere vista come albero cosmico che mette in contatto l’uomo nuovo con Dio, il mezzo attraverso il quale l’umanità può aspirare alla redenzione.
Valerio Ricciardelli etnomusicologo

L’Esaltazione della Santa Croce è una festività della Chiesa Ortodossa, Chiesa cattolica, molte Chiese protestanti (spesso quelle di matrice Anglicana) e della consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme (335).
Il 3 maggio del 628 i Persiani restituirono la Santa Croce all’imperatore bizantino Eraclito, la croce era stata trafugata da Cosroe Parviz con la conquista di Geruslemme.
La festività ricorre il 14 settembre, in ricordo del ritrovamento della croce di Gesù da parte di sant’Elena, avvenuto, secondo la tradizione, il 14 settembre del 320: in quel giorno la reliquia fu alzata dal vescovo di Gerusalemme di fronte al popolo, che fu invitato all’adorazione.
Nell’usanza gallese, a partire dal VII secolo, la festa della Croce si teneva il 3 maggio. Secondo l’Enciclopedia Cattolica, quando le pratiche gallesi e romane si combinarono, la data di settembre assunse il nome ufficiale di Trionfo della Croce nel 1963, ed era usato per commemorare la conquista della Croce dai Persiani, e la data in maggio fu mantenuta come ritrovamento della Santa Croce.
In Occidente ci si riferisce spesso al 14 settembre come al Giorno della Santa Croce; la festività in maggio è stata rimossa dal calendario della forma ordinaria del rito romano in seguito alla riforma liturgica del 1970. La Chiesa Ortodossa commemora ancora entrambi gli eventi, uno il 14 settembre, rappresentando una delle dodici grandi festività dell’anno liturgico, e l’altro il 1º agosto nel quale si compie la Processione del venerabile Legno della Croce, giorno in cui le reliquie della Vera Croce furono trasportate per le strade di Costantinopoli per benedire la città.
In aggiunta alle celebrazioni nei giorni fissi, ci sono alcuni giorni delle festività mobili in cui viene fatto particolare ricordo della Santa Croce. La chiesa cattolica compie l’adorazione liturgica della Croce durante gli uffici del Venerdì Santo, mentre la chiesa ortodossa celebra un’ulteriore venerazione della Croce la terza domenica della Grande quaresima. In tutte le chiese greco-ortodosse, durante il Giovedì Santo, una copia della Croce viene portata in processione affinché la gente la possa venerare.
La festa dell’Esaltazione della Santa Croce viene celebrata con particolare solennità a Lucca, ma anche in molte altre città d’Italia dove si trovi una chiesa intitolata “Santa Croce”. È il caso della grande parrocchia di Borgo Santa Croce in Verona, che ogni anno tra la prima e la seconda settimana di settembre propone la tradizionale festa del borgo.

 Ad essa accennava nel 1895 il Gaetani nell’Appendice alla Trina Comunicazione, dove scrisse: “La festa, tutta popolare, all’infuori della celebrazione delle messe in chiesa, finisce con capannelle e con divertite in quelle vaste pianure e piccole vallate delle coste del maestoso monte Pecoraro e vi concorre la maggior parte degli abitanti.Ancorcé in giorno feriale, quasi nessuno degli operai maestri, zolfatai e contadini va al lavoro, per recarsi colla famiglia a godere di quel vasto orizzonte e del bel panorama che si presenta alla vista, nelle splendide giornate primaverili, mangiando e bevendo all’aperta campagna”.

Nel 1933 il dott. Salvatore Misuraca, che si dilettava di folklore locale, così scriveva: “…..Nella prima mattinata un nugolo di gente, famiglie intere di amici e di congiunti si recano sul posto o nelle immediate vicinanze; molti a semplice scopo di svago e di divertimento, pochi con spirito di vero culto religioso. Portano abiti nuovi e vesti variopinte e conducono appresso i ragazzi l’asinello carico di abbondanti cibarie e provviste. Dinanzi al sacrato molti rivenditori tengono esposta la loro merce che in conclusione è tutta roba mangereccia, frutta fresca e frutta secca, gazose, bibite alcoliche e dissetanti, mandorle, fave, ceci, arachidi, nocciole avellane abbrustolite, arance cedri, carciofi lessi, lattughe, dolciumi, vini di tutte le qualità e colori, ecc. Alle 9, preceduta dai tamburi, a piedi lungo tutto lo stradale, va la processione con a capo tutto il clero parato a festa con pianete, stole e manipole di un bel rossovermiglio, e il celebrante che porta il Santissimo sotto il baldacchino.
Giunta al santuario, si celebra la messa solenne e alla fine, dopo il canti dell’ “Ecce lignum Crucis” e la benedizione, la gente si affretta a sparpagliarsi per tutti gli angoli del sagrato e le campagne vicine. Allora, al suono dell organetto di barberia, di mandolino e chitarra, tutta la distesa del pianoro e l’aia delle cascine diventano una mensa e si distendon le cibarie, le fritture, le carni arrostite, i vini, la calia di semi di zucca e ceci abbrustoliti, i dolci, le frutta e le verdure, e si comincia con grande allegria l’asciolvere. .

Due artisti irpini a Firenze

Sabato 11 maggio “Ottopagine”
Due artisti irpini a Firenze di Paola Silano
Franca Molinaro ed Emilio De Roma al “Maggio Salesiano 2013” a Firenze

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Dopo il successo del secondo appuntamento con “Le Ricorrenze della Grande Madre”, a Teora, i due ideatori del Dipartimento di antropologia del CDPS, Franca Molinaro ed Emilio De Roma, onorano il nostro gruppo con la partecipazione ad una importante rassegna d’arte in quel di Firenze, unici irpini ad esser presenti alla mostra provenienti dal Sud, con l’artista napoletana Carmen Radassao.
Il “Maggio Salesiano” è alla sesta edizione. E’ nato in seno alla parrocchia salesiana “Sacra Famiglia” in onore dei festeggiamenti di Maria Ausiliatrice che ricorre il 24 maggio. Il Comitato Maggio Salesiano organizza una serie di manifestazioni che abbracciano diversi aspetti e coinvolgono tutta Via Gioberti, una omogenea comunità nel cuore di Firenze, quasi piccolo borgo. Nel programma rientrano tornei di calcio giovanile e pallavolo, proiezioni di film, presentazioni di libri, concerti, teatro in vernacolo fiorentino, conferenze e una rinomata mostra d’arte varia ( pittura, scultura, ceramica, fotografia). L’idea di inserire una mostra di arte nel ciclo di manifestazioni fu di Rino Radassao, un beneventano trasferito a Firenze circa quarant’anni fa, perfettamente inserito nello spirito e nella cultura fiorentina, membro attivo della comunità parrocchiale. Il primo anno fu coinvolta l’Associazione Tabula Picta, un rinomato gruppo di pittrici fiorentine di cui fa parte Adriana D’Argenio, moglie di Rino, beneventana ma fiorentina da 37 anni, scultrice, iconografa, esperta nell’antica tecnica della pittura ad uovo su tavola gessata. Adriana e Rino curano l’allestimento della mostra e del catalogo. Negli anni successivi alla mostra hanno partecipato artisti spagnoli, greci, giapponesi, americani e, naturalmente, toscani.
La manifestazione è sostenuta dalla Regione Toscana e patrocinata dal Comune di Firenze. Quest’anno la mostra è dedicata ai “Luoghi della fede”, sarà inaugurata il 17 maggio alle ore 19 presso il Salone Don Bosco del Centro Giovanile Salesiano.
Daranno il benvenuto il parroco della parrocchia don Adriano Moro, Amalia Ciardi Duprè madrina della mostra, nota scultrice fiorentina, riconosciuta a livello internazionale per le sue opere cariche di sentimento e simbolismo; Eugenio Giani Presidente del Consiglio Comunale di Firenze costantemente presente là dove si fa cultura, Gianluca Paolucci Presidente Consiglio Quartiere 2, Marco Carraresi Consigliere Regionale della Toscana. Interverranno, Mons. Claudio Maniago Vescovo Ausiliare di Firenze, Donato Massaro, critico d’Arte. Esporranno gli artisti: Alessandro Bianchini, Mauro Castellani, Filippo Cianfanelli, Carla Croci, Angela Crucitti, Adriana D’Argenio, Emilio De Roma, Mimma Di Stefano, Mara Faggioli, Anna Maria Fornaciari, Paola Gabbanini, Angela Giuliani Perugi, Maria Luisa Manzini, Duccio Materozzi, Marisa Miriello, Franca Molinaro, Margherita Oggiana, Elisabetta Paci, Maria Luisa Pedone, Josefa Plius Gotos, Carmen Radassao, Pier Nicola Ricciardelli, Renzo Sbraci, Rosa Scrudato, Alessia Spadi, Gabriella Tatini, Carlo Tesori, Silvia Vinci, Paraskevi Zerva.
La Molinaro, le cui opere sono presenti in Italia e all’estero, già scultrice del monumento ai caduti per il tribunale di Rimini, stavolta si presenta con una pittura innovativa fatta solo di colore e luce: per lei il luogo della fede è l’animo dell’artista in cui brucia eterna la fiamma creativa alimentata dal fuoco dell’amore universale. È una pittura materica di olio lavorato a spatola, adottando i soli tre colori primari la cui amalgama genera migliaia di riflessi cromatici.
De Roma, veterano della pittura e della scultura, presente nel panorama artistico fiorentino negli anni dell’Accademia, si presenta con un acrilico dai toni luminosi. La sua pittura simbolista rimanda ai luoghi di un’anima sempre in cerca di un punto, tra finito e infinito, dove lo spirito può sfiorare il tanto anelato contatto con l’Eterno. Per entrambi, si tratta di una fede fatta di continua ricerca del contatto con l’Assoluto, di domanda e di attesa, di dialogo, nel profondo, con l’Entità che genera Amore, e che sostiene gli artisti quando ripetono l’esperienza creativa originaria.

Un sacro pellegrinaggio alla Santa Croce

Grande Madre – Ottopagine, sabato 4 maggio

Prosegue il ciclo dedicato alla valorizzazione e alla riscoperta delle feste religiose dal sapore agreste – di Franca Molinaro

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Con l’appuntamento di Teora siamo alla seconda “Ricorrenza della Grande Madre”, ciclo di manifestazioni dedicate alla riscoperta e valorizzazione delle feste religiose dal sapore agreste. Siamo partiti a gennaio con i fuochi di Sant’Antonio Abate a Castelfranci, altro comune che ha aderito al progetto del Dipartimento di Antropologia del CDPS, insieme a “Agenzia di promozione del territorio Irpinia Turismo”, il comune di Prata PU, Bonito e Teora dove, domani, valorizzeremo il pellegrinaggio alla Santa Croce, la chiesetta di campagna ai confini del comune di Lioni. L’intento del progetto è quello di riprendere le tradizioni sacre legate alla terra, riviverle e raccogliere testimonianze per capire come erano svolte e comprenderne appieno la valenza sacra e sociale. Quella della Santa Croce è una tradizione antica che, Teoresi e Lionesi, cercano di mantenere in vita. I pellegrini partivano dai paesi e dalle contrade, recando il cesto per il bivacco, attraversavano boschi, valli, si fermavano per ristorarsi a qualche fontana, poi proseguivano per viottoli interpoderali fino alla chiesetta posta su un poggio, vedetta tra la Valle del Sele e la Valle dell’Ofanto, in località Serra dei Mortai. Oggi la chiesetta è una ricostruzione post terremoto ma è lecito pensare che l’antica struttura fosse qualche rudere tra i fabbricati rurali.
Come in tutti i pellegrinaggi, anche qui i fedeli arrivavano in orario per la messa e, una volta assolto all’impegno religioso, con la coscienza serena, si accampavano tra le margherite e l’erba tenera per consumare cibo e vino. Come da buona tradizione teorese, non mancava qualche strumento musicale e i balli tradizionali occasione di nuovi approcci amorosi per i giovani e puro divertimento per gli altri. Era questa una festa di primavera, come le tante dedicate alla Madonna, da Anzano, la Madonna dei quattro paesi ad Andretta, la Stella Mattutina, l’Incoronata di Foggia, feste che celebravano la rinascita della natura e la Madonna come madre universale, Grande Madre che sostituisce a pieno titolo le antiche madri mediterranee. La festa della Santa Croce ricorda la restituzione, il 3 maggio 628, della croce di Gesù, da parte dei Persiani che l’avevano trafugata nel 614 dopo la conquista di Gerusalemme. La festa ebbe consenso presso la gente dei campi perché cadeva in un periodo dell’anno molto delicato, il momento in cui la spiga del grano spunta dalle foglie e inturgidisce. Le croci erano portate in processione per i campi in modo da propiziare e benedire il raccolto. Inoltre si costruivano croci di canna da piantare tra le messi a protezione delle colture. A questa ricorrenza è legato l’albero del noce ed i suoi frutti, i contadini, il giorno della Santa Croce, cingevano i tronchi dei noci di corde fatte di culmi di grano e avena fatua. Sembra che questo rito proteggesse i frutti dalle larve. Altro proverbio legato agreste, legato alle noci, riguarda la Croce di settembre, quando i frutti sono prossimi all’abbacchiatura: Santa Croce pane e noci. In tutte le culture esiste un albero Cosmico, dall’Oriente all’Occidente, protagonisti i grandi alberi della flora locale che, con le loro dimensioni, suggerivano una congiunzione tra la terra e il cielo. Tali alberi, col cristianesimo, modificano la loro simbologia, diventano l’albero della Croce. La croce, dunque, si ripropone come albero cosmico, elemento di congiunzione tra cielo e terra, tra le due sfere: umano e divino. È possibile, dunque, ipotizzare che sulle antiche floralia romane si siano innestate le influenze celtiche con l’adorazione degli alberi e che la Chiesa, come è sempre accaduto nel corso dei secoli, abbia tradotto agevolmente la fede naturale dei popoli pagani, trasformandola nei complessi dogmi del cristianesimo.
Il programma di domani prevede la partenza da Teora alle ore nove, il pellegrinaggio a piedi attraverso antichi sentieri, la messa alle undici, la colazione a sacco da consumare rigorosamente sull’erba, da condividere con il gruppo, intrattenimento musicale con balli e canti dell’Alta Irpinia. Alle ore diciassette convegno con il saluto del sindaco di Teora Stefano Farina e del parroco don Pasquale Rosamilia, considerazioni sul valore sociale e terapeutico dei pellegrinaggi, dell’etnomusicologo Valerio Ricciardelli, relazione storica sulle feste primaverili precristiane del professore Paolo Saggese, indagine sui costumi locali di Gerardo Lardieri referente per il progetto, ed Emidio De Rogatis ricercatore delle tradizioni teoresi, il tutto coordinato e moderato da chi scrive.

Grande Madre – A lezione in Comune di gemmoterapia

Grande Madre – A lezione in Comune di gemmoterapia
Sabato 27 aprile 2013 “Ottopagine” franca molinaro

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Domani, 28 aprile, Il Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, il Dipartimento di Antropologia e il Comune di Bonito, presso la sala consiliare, ore 18, presentano: “Lezione di Gemmoterapia” della dottoressa Giuseppina Buscaino. Interverranno: Antonio Zullo sindaco di Bonito, Paolo Saggese direttore CDPS, Floriana Mastandrea giornalista, Erminia Barbieri, Giuseppina Buscaino erborista. Coordina e modera Franca Molinaro direttrice Dipartimento di Antropologia del CDPS.

Il prossimo appuntamento del Dipartimento di Antropologia del CDPS è dedicato alla gemmoterapia, una branca della fitoterapia che utilizza le gemme e le radici delle piante. Il Dipartimento diretto da chi scrive, con il sostegno costante di figure autorevoli quali Paolo Saggese, Nunzio Lucarelli, Emilio De Roma, Aldo Grieco, Paola Silano, Erminia Barbieri, Gerardo Lardieri, è sensibile a tutto quanto è in linea con la natura e l’uomo, la sua storia, le sue tradizioni, le cure e l’alimentazione, il tutto inscritto in una visione olistica che pone l’essere in simbiosi col cosmo. Per questo ho assecondato immediatamente il desiderio dell’erborista Giuseppina Buscaino, di voler illustrare un argomento così poco noto e inconsueto. Intanto anticipiamo ai lettori qualche nozione.
Negli anni ‘50, il medico belga Poi Henrysi si dedicò, per primo, allo studio e alla sperimentazione dei gemmoderivati. Egli riteneva che le piante, nel loro primo sviluppo, contenessero sostanze con caratteristiche particolari sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.

In seguito, gli studi del luminare belga sono stati approfonditi da studiosi francesi fra i quali Martin, Paqualet, Netien, Tetau e Bergeret, costoro hanno sperimentato clinicamente gli effetti di queste cure alternative. In particolare, al professore Netien dell’Università di Lione, si devono i severi controlli di laboratorio sui gemmoderivati e l’indagine per la ricerca e il dosaggio di alcuni principi attivi. Dalla ricerca è emerso che, nelle piante adulte sono presenti solo in minima parte alcuni principi attivi mentre si ritrovano concentrati nelle parti allo stato embrionale. In tal proposito, uno studio molto interessante è stato eseguito sulle gemme di Ribes col quale si è dimostrata la diversa composizione quali-quantitativa delle gemme rispetto alle foglie della pianta adulta.

Si è infatti riscontrato che le gemme sono molto più ricche in aminoacidi, vitamina C ed eterosidi (antocianosidi e flavonoidi) per cui è stato possibile formulare delle ipotesi sulla attività terapeutica del gemmoderivato. I gemmoderivati si ottengono dalle parti vegetali, raccolte nel loro tempo balsamico, che di solito coincide con l’inizio della primavera. Queste parti sono sottoposte alla ripulitura immediata, alla triturazione, alla determinazione del grado di umidità ed infine alla macerazione. Dopo un lungo e delicato processo di macerazione, decantazione e filtraggio si ottiene il Macerato Glicerico (M.G.) di base dal quale con opportuna diluizione si otterrà il prodotto pronto per l’uso. La diluizione richiesta per i gemmoderivati è alla prima decimale hahnemaniana 1DH: ciò sta ad indicare che una parte del preparato di base viene diluita con 9 parti di una miscela contenente 50 parti di glicerina, 30 parti di alcool e 20 parti di acqua. L’impiego dei gemmoderivati è tenuto in particolare considerazione nella pratica medica fitoterapica ed omeopatica; spesso viene sfruttata l’azione “drenante” dei macerati glicerici come preparazione o complemento di terapie omeopatiche. L’azione di piante come il tarassaco, la bardana, il Lepidium, anticamente e comunemente conosciute per le loro proprietà drenanti quindi depurative, è moltiplicata dai gemmoderivati. In gran considerazione si hanno le radici di Althaea officinalis, da sempre conosciuta per le sue proprietà emollienti, che aiutano a combattere le infiammazioni connesse alla tosse secca e alla bronchite oltre alla stitichezza e abrasioni della pelle.

Noto anche l’Anice verde (Pimpinella anisum) i cui semi leniscono la tosse e supportano la digestione. La corteccia e i semi dell’Ippocastano (Aesculus hippocastanum) sono utilizzati per porre rimedio ai problemi circolatori e di coagulazione sanguigna. È riconosciuta alla corteccia dell’Olmo (Ulmus campestris) la capacità di curare scottature e piccole ferite, i nostri contadini la usavano durante la mietitura quando si ferivano con la falce. I semi di Rapunzia (Oenothera biennis) si mostrano un’ottima soluzione per ridurre il colesterolo e la pressione del sangue, le radici di Eupatorium cannabinum combattono i parassiti intestinali e sono altamente diuretici. Le radici di Enula Campana (Inula helenium) sono usate per la cura della pelle e in casi di influenza. I semi di Psillio (Plantago psyllium) sono impiegati per combattere la stipsi. Questo e tanto altro c’è da scoprire imparando a conoscere la Natura.

Interventi: Sindaco di Bonito Antonio Zullo
Floriana Mastandrea giornalista scrittrice
Giuseppina Buscaino erborista
Coordina e modera Franca Molinaro dirett. Dip. Antr. CDPS