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Monthly Archives: May 2023

Le Maggiaiole di Sant’Andrea di Conza, Donato Cassese

LE MAGGIAIOLE, SANT’ANDREA DI CONZA (AV), Sabato 27 maggio 2023

Sant’Andrea di Conza, le cui origini risalgono all’alto medioevo, è un piccolo paese situato nella valle dell’Ofanto, sul contrafforte che divide la Campania dalla Basilicata.

Qui, sabato 27, si è rinnovata la festa della “Maggiaiole”, che affonda le sue radici in antiche feste del mese di maggio, anche se in tono minore. Esse sono giovanette, “pellegrine d’amore”, che in primavera vanno ad implorare la vergine per ottenere la grazia di trovare un buon fidanzato, poi marito, come premio alle loro virtù.

Con l’annuale pellegrinaggio al Santuario mariano, le pie ragazze di Sant’Andrea perpetuano un rito penitenziale, tramandato oralmente da un antica leggenda. Si racconta che la Madonna nottetempo e all’insaputa di tutti, sia scappata da Sant’Andrea per rifugiarsi nella Chiesa di Conza, città sede dell’omonima archidiocesi metropolitana. Riportata, con le buone e con la forza, a Sant’Andrea, la “Divina fuggitiva” sarebbe nuovamente approdata a Conza. Al secondo invito dei Santandreani a far ritorno “in patria”, la Madonna avrebbe così sentenziato:

“Ho stabilito di rimanere in questo tempio metropolitano e di volere che le ragazze di Sant’Andrea vengano qui ogni anno l’ultimo sabato di maggio. Verranno le mie predilette col capo coperto da un bianco fazzoletto sul quale appunteranno una corona fatta con rametti e acini di uva spina. Se con tutti i Santandreani sarò ancora e sempre “Madre di grazie” alle “verginelle” pellegrine farò la speciale grazia di far trovare un buon compagno per la vita”.

Il pellegrinaggio si ripete, da tempo immemorabile, nel rispetto dell’antico “patto”.

Fino al sisma del 1980, si teneva nell’antica Cattedrale, sita sulla “sacra” collina di Conza <ora parco archeologico>, ma, nonostante tutti gli eventi calamitosi, con il loro dolore e i loro lutti, il “sacro accordo” non e mai stato spezzato. Quindi, di buon mattino, verso le 9:00, le ragazze si sono riunite nella Chiesa Madre di Sant’Andrea di Conza.

La statua della Madonna del Rosario scortata dalle mamme, dai giovani, dal sindaco, dai carabinieri e dal parroco del paese  ha accompagnato il corteo fino alla periferia di Sant’Andrea, dove, nella Chiesa del Purgatorio, è rimasta in attesa del ritorno delle  ragazze da Conza della Campania, paese distante solo 4 chilometri.

Lungo la strada, le maggiaiole e le loro mamme hanno rievocato, con i loro canti, la storia della fuga e le promesse reciprocamente scambiate in un lontano giorno e annualmente rinverdite.

Alla periferia della ricostruita metropoli dell’Alta Irpinia, il pellegrinaggio è stato accolto con fraterna amicizia e festosa allegria; i Sindaci dei due Comuni, Gerardo Pompeo D’Angola e Raffaele Cantarella, e i Parroci, Mons. Donato Cassese e Don Piercarlo Donatiello, dopo lo scambio rispettivamente della fascia tricolore e della stola sacerdotale, in comunione di sentimenti e di civiltà, si sono recati, in processione, alla Cattedrale, santuario della Gaggia dove, durante la Santa Messa, l’arcivescovo Mons. Pasquale Cascio ha benedetto le fanciulle, augurando loro una felice unione, così come vuole la tradizione. Alla fine della funzione religiosa, l’arcivescovo ha evidenziato l’importanza di questa tradizione e ha invitato a recarsi presso la statua della Madonna il più anziano dei presenti, una donna ultracentenaria di Sant’Andrea di Conza, e il più giovane, una ragazza di due anni di Conza della Campania.

Il corteo si è ricomposto verso le 17:00 all’ingresso di Sant’Andrea, dove la Madonna del Rosario era rimasta ad attenderlo, e ha fatto ritorno nella Chiesa Madre.

Maggio Salesiano 2023- Firenze

Arte tra cielo e terra. (Franca Molinaro)
Anche quest’anno si è rinnovato l’appuntamento con l’arte per i Salesiani di Firenze, un appuntamento giunto ormai alla tredicesima edizione grazie all’impegno dei coniugi Radassao e D’Argenio. Il Maggio Salesiano è un mese di eventi tra arte, cultura, fede, organizzati dalla Parrocchia della Sacra Famiglia in Via Gioberti, nello storico istituto dell’Opera Salesiana. Dal 4 al 30 maggio si susseguono gli incontri con autori, artisti, giornalisti, uomini di fede. Non manca la notte bianca per il 25 cm, in cui restano aperte le botteghe, la strada si anima con giochi, musica e cena all’aperto. La mostra di pittura, allestita nei locali della libreria Gioberti, è aperta per tutto il mese. Gli artisti provengono soprattutto dalla Toscana ma non mancano altre regioni. Anche le tecniche sono diverse, vanno dalla terracotta all’olio su tela, l’acquerello, l’acrilico, il legno scolpito, la terracotta. Ogni anno i redattori della mostra propongono un tema ampio da poter spaziare agevolmente tra i soggetti, ma profondo, tanto da toccare le corde più intime dell’anima. Quest’anno il tema è “Arte, tra cielo e terra”, arte come collegamento tra materiale e spirituale, tra divino e umano, così ognuno ha colto quanto la sua sensibilità ha evocato, rendendo in materia cromatica o plastica la propria idea di congiunzione degli elementi, dato che, come scrive Don Andrea Marianelli, i due elementi non vanno contrapposti “poiché l’uno illumina l’altro”. Giovanni Serafini, giovane ma esperto Storico dell’Arte, vede nelle opere di questa mostra, preghiere che l’artista eleva al Signore, egli compie una sorta di ri-creazione dell’atto primordiale. Il titolo di Madrina della mostra è toccato a una grande donna del panorama culturale fiorentino, l’artista Mara Faggioli, fine pittrice, scultrice e poetessa, presente con la sua scultura in refrattario bianco “Solidarietà”.
Ed ora vediamo i partecipanti. Roberta Caprai presenta due opere ad olio su tela, dedicate alla natura, un Carpobrotus al balcone ed una marina al tramonto, ricordando che la bellezza è infinita tra le creature di Madre Terra.
Mauro Castellani si spinge oltre la materia che trasmuta se ad animarla è il figlio di Dio, così dipinge il trittico “La crocifissione in terra e il suo riflesso in cielo”.
Filippo Cianfanelli si presenta con due opere che riassumono la sua capacità di spaziare da una materia all’altra ottenendo sempre ottimi risultati. I “Papaveri” su tela mostrano l’abilità di maneggiare i colori in modo estemporaneo e pulito, mentre la ceramica su legno “Polvere di stelle” sottolinea la sua versatilità.
Per Carla Croci è l’icona bizantina che loda il valore della famiglia tra “Paternità” e “Annunciazione”, nell’antico solco della pittura preghiera dove la materia terra grava nei toni scuri mentre il cielo tramuta in oro, luce divina.
Adriana D’Argenio, sfruttando l’antica tecnica della tempera ad uovo reinventa i soggetti e li pone “Tra cielo e terra”, romantica  memoria di Friedrich, l’uomo che si misura con l’infinito,  o l’infuocata atmosfera dell’”Annunciazione” in cui la vergine costituisce il punto di incontro tra la materia e lo spirito.
Regina de Leon è una pittrice filippina residente a Firenze, propone, attraverso le sue due opere, i due stati del Cristo, il terreno “Questo è il mio corpo”, con la sua offerta simbolica che annuncia la transustanziazione, e il Cristo Re “Fedele e Veritiero”, condottiero delle milizie celesti.
Catia Funai presenta due acquerelli di eccellente fattura, in un’atmosfera vaporosa che confonde la solidità della terra e l’inconsistenza del cielo, “Neve”. In “Papaveri”, il rosso caldo dei fiori sposa il blu freddo e plumbeo del cielo grazie a una luce sapiente che giunge da un orizzonte lontano e indefinito.
Chiara Giannoni interpreta il tema attraverso due immagini fotografiche “Ostacoli” e “Yakamoz”, la prima è una rete che imbriglia lo spirito e lo trattiene, la seconda è la risoluzione del problema, l’anima libera può elevarsi ed espandersi, compenetrare l’immensità offerta dal cielo e dal mare, nei bagliori della luna. 
Carlo Gioia, ben noto per la sua ricerca affannosa del simbolo, dell’esoterico, della verità celata tra pieghe di reminiscenza e comuni archetipi, presenta “Senex”, il viandante che persegue la sua meta sostenuto da un bastone, e “Caino”, l’uomo che ha caricato su di sé la responsabilità dell’intera umanità.
Angela Giuliani Perugi è presidentessa di “Tabula Picta”, la scuola che recupera l’antica tecnica della tempera grassa. Presenta due opere, “Autunno 2022” in cui la bellezza del paesaggio, l’armonia dei colori, la tranquillità emanata dai due asinelli in primo piano, testimoniano la serenità della sua anima. La stessa quiete si legge in “Autoritratto”, nello sguardo, nel sorriso, nella luce calda del suo studio.
Maria Luisa Manzini propone due paesaggi addolciti dagli ulivi dei poggi toscani, “Luce” e “Silenzio”. I colori sono freddi e la tecnica, seppur olio su tela, rimanda all’acquerello, un morbido stemperarsi di toni distesi che invitano l’anima alla riflessione, all’introspezione.
Elena Migliorini presenta due oli su tela, “Nuovo tribunale” è l’imponente costruzione del Tribunale di Giustizia di Novoli, una struttura moderna che si staglia contro il cielo; “Pensieri” è una coppia stesa sul prato tra terra e cielo.
Elisabetta Paci dipinge un grazioso quadretto “Lo scoiattolo” il simpatico animaletto che trascorre la vita sospeso tra cielo e terra. “Ramo di ciliegio in vaso” è un olio di squisita fattura fiamminga dove fiori e vaso si illuminano di una morbida luce capace di rendere tutta la bellezza della composizione.
Maria Luisa Pedone omaggia tre amiche con i suoi ritratti: “Adriana”, “Elisabetta”, “Carla”, scegliendo l’antica tecnica della tempera ad uovo su tela.
Carmen Radassao attraverso le foto digitali “Inno alla vita” ricorda che la bellezza è anche su questa terra se la si sa guardare, nei tramonti, nelle foglie di banano, nelle piccole cose di Madre Natura.
Pier Nicola Ricciardelli dimostra come ogni tecnica può dare ottimi risultati avendone padronanza, in questo caso i ritratti a pastello colgono la briosa espressione di una fanciulla “Tra cielo e terra il sorriso di una bimba può essere arte” e il volto pensieroso di una donna “Dalla terra al cielo”.
Angelo Rizzone propone due marine, “Ischia (Cielo di pioggia verso il sereno) dove i fotogrammi illustrano il divenire del tempo atmosferico; “Orizzonte” è la linea che unisce cielo e terra regalando all’uomo e alle altre creature del pianeta, la vita.
Marina Rotriquenz presenta una tecnica mista di acquerelli e pastelli “La Neve” capace di creare un’atmosfera irreale, così come “Tra terra, cielo e acqua”, i giochi cromatici rimandano a una dimensione onirica, fluttuante tra i tre elementi.
Infine, la mia opera, “Tra cielo e terra, l’albero cosmico”, bassorilievo su multistrato a pirografo e mordente. L’albero è uno dei più importanti mitologemi universalmente riconosciuti. Le sue radici nel suolo profondo e i rami svettanti nell’azzurro del cielo sono visibilmente il collegamento tra cielo e terra. L’umanità tutta, nei quattro angoli del pianeta, lo ha eletto ad asse del mondo, una forza strutturale che sta al centro dell’Universo e mette in comunicazione l’alto e il basso, il mondo materiale e spirituale.
Infine, il catalogo della mostra in copertina porta un dipinto di Usayk Andrey “La mia Ucraina”, un campo di grano ed una mulattiera che termina all’orizzonte, una speranza per il futuro. Sicuramente l’Ucraina che vorremmo tutti, senza guerre fratricide, senza invasori e invasati, ma una terra dove ancora può crescere il grano e maturare tranquillo sotto l’azzurro del cielo per confermare i colori della bandiera.

Daniela Di Bartolo e la violacciocca di Melito

    franca molinaro
In questi giorni mi ha raggiunto una collega raccoglitrice proveniente dall’Abruzzo, una sorella potrei dire vista la corrispondenza spirituale, l’affinità di anime. Non poteva mancare una visita alla Mefite per presentarle la nostra Genista anxantica e farle fare un’immersione rigeneratrice tra gli effluvi del luogo. Daniela Di Bartolo è una donna che vive secondo natura, rispettando ogni filo d’erba, ascoltando ogni alito, ogni vibrazione, insegna questo suo sapere a chi è interessato ed è riuscita a creare una rete internazionale cui si affiliano coloro che credono nella filosofia della Grande Madre. È venuta in Irpinia invitata a portare la sua testimonianza e l’ultimo suo scritto: Res naturae, di erbe selvatiche magie e ben essere, Edizioni Ester. Così tra una presentazione e una passeggiata di riconoscimento ha avuto modo di esser mia ospite. Non capita tutti i giorni di incontrare anime affini e quando succede è un arricchimento garantito, così, un po’ per desiderio di migliorare le mie conoscenze, un po’ per passare qualche altra ora con lei, una domenica pomeriggio, con Benito siamo andati a Melito Irpino per partecipare a uno dei suoi eventi organizzato dalla Trattoria Di Pietro. Il pomeriggio sarebbe passato tra i campi, e un aperitivo per continuare a disquisire delle entità vegetali incontrate. Mai avrei immaginato che saremmo scesi al castello diroccato, sulla riva destra del fiume Ufita. E invece Decio ci ha condotto proprio là, in quel luogo magnifico scordato dall’uomo e dal tempo dove, anni fa, per la prima volta, incontrai Matthiola incana spontanea. Il castello medievale resiste ancora all’aggressione della natura che inevitabilmente riconquista i suoi spazi. Anche la chiesa, nel timpano porta ancora la dedica a Maria Addolorata. Ma le crepe nei muri, ricordo del terremoto del Sessantadue, si allargano sempre più e, per sicurezza, il comune lo ha recintato. Non so se è meglio che questo luogo resti così o se sarebbe opportuno un buon restauro in vista dell’arrivo dell’Alta Velocità. La stazione, in questa magnifica valle è sicuramente opportunità di sviluppo per i paesi limitrofi ma è anche invasione di uno spazio selvaggio, poco antropizzato e quasi pulito dove la biodiversità può essere ancora riscontrata da chi vi si spinge ad erborizzare. Così, con l’emozione dei bambini che vanno a fare la passeggiata con la maestra, ci incamminiamo tra il verde; nel gruppo c’è Jacopo, un ragazzo di Fontanarosa, mi attrae per un magnifico cestino che porta con sé, una sezione di sfera realizzata con fusti di Clematis vitalba, un modello mai visto che il ragazzo ha appreso da un anziano del suo paese. Strada facendo penso che non potrò vedere la violacciocca fiorita dato che è ancora marzo, ma arrivata sul luogo la individuo immediatamente sul muro scalcinato della torre, è una macchia violetta che scolora nel pulviscolo del tramonto. Daniela decide che dobbiamo onorarla e visitarla per prima ma non possiamo raggiungerla da quel lato così ci attardiamo disquisendo delle erbe che incontriamo suscitando l’attenzione del gruppo. Lei racconta le sue esperienze e quelle degli avi, le piante sono delle amiche di cui ricordi il luogo dove le hai conosciute la prima volta, ne sai il carattere e i loro tempi biologici, soprattutto sono sorelle da cui si può ottenere tanto ma vanno rispettate. Daniela insegna tutto questo prima di pronunciare un complicato nome scientifico. Abbandono il gruppo sgattaiolando tra la barriera di accesso al castello e mi inoltro tra la vegetazione ruderale, la violacciocca è ovunque sulle mura, ma sul lato a Sud è molto più bella,  crea un miracoloso giardino verticale reso magico dalla pietra delle mura stonacate. Dietro di lei il cielo e la valle lontana col suo silenzio rotto solo da qualche fuoristrada. Raccolgo qualche seme dello scorso anno nella speranza di moltiplicarla nel mio giardino ma con poca probabilità perché le silique aperte mostrano solo semi vuoti, quelli fertili hanno già messo radici tra le fessure e nel pietrame fertilizzato dall’azoto delle deiezioni degli uccelli. È un’emozione indescrivibile vederla così florida, così vigorosa nel fogliame verde scuro e vellutata nei fiori, il profumo si diffonde intorno e attrae le api ronzanti e ubriache di nettare. Più in là, una piccola Ophrys difficile da identificare, si salva dai passi incauti, è così piccola che nessuno la nota e il fiore brunito, con il suo specchio riflettente fa pensare a un piccolo calabrone. Ci fermiamo ad osservarla commosse, non si finisce mai di scoprire, è una Ophrys passionis Sennen ex Devillers-Tersch. & Deviller scopro poi studiando.