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Daniela Di Bartolo e la violacciocca di Melito

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    franca molinaro
In questi giorni mi ha raggiunto una collega raccoglitrice proveniente dall’Abruzzo, una sorella potrei dire vista la corrispondenza spirituale, l’affinità di anime. Non poteva mancare una visita alla Mefite per presentarle la nostra Genista anxantica e farle fare un’immersione rigeneratrice tra gli effluvi del luogo. Daniela Di Bartolo è una donna che vive secondo natura, rispettando ogni filo d’erba, ascoltando ogni alito, ogni vibrazione, insegna questo suo sapere a chi è interessato ed è riuscita a creare una rete internazionale cui si affiliano coloro che credono nella filosofia della Grande Madre. È venuta in Irpinia invitata a portare la sua testimonianza e l’ultimo suo scritto: Res naturae, di erbe selvatiche magie e ben essere, Edizioni Ester. Così tra una presentazione e una passeggiata di riconoscimento ha avuto modo di esser mia ospite. Non capita tutti i giorni di incontrare anime affini e quando succede è un arricchimento garantito, così, un po’ per desiderio di migliorare le mie conoscenze, un po’ per passare qualche altra ora con lei, una domenica pomeriggio, con Benito siamo andati a Melito Irpino per partecipare a uno dei suoi eventi organizzato dalla Trattoria Di Pietro. Il pomeriggio sarebbe passato tra i campi, e un aperitivo per continuare a disquisire delle entità vegetali incontrate. Mai avrei immaginato che saremmo scesi al castello diroccato, sulla riva destra del fiume Ufita. E invece Decio ci ha condotto proprio là, in quel luogo magnifico scordato dall’uomo e dal tempo dove, anni fa, per la prima volta, incontrai Matthiola incana spontanea. Il castello medievale resiste ancora all’aggressione della natura che inevitabilmente riconquista i suoi spazi. Anche la chiesa, nel timpano porta ancora la dedica a Maria Addolorata. Ma le crepe nei muri, ricordo del terremoto del Sessantadue, si allargano sempre più e, per sicurezza, il comune lo ha recintato. Non so se è meglio che questo luogo resti così o se sarebbe opportuno un buon restauro in vista dell’arrivo dell’Alta Velocità. La stazione, in questa magnifica valle è sicuramente opportunità di sviluppo per i paesi limitrofi ma è anche invasione di uno spazio selvaggio, poco antropizzato e quasi pulito dove la biodiversità può essere ancora riscontrata da chi vi si spinge ad erborizzare. Così, con l’emozione dei bambini che vanno a fare la passeggiata con la maestra, ci incamminiamo tra il verde; nel gruppo c’è Jacopo, un ragazzo di Fontanarosa, mi attrae per un magnifico cestino che porta con sé, una sezione di sfera realizzata con fusti di Clematis vitalba, un modello mai visto che il ragazzo ha appreso da un anziano del suo paese. Strada facendo penso che non potrò vedere la violacciocca fiorita dato che è ancora marzo, ma arrivata sul luogo la individuo immediatamente sul muro scalcinato della torre, è una macchia violetta che scolora nel pulviscolo del tramonto. Daniela decide che dobbiamo onorarla e visitarla per prima ma non possiamo raggiungerla da quel lato così ci attardiamo disquisendo delle erbe che incontriamo suscitando l’attenzione del gruppo. Lei racconta le sue esperienze e quelle degli avi, le piante sono delle amiche di cui ricordi il luogo dove le hai conosciute la prima volta, ne sai il carattere e i loro tempi biologici, soprattutto sono sorelle da cui si può ottenere tanto ma vanno rispettate. Daniela insegna tutto questo prima di pronunciare un complicato nome scientifico. Abbandono il gruppo sgattaiolando tra la barriera di accesso al castello e mi inoltro tra la vegetazione ruderale, la violacciocca è ovunque sulle mura, ma sul lato a Sud è molto più bella,  crea un miracoloso giardino verticale reso magico dalla pietra delle mura stonacate. Dietro di lei il cielo e la valle lontana col suo silenzio rotto solo da qualche fuoristrada. Raccolgo qualche seme dello scorso anno nella speranza di moltiplicarla nel mio giardino ma con poca probabilità perché le silique aperte mostrano solo semi vuoti, quelli fertili hanno già messo radici tra le fessure e nel pietrame fertilizzato dall’azoto delle deiezioni degli uccelli. È un’emozione indescrivibile vederla così florida, così vigorosa nel fogliame verde scuro e vellutata nei fiori, il profumo si diffonde intorno e attrae le api ronzanti e ubriache di nettare. Più in là, una piccola Ophrys difficile da identificare, si salva dai passi incauti, è così piccola che nessuno la nota e il fiore brunito, con il suo specchio riflettente fa pensare a un piccolo calabrone. Ci fermiamo ad osservarla commosse, non si finisce mai di scoprire, è una Ophrys passionis Sennen ex Devillers-Tersch. & Deviller scopro poi studiando.


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