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Il dono, di Margherita Tirelli

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    IL DONO

Nottetempo si chinò per sollevare il coperchio della madia e, con la solita premura, esaminò a lungo il morbido impasto lievitato. Gli occhi di nonna Francesca , di un azzurro chiaro, si rischiararono ancora di più  e, tra la folla dei pensieri, si riservò un accenno di benedizione sul prezioso composto sfiorandolo con le mani che sapevano di terra. Concluse il rituale con un fugace segno di croce. Sarebbe diventato il pane dei giorni a venire.                                              
Ora che la giusta luce dell’alba rischiarava il cielo, bisognava dar conto al tempo che non doveva mai essere perso. Il seguito di quel lavoro era affidato a Stella, la primogenita appena adolescente, garante del forno a legna e della buona riuscita del pane. Quella mattina, seppure infreddoliti e ancora assonnati, Matilde ed Ernesto,i due fratelli più piccoli, erano già in piedi e operosi; anch’essi ,investiti della responsabilità dei piccoli cesti con il lievitato, seguivano le istruzioni della sorella maggiore senza batter ciglio. Erano entrambi vicini di età e di temperamento e si sentivano accomunati da un forte legame di complicità.                             
Mentre gli adulti erano già nei campi, le porzioni di impasto venivano infornate e trasformate in pane; capienti canestri di salice accoglievano infine tutta quella grazia di Dio. Ma il rito finale, la cottura dei morzelletti,era la tacita aspettativa del piccolo Ernesto, una indiscutibile consuetudine piacevolmente contemplata anche dalle sorelle. Con vigore e con sapiente abilità Stella accelerava il ritmo dei movimenti sfornando e dispensando  biscotti che, ancora caldi, venivano delicatamente adagiati nella cesta dai due piccoli assistenti. E anche questa volta Ernesto riuscì a eludere gli occhi vigili della maggiore per assolvere al suo consueto e rischioso compito: con incosciente spontaneità racchiuse tra le mani i lembi estremi della sua maglia per assicurarne uno spazio concavo e, con lodevole destrezza, vi depose una dozzina di biscotti sottratti al cesto, mentre Stella era voltata verso il forno per pochi istanti. Sentì su di sé lo sguardo di disapprovazione  di Matilde  ma non se ne curò: come risposta le lanciò un innocente e rapido cenno scherzoso con gli occhi e pose l’indice sulle labbra,invitandola al silenzio. Nessuno più di Matilde riusciva a scavare nei pensieri nascosti del fratello. In un lampo Ernesto si dileguò dietro l’angolo dell’orto e scese di corsa lungo la mulattiera. Stavolta Matilde, seria e determinata, decise di seguire il piccolo ladro, con andatura spedita e cauta. Glielo imponeva la sua coscienza e non avrebbe tollerato ancora una volta quel furto inspiegabile; ormai disapprovazione e collera non conoscevano argini alla sua pazienza e comprensione. Sapeva che sarebbe stato difficile ristabilire quella fiducia che determinava l’essenza del loro legame fraterno, ma nonostante l’intenzione di fermarlo e di affrontarlo, volle dar conto al suo intuito e, con insolita fermezza, continuò la sua corsa a giusta distanza. Lo seguì con lo sguardo : Ernesto continuava a correre e a tenersi goffamente in equilibrio per via del dolce fardello che reggeva nella maglietta; si dirigeva verso ” Verdecaro”, il terreno di  famiglia, e con un salto scavalcò il bordo fatto di pietre e attraversò il morbido manto di erba alta che portava al piccolo tratturo e ai campi arati . Laggiù,tra i frutteti, sua madre e suo padre stavano lavorando. Matilde si fermò sul bordo in pietra e tirò il fiato. Pensò che di certo la corsa del fratello si sarebbe conclusa lì, tra l’erba alta dove, ben nascosto, avrebbe gustato, indisturbato, quei deliziosi biscotti. Lo seguì con lo sguardo e, stupita si accorse che, al contrario, raggiungeva i genitori: dopo un breve scambio di battute , Ernesto raccolse in una mano un po’ di dolcetti dal suo piccolo grembo di lana e li offrì a suo padre e a sua madre. Dalla sua posizione la sorella osservò quella scena inaspettata, e ne percepì un innegabile sollievo che la rincuorò dalla sottile vergogna provata pochi momenti prima: notò che i suoi genitori esprimevano gioia e gratitudine a  quel  piccolo figlio che, di sua iniziativa e con nascosta consuetudine, assolveva a un dovere dettato solo dal cuore e alleviava la loro dura fatica nei campi col piacere di pochi biscotti. Quella volta tornarono insieme verso casa.  Il silenzio eloquente garantì il loro antico legame: la peculiarità di quel gesto semplice e profondo  era il contributo che Ernesto offriva  anche a Matilde.


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