Home » Uncategorized » Piero Mastroberardino e il piacere della lettura

Piero Mastroberardino e il piacere della lettura

Categories

di franca molinaro, OttoIMG_8350 bispagine 10/05/2015

La lettura risponde a diverse esigenze: si legge per studio, per lavoro, per informazione e, fortunatamente, anche per diletto. Tutti, chi più, chi meno, hanno fatto queste esperienze spesso dietro costrizione, altri, ma non tutti, hanno la possibilità di leggere per il piacere di farlo. Personalmente son rimasta alla prima forma, quella di studio perché indotta al continuo approfondimento degli argomenti che tratto. Poi, ogni tanto mi ritrovo a leggere i libri degli amici che spessissimo me ne fanno dono e chiedono le mie impressioni. A questo punto, considerata l’esigua quantità di tempo a disposizione, adotto tipo di letture differenti, secondo l’interesse che l’argomento suscita o, soprattutto, secondo la capacità espositive dell’autore.

 

A volte capita anche di essere stizzita dallo scritto per le affermazioni improprie o per la poca apertura mentale del soggetto narrante. C’è da dire che si scrive di tutto, e io, nel rispetto della scrittura come forma terapeutica, cerco di trovare sempre il buono di ogni componimento. Amo però, dedicarmi alla lettura di testi che arricchiscono e permettono di crescere interiormente affinando la sensibilità verso le cose e migliorando la comprensione del prossimo. Può capitarmi di portare in borsa un libro per mesi per la voglia di leggerlo con attenzione e assimilarne ogni parola, ogni concetto o intuizione affiorante.

 

Quest’anno mi ha accompagnato “Giro di vite” di Piero Mastroberardino, edizioni Homo Scrivens. Il libro, pubblicato lo scorso anno, mi ha seguito per ben sei mesi fino a diventare compagno di attesa in diverse situazioni. Affascinata dal prologo, pensai che mai avrei potuto commentare uno scritto così… perfetto, ricercato nella scrittura, poetico nella forma, profondo nel significato. Ne ho letto un pezzetto per volta, lentamente, quasi sorseggiandolo come un vino prezioso, ad ogni rigo un sorso di conoscenza, di informazione e, allo stesso tempo, di sollecitazione dei meandri più interni della psiche. Dal prologo, attraverso i quattordici capitoli, fino all’epilogo, il romanzo si mostra come un viaggio, in un breve lasso di tempo, nell’animo e nelle emozioni dei protagonisti. I personaggi in oggetto si avvitano uno all’altro come se manovrati da un unico perno invisibile ma inclemente, distante e sordo pur nelle sue valide, incomprensibili, motivazioni.

 

Parola dopo l’altra, colpisce la ricchezza di termini, ognuno a calzare quella specifica sensazione, ad avvolgere l’anima per modellarne la forma, come il “Cristo velato” che vive nell’immobilità della morte e della durezza del marmo. L’autore, da artista che è, tratteggia i soggetti con la morbidezza dei suoi carboncini, ne fa emergere la figura dal profondo dei sentimenti, degli affetti, delle contraddizioni. Li materializza partendo dallo spirito; sono le emozioni che delineano la fisionomia del provato Alessando o della piccola e tenace Vera. Sono sempre le emozioni che concretizzano le figure dei due genitori provati dal dolore fino alla follia. In qualche passaggio parla del “caso” ma, dall’interazione dei vari personaggi si avverte che non può esistere un caso, piuttosto si tratta di un progetto in cui ogni essere ha una sua incomprensibile ragione di essere.

 

Piero racconta ogni particolare delle vicende con la conoscenza di chi ha vissuto in prima persona l’esperienza e mette addosso al lettore la curiosità di scoprire se in qualche modo è egli stesso implicato in quelle circostanze. Dall’esperienza ante mortem alla pienezza dello spirito dopo una notte d’amore, solo chi ha vissuto può esprimersi in questo modo o forse, solo chi ha una tale sensibilità può avvicinarsi alle verità assolute che l’uomo comune non sa cogliere. Proseguendo nella lettura del libro continuano ad emergere intuizioni, quelle che gli antropologi definiscono pericolose, ma non si può comprendere l’impenetrabile se non si apre lo spirito all’inconoscibile, è proprio la ricerca dell’assoluto che dà la passibilità di avvicinarlo.

 

A lettura compiuta, come spesso faccio per cose che mi sono care, ho speso attimi di meditazione per indagare più a fondo i complessi concetti espressi nel libro. Nel buio e nel silenzioso, nell’assenza di immagini o pensieri, sono stata avvolta da fasci di luce che hanno illuminato l’interno delle palpebre chiuse, poi mi è sembrato tutto più chiaro e la lettura trascorsa mi è apparsa come una scia luminosa, come Federico, l’uomo angelo che intreccia le vite con la sua ondata positiva. E’ il riconoscimento del bene pur nel vizioso circolo di male che attanaglia l’umanità e la vita stessa nella sua forma biologica, un bene che ha radici oltre, non precisamente localizzate perché Piero, da persona saggia, non dà indicazioni ma solo morbide immagini di possibili soluzioni. L’uomo non può postulare su argomenti inaccessibili o solo intuibili attraverso sensibilità varie costruite su stratificazioni di dottrine ed esperienze. Anche in Vera emerge una figura che travalica il comune sentire, le sue epigrafiche poesie lasciano in cuore l’effetto di certe preghiere-scongiuri recitati dalle guaritrici calabresi. E’ in lei una saggezza assente nei navigati genitori, una capacità di comprensione non comune ad una giovane della sua età.

 

E cosa dire di Giulia? Forse la parte yan dell’autore, l’opposto occultato in ognuno che affiora solo trasversalmente perché inconcepibile quindi sospinto a fondo. Non so se Piero abbia scritto mettendo in atto la funzione terapeutica della scrittura o se, semplicemente ha voluto esternare i suoi pensieri attraverso il complesso racconto; personalmente ho avvertito il contatto con uno spirito travagliato da interrogativi esistenziali che elevano verso livelli inaccessibili lasciando nell’ascesa, oltre i calzari, il magma nauseante di formalismi, falsità, apparenze, pregiudizi. L’insegnamento che, a mio giudizio, emerge immediato, forte e tonante, al di là delle opportunità di meditazione, è uno: non giudicare con leggerezza cosa, persona o avvenimento alcuno, perché dentro ognuno è celato un mondo sconosciuto spesso impenetrabile al diretto interessato.

 

Franca Molinaro


Leave a comment